Mese: <span>Marzo 2020</span>

Osservazioni poco cliniche di una psicologa clinica, ovvero storia di un animaletto

Fonte: pixabay free

E un giorno credi questa guerra finirà
ritornerà la pace ed il burro abbonderà
e andremo a pranzo la domenica fuori porta a Cinecittà

San Lorenzo F. De Gregori

Quella che voglio raccontarvi è la storia di un animaletto piccolissimo tanto da non poter essere visto se non al microscopio, dall’aspetto carino, assomiglia ad una pallina da mettere sull’albero di Natale. Questa, apparentemente insignificante, “bestiolina” sta mettendo in ginocchio il mondo intero: lo temono persino i banchieri, i più potenti politici del mondo, grandi finanzieri e i magnati dell’industria. Colpisce indifferentemente il cosiddetto uomo della strada, il grande campione di calcio e perfino i divi di Hollywood! Fa tremare anziani e giovani, chi può fugge, cercando di mettersi in salvo.

Va detto che questo animaletto è riuscito laddove anche i più grandi statisti hanno fallito: è riuscito a ridurre l’inquinamento, la delinquenza, l’attacco degli hater, il cyberbullismo, perfino lo spaccio! Insomma da qualunque parte la si guardi sta riuscendo a cambiare irrimediabilmente la vita del mondo intero.

Stiamo già adesso assistendo ad un cambiamento epocale delle nostre vite, totalmente stravolte nella loro quotidianità e, anche per questo, con più o meno rilevanti contraccolpi emotivi.

Ci scopriamo estremamente fragili e vulnerabili; la medicina si mostra in tutta la sua fallibilità. Ma è proprio in questo momento che scopriamo che medici e infermieri – esseri umani in camice bianco – sono loro, il nostro riferimento e il nostro aiuto. E’ l’uomo che aiuta l’uomo.

Ci sentiamo allo stesso tempo esposti al contagio, ma anche possibili untori; io sono la vittima o il pericolo per gli altri? Impariamo che possiamo essere, in tutte le circostanze della vita, entrambe le cose, a tenere a mente che dobbiamo proteggere noi stessi, ma qualche volta dobbiamo fare attenzione agli altri, a proteggerli da ferite che involontariamente potremmo inferire.

Abbiamo imparato a tenere “almeno un metro di distanza”, e mai, come in questo momento ci chiediamo qual è per noi la “giusta” distanza? Scopriamo talvolta le nostre case troppo strette per contenere tutta la famiglia, ma scopriamo anche che quelle meteore che talvolta vedevamo attraversare velocemente il salotto di casa erano quei figli che ora ci guardano, ci parlano e si confrontano con noi.

È come se dal 9 marzo le nostre vite avessero subìto una brusca frenata, ma in fondo non si sono mai fermate davvero. È allora cos’era quell’incessante correre di prima? E di cosa ho paura adesso? È la paura di ammalarmi, la paura del vuoto, della noia che mi portano a correre come un criceto in gabbia? Forse possiamo finalmente, semplicemente rallentare, per scoprirci più vivi e più vicini.

Ed infine, i nostri balconi si stanno riempiendo di scritte “tutto andrà bene”. In fondo abbiamo imparato proprio in questo momento di forzata solitudine a rassicurarci gli uni con gli altri, con la frase che la mamma dice al bambino per proteggerlo dalle sue paure…dalla nostra paura della malattia e di ciò che non controlliamo.

Anche il lavoro è cambiato: non si condividono più gli spazi con i colleghi, non si incontrano più fisicamente i pazienti. La distanza è un ostacolo da superare, la tecnologia ci aiuta, ma non è la stessa cosa. Anche le regole del setting sono stravolte, si entra rispettivamente l’uno nella casa dell’altro, viene a mancare il limite e il contenimento dati dal contesto conosciuto. Ci si muove, trovo, tra la paura di potersi perdere nell’eccessiva distanza e la paura di condividere una eccessiva intimità: è nell’oscillazione tra queste due paure che alla fine sorge l’incontro tra la mente del terapeuta e quella del suo paziente. Ma in fondo non è così sempre, anche senza coronavirus?

Ebbene in conclusione, di cosa ho paura io? Ho paura che quando questo finirà il personale sanitario non sarà più un angelo custode, ma il protagonista della malasanità, che torneremo a vedere il pericolo solo nell’altro e possibilmente nello sconosciuto e nel diverso, che i balconi torneranno ad essere quegli spazi da proteggere dagli sguardi indiscreti dei “vicini”, che torneremo a sentirci i padroni del mondo e governatori della Natura, che una stretta di mano tornerà ad essere un gesto rituale e se ne perderà il suo reale valore simbolico, che ci sentiremo di nuovo invincibili e per questo meno uomini e meno umani.

Dr.ssa Chiara Delia

COSA ACCADE DIETRO LA PORTA DELLO STUDIO DI UNO PSICOTERAPEUTA

Fonte: dr.ssa Allegro

Capita spesso di assistere a numerose svalutazioni e ammirazioni sulla professione dello Psicologo e Psicoterapeuta. C’è gente che teme e svaluta la categoria, spesso senza motivi razionali, e persone che sopravvalutano al punto di ritenere il professionista in grado di leggere nel pensiero o produrre soluzioni a richieste più disparate.
Credo che tutto questo accada perché, per molti, risulta ancora un “mistero” cosa si manifesti dietro quella porta, dentro quelle quattro mura che tanto meravigliano e tanto spaventano contemporanea-mente.
Chiarisco subito che l’intento di questo articolo non è avvicinare le persone ad intraprendere possibili percorsi psicoterapeutici, ma essenzialmente a diffondere più conoscenza sulla nostra professione, avvolta ancora da un’aura di incredulità e mistero.
Si è creduto in passato che il plagio o il condizionamento psicologico fosse l’intento principale della nostra categoria: attraverso tecniche di suggestione e persuasione il professionista avrebbe apportato modifiche strutturali alla personalità del soggetto. Purtroppo, ogni tanto, i fatti di cronaca portano a galla queste credenze, ma per fortuna siamo ben lontani dalla dittatura comunista cinese che trattava i prigionieri americani riducendoli in uno stato di schiavitù fisica e psicologica e sottoponendoli a tecniche volte a sostituire le loro personali convinzioni con i valori coerenti con l’ideologia del regime.
E allora, se abbandoniamo l’idea del “lavaggio del cervello” quale potrebbe essere il vero scopo del professionista quando dalla sua porta varca un probabile paziente?
“Puoi costruire qualcosa di bello anche con le pietre che trovi sul tuo cammino” (Goethe).
Ritengo che questa frase detenga l’essenza della Psicoterapia: un delicato messaggio che vorrei tramandare a coloro che non sanno bene cosa accada in quello studio.

Perché dico questo? Perché ogni essere umano ha la propensione innata di raggiungere la propria realizzazione e il lavoro di noi psicoterapeuti è sostanzialmente questo: facilitare la propensione naturale, aiutando ad eliminare, o a sfruttare, gli ostacoli che si possono incontrare lungo la strada e che possono bloccare l’autorealizzazione.

E qual è lo strumento migliore per ottenere tale obiettivo? Ovviamente i numerosi approcci e orientamenti della nostra categoria rendono il tutto molto variegato, ma se ci addentriamo tra le numerose teorie di riferimento, passando da quelle più psicodinamiche a quelle più comportamentiste, uno strumento comune a tutte è rappresentato dalla relazione terapeutica.
Perché il professionista possa essere d’aiuto a chi si rivolge a lui, è indispensabile stabilire un rapporto i cui ingredienti principali siano autenticità, accettazione positiva incondizionata e spontaneità.
Attraverso la sperimentazione di questi aspetti sarà possibile raggiungere l’obbiettivo che forse accomuna tutte le terapie dei pazienti che abbiamo incontrato, fino ad ora, e che incontreremo: aumentare l’esame di realtà e aiutare il paziente a vedersi con gli stessi occhi con cui ci guardano gli altri.
Se auspichiamo al raggiungimento del cambiamento terapeutico sarà necessario mostrare al paziente la sua parte di responsabilità riguardo le proprie scelte, cioè di quella “componente” che inconsciamente è stata messa in gioco contribuendo alla propria sofferenza , per poi condurlo all’accettazione di questa.
Chi si avvicina alla Psicoterapia con scetticismo, probabilmente, riterrà che tutto questo sia un’argomentazione inconsistente, la classica fuffa o luogo comune, ma ricordiamo che la Psicologia è una Scienza e le numerose scoperte nel campo delle Neuroscienze ci hanno permesso di acquisire importanti conquiste.
È ormai scientifico che la Psicoterapia influenzi il metabolismo e il flusso di sangue verso regioni specifiche del cervello, così come l’assorbimento della serotonina e i livelli degli ormoni tiroidei. Per non dimenticare del numero e del tipo di connessioni sinaptiche (connessioni tra i neuroni) che vengono notevolmente modificati quando si verifica un apprendimento ben riuscito e questo include anche l’apprendimento che avviene in Psicoterapia.
Magari i più coraggiosi che hanno proseguito la lettura dell’articolo fin qui penseranno a quanto sia affascinante e gratificante essere uno Psicoterapeuta, ma i rischi del mestiere sono vari e di molteplici forme.
Non è facile sotto più punti di vista, c’è chi la definisce una vocazione impegnativa segnata spesso da ansia, frustrazione e solitudine che sono inevitabili in questo lavoro.
Allora anche lo psicoterapeuta piange, si arrabbia, si sente solo e prova ansia? Direi proprio di sì. Il terapeuta è un essere umano e come tale, oltre a viversi tutte le sfumature emotive che caratterizzano l’esistenza umana, sperimenta il senso di colpa, la vergogna, il desiderio di essere amati e di essere destinatari di affetto, la sensazione di essere vulnerabile, le insicurezze e le paure. Proprio come i nostri pazienti, proprio come qualunque altro essere umano.
Ed ecco che il rischio più grande per ogni professionista in questa categoria è quello di dedicare una vita al servizio del benessere dell’altro, rischiando di trascurare i propri bisogni e desideri; ci rivolgiamo alle necessità e alla crescita dell’altro al punto da tralasciare spesso le nostre esigenze.
“Moderare” l’immagine del terapeuta e renderla semplicemente umana permette di avvicinare maggiormente il paziente al professionista, pensarli come “compagni di viaggio, un termine che abolisce le distinzioni tra <<loro>> (coloro che soffrono) e <<noi>> (i guaritori)” – Il dono della terapia, Irvin D. Yalom.

Dott.ssa Sonia Allegro
Psicologa – Psicoterapeuta

Bibliografia:
“Il dono della terapia” , Irvin D. Yalom

CORONAVIRUS: suggerimenti per gli studenti

La proroga della chiusura delle scuole, la chiusura degli oratori e l’interruzione delle attività sportive a loro dedicate ha portato i bambini ed i ragazzi a lunghe ore di noia a casa, nonché a funanboliche organizzazioni da parte dei genitori per non lasciare i propri figli da soli.

Le scuole si sono e si stanno organizzando con le classroom virtuali Studiare da soli e organizzare i compiti da svolgere da soli e con la paura del coronavirus non è cosa semplice.

Questa emergenza sanitaria passerà e al ritortorno a scuola ci saranno le verifiche ad attendere gli studenti.

Ecco i consigli del nostro collaboratore, il dott Lagona, per affrontare al meglio questo periodo.

Dr.ssa Pugno – Presidente Ass. Eco

 

Se senti di avere una sproporzionata pura del virus, o che la paura del virus ti stia ostacolando nella gestione emotiva della vita quotidiana, contattaci via mail a ecoassociazione@gmail.com. Qualche colloquio può bastare per tornare in carreggiata!