Nel periodo della quarantena, soprattutto, chi non può andare a lavorare, stando tutto il giorno a casa ha un cambio di abitudini notevoli che possono andare a interagire in modo negativo sul nostro organismo e sul nostro rapporto con il cibo, andando a vanificare la normale dieta sana che abbiamo sempre seguito in pre-quarantena.
Il problema principale è che più facile farsi prendere dalla pigrizia, soprattutto se si lavora da casa senza una determinata scansione del tempo come quando si è sul posto di lavoro. Si hanno anche tanti cibi a disposizione e questo potrà andare ad inficiare su una corretta alimentazione sia da un punto di vista di
cibi salutari sia per gli orari dei pasti magari sballati rispetto al normale stile di vita quotidiano che si aveva in precedenza.
Si è visto, infatti, che dopo un mese di lontananza dall’attività fisica non si ha più un adeguato supporto del proprio ritmo circadiano e così può diventare difficile dormire bene la notte, quindi si potranno avere maggiori probabilità di abbuffate notturne o comunque di ricerca di cibo. Il primo alleato dovrà essere la forza di volontà che ci deve supportare nel quotidiano per poter mantenere una regolarità di orari, di pasti, di scansione del tempo in generale e laddove fosse possibile diventa un aiuto anche nello svolgimento di una minima attività fisica che seppur diversa ci aiuterà a produrre la nostra dose di endocrine utile all’organismo.
Bisogna bere almeno 1,5 – 2 litri di acqua al giorno, anche sotto forma di tisane o infusi naturalmente senza zucchero, in modo da avere un’ottima idratazione corporea, anche se sicuramente si avverte un
minor stimolo della sete essendo maggiormente inattivi, ma ci si deve idratare lo stesso.
E’ utile seguire, anche nel periodo di quarantena, una sana alimentazione (regola essenziale per un sano e normale stile di vita), eliminando i grassi saturi di formaggi, carne rossa e insaccati, prediligendo carne bianca da allevamento a terra formaggi e insaccati solo light (<10% di grassi), cereali integrali o comunque di farina non raffinata (sempre porzioni ridotte tipo massimo 50 g nel primo piatto), abbondando con verdura a pranzo e cena (porzioni almeno da 150 g di insalata e 400 g di verdure pesate cotte), frutta di stagione negli spuntini, legumi, pesce soprattutto pesce azzurro ricco di omega tre. A colazione the, yogurt magro bianco senza zucchero con frutta secca 40 g e 2 cucchiai di cereali soffiati senza zuccheri e oli.
Naturalmente si tratta di indicazioni generali che non si addicono a soggetti con patologie perché questi devono essere trattati in modo specifico con un regime alimentare su misura.
Importante, come già sottolineato in precedenza, il fatto di riuscire ad avere una quotidianità anche in un periodo strano come quello della quarantena, per cui utile rispettare, per quanto possibile gli orari dei
pasti. Di seguito trovate delle indicazioni che vi possono aiutare, ma che no sono legge naturalmente.
Colazione: dalle 7 alle 9
Spuntino mattutino: dalle 10 alle 11
Pranzo: dalle 12,30-13,30
Merenda: dalle 16 alle 17
Cena: dalle 19.30 alle 20,30
Dopocena: una tisana calda verso le 21,30 massimo 22.
Per quanto riguarda la questione attività fisica casalinga, dobbiamo ricordarci che possiamo creare ed utilizzare una nostra palestra home made, sia seguendo tutorial che ci sono proposti da tanti allenatori (sempre controllare il loro curriculum e non affidarsi a fantomatici personal senza esperienza e competenze!) oppure si possono utilizzare attrezzi casalinghi: bottiglie piene di acqua al posto dei pesi, scale condominiali ecc..
Per chi è ed era sedentario, qualunque nuova attività va svolta con graduale impegno, a giorni alterni o massimo 3 volte a settimana, senza sforzo perché non si è abituati a muovere i distretti muscolari, per cui se si inizia un’attività giornaliera ci si ritrova pieni di dolori e si smette subito.
Per chi è ed era abituato ad essere attivo si possono consigliare attività indoor per bruciare calorie, privilegiando le attività più simili a quelle che erano svolte in precedenza e introducendo solo gradatamente attività nuove:
salire le scale regolarmente tutti i gg più volte al giorno,
correre se si ha a disposizione un cortile o un androne,
squatt,
addominali,
Plank,
corsa su tapis roulant,
bici sui rulli o ciclette da spinning,
si può svolgere attività fisica anche seguendo i video di gag, CrossFit, Zumba, Yoga, Pilates ecc.
In conclusione ricordatevi che il connubio sana alimentazione e attività fisica è la giusta strategia per mantenere una buona forma psicofisica
Shuela Curatola biologa nutrizionista
collabora dal 2019 con la nostra associazione occupandosi per noi di alimentazione in gravidanza e della dieta dei soci dell’Associazione Eco (indipendentemente dalla presenza o meno di disturbi alimentari)
Come è noto, l’11 marzo 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato la pandemia per il COVID-19. In una condizione pandemica si rendono necessarie misure drastiche e restrittive al fine di contenere la diffusione del virus. Queste misure ci hanno portato in un lasso di tempo brevissimo a stravolgere completamente i nostri schemi di azioni e relazioni. Separati dagli affetti e dalla normale routine quotidiana ci si è trovati a fare i conti con un senso di isolamento e di solitudine. Le domande e le paure provate, pensate, percepite in questo momento possono essere molte e anche profondamente angoscianti poiché non è chiaro quando finirà tutto questo, quando si potrà ritornare a condurre una vita senza restrizioni e, infine, non è possibile individuare in modo univoco quali saranno le ripercussioni sul piano economico, sociale, sanitarie e psicologico. Ciò nonostante, all’adulto rimane l’oneroso compito di cercare un equilibrio tra lo stato di emergenza e la routine quotidiana, anche quando quest’ultima viene stravolta. Quando l’adulto è anche genitore sicuramente il carico si moltiplica, proviamo quindi a fare un po’ di luce sugli aspetti della genitorialità ponendo riflessioni e suggerimenti dando qualche punto fermo verso cui indirizzare il proprio agire.
Cosa dicono le ricerche (1,2) sugli episodi di quarantene avvenuti precedentemente la comparsa del Covid-19? Insonnia, sintomi depressivi, irritabilità, ansia e la comparsa di sintomi da stress post traumatico sono tra i più frequenti a comparire assieme al senso di isolamento e di solitudine. Vediamo ciascuno stressor e cosa si può fare per evitare di far nascere o ridurre al minimo il malessere psicologico:
durata della quarantena: maggiore è la durata della quarantena e maggiore è il rischio di non godere di una buona salute psicofisica
Fermi, lo so quello che state pensando, il lockdown italiano perdura dal 9 marzo, quindi è praticamente un mese. L’isolamento e la coabitazione forzata hanno un costo enorme, l’attività sportiva è praticamente azzerata (se non è praticata indoor), le attività ludiche, le passeggiate familiari, i contatti sociali annullati. Siamo tutti alla frutta? Ovviamente no, per riuscire a stare bene con se stessi e far star bene i propri figli sono sufficienti poche e chiare regole. Un primo esempio è la gestione dei conflitti, si sa che vivere, in tempi di pace, sotto lo stesso tetto può creare attriti molto forti e litigi anche accessi, figuriamoci in un momento così instabile come questo cosa può produrre a livello di conflitto. Bisogna però tenere a mente che litigare in famiglia, se resta entro soglie tollerabili, è il modo migliore per sperimentare il conflitto in modo sicuro e portarlo poi all’esterno della famiglia, come proprio bagaglio personale. Sullo stesso livello si pone anche il poter far sperimentare al figlio che i genitori si possono trovare su due posizioni opposte, ma che attraverso il dialogo sanno trovare una sintesi alle loro posizioni di partenza. Bisogna poter verbalizzare ciò che crea questa tensione in modo da creare la base narrativa su cui costruire un dialogo familiare.
Uno spunto che può essere utile per sentire maggiore equilibrio è un cambio di prospettiva rispetto alla quarantena che si sta vivendo anche troppo coattamente, forse. Da “rinchiusi in casa” (che si porta tutta una serie di connotazioni negative) a “al sicuro in casa” (in questo cambio di visuale la cognizione su di sé e sui propri figli si pone con una connotazione di protezione e di sicurezza di sé stessi, per sé stessi e verso gli altri).
Restando in tema di equilibrio il genitore deve avere, e mantenere, una posizione che sia realistica rispetto a quello che sta succedendo (ad esempio non facendo finta che sia tutto normale o facendo finta di non essere minimamente preoccupati quando magari si è spaventati), scientificamente informata (più avanti vediamo nel dettaglio questo punto), emotivamente equilibrata (cioè in contatto con le proprie emozioni e nella consapevolezza di quello che succede), infine, tenendo una posizione né svalutante nè sottovalutante degli altri e dei pericoli che possono essere presenti. In altre parole i genitori rappresentano per i propri figli una vera e propria finestra sul mondo, cioè fanno da cassa di risonanza di quello che avviene fuori dalla porta di casa. Ecco che, allora, risulta importantissimo (in qualsiasi fascia di età) saper introdurre il mondo senza personali distorsioni (magari angosciose, ansiose o peggio ancora persecutorie) ma consentendo al proprio figlio di trovare nella sua figura di riferimento un punto saldo a cui identificarsi. Lo strumento d’elezione per fare ciò è la narrazione: ?
Tema contiguo alla narrazione è la scelta con cui questa viene fatta e lo stile adottato poiché come genitori si ha una grandissima responsabilità comunicativa (attenzione questo vale sempre, ma in questo momento ancora di più): non solo conta il cosa diciamo, ma soprattutto come lo diciamo! Questo perché è facile che le bugie raccontate (immagino per loro protezione perché magari non si sa come raccontare che si ha paura, si è preoccupati etc…) vengono riconosciute in fretta con conseguente perdita di credibilità. Bisogna raccontare sempre la verità ai propri figli, ma adeguando la terminologia utilizzata in modo che si adatti alla comprensione e al mondo dell’infante, del bambino o dell’adolescente.
Un altro punto essenziale su cui interrogarsi è come gestire la quotidianità, come tutte le cose il compito più arduo spetta proprio ai genitori, i quali devono suddividersi tra lavoro (nel caso si stia ancora andando), smartworking, gestione domestica e homeschooling (didattica a distanza e video lezioni, compiti etc). Sarà quindi l’adulto a cadenzare la giornata mantenendo, per quanto possibile ovviamente, delle regolarità. A seconda dell’età del/dei figlio/i ci sarà una strutturazione differente, ma bisognerebbe rispettarla sempre: ad esempio, mantenere una regolarità sugli orari di sveglia e andata a dormire; al mattino dedicare parte delle ore a disposizione a studiare e//o a seguire le lezioni a distanza. Nel pomeriggio ritagliarsi degli spazi di gioco/svago e a seconda dell’età meglio non eccedere con tablet, cellulari, console etc (al di sotto dei tre anni non ci deve proprio essere accesso, nella fascia materne sarebbe meglio evitare, ma se ciò non è possibile limitare a 2/3 volte a settimana per una ventina di minuti massimo a volta; per la fascia di età 6-11 mantenere 2/3 volte a settimana con un tempo di utilizzo che non supera i 45 minuti, un’ora).
In questo contesto è molto facile che possa avvenire una regressione (a livello comportamentale e/o linguistico) soprattutto dei bambini al di sotto degli 11/12 anni. Questa va assecondata la maggior parte delle volte, va capita, compresa per dare spazio a ciò che il/la figlio/a sta provando e sperimentando, per questo motivo risulta fondamentale dare una routine che aiuti nel contenere le ansie e le angosce che attraversano il bambino o l’adolescente. Perché può avvenire questa regressione? Perché non c’è lo spazio, il contenitore, dove rovesciare tutto questo, o meglio, precedentemente veniva riversato su altri livelli (scuola, amici, sport etc…), ma adesso sono solo i genitori i contenitori presenti h24. Bisogna armarsi di tanta pazienza perché non bisogna sgridarli o rimproverarli!
Paura del contagio/ di contagiare: la preoccupazione maggiore risulta quella appunto di essere contagiati e/o contagiare, soprattutto i propri familiari e i propri figli. Sottostante a questa paura è presente la preoccupazione connessa con la morte. L’intensità di queste sensazioni proviene dalle risorse personali che sono spendibili sul versante emotivo e psicologico, dal lavoro che viene svolto e dalla percezione che si ha del rischio.
Come fare? Anche in questo caso è fondamentale ammettere quello che si sta provando, ad esempio paura, perché si sta provando quel tipo di sensazione e in questo modo dotarlo di senso, narrarlo. Fare lo stesso con i propri figli che magari chiedono o non si osano farlo come sta il proprio punto di riferimento. Quale migliore occasione viene presentata per far vedere come si fa? Per trasmettere come si diventa grandi e forti, forte, infatti, è colui che ha la possibilità di sentire tutte le emozioni che esperisce dandosi la possibilità che queste arrivino così come sono in modo da conoscerle e gestirle. Può essere un canale, con i bambini della materna e delle elementari, ad esempio passare dal disegno rispetto alle paure che hanno per sé o per i propri genitori, con gli adolescenti può essere utile passare da canzoni che ascoltano o domandando loro cosa ne pensano dell’influencer che seguono, o youtuber etc. L’aspetto importante è che ci sentano disponibili, vicini, sinceri, autentici ricordando di lasciare loro spazio rispetto a quello che pensano o temono.
Una facilitazione delle comunicazioni è data dall’accesso ai dispositivi tecnologici che permettono di annullare distanze, ma anche far sentire più vicini in questo momento di pesante limitazione delle libertà personali. In questo senso può aiutare a gestire le angosce di contagio e di morte lasciare che i tempi passati davanti ai device (stiamo parlando di adolescenti) per video chiamate (singole o di gruppo) sia superiore rispetto alla norma; caso differente per i bambini al di sotto degli 11 anni, qui il lavoro deve essere fatto dai genitori (vedi sopra) senza escludere videochiamate agli amici o ai parenti (ma il tempo e la gestione di questo deve essere sempre in mano all’adulto cercando di non superare le 3 volte a settimana). Al di sotto dei 6 anni sarebbe preferibile interazioni con le videochiamate se non eccezionalmente e sporadicamente, ricordando che sotto i due anni non si hanno gli strumenti per capire e gestire cosa sta avvenendo e fondamentalmente l’unico legame di cui si ha necessità in quella fascia d’età è quello genitoriale.
Infine, per fronteggiare la minaccia della morte stiamo osservando come l’impotenza che ci ha colpiti si trasformi nella migliore occasione cioè creare condivisione tra le persone in quarantena (questo è il senso dell’appuntamento sui balconi e dei flash-mob) ma da soli non sono sufficienti a dare continuità a tutto questo, c’è bisogno di senso e di narrazione.
frustrazione e noia.
Il confinamento coatto ha fatto perdere la routine quotidiana e ha fatto perdere quei piccoli gesti che davano un senso e senza i quali ci sentiamo persi, vuoti, annoiati noi adulti figuriamoci le piccole creature che si aggirano per casa. Aiuto cosa faccio? Lascio mio figlio giocare tutto il tempo alla play o lo riempio di cose da fare? Fermi tutti! La noia è uno strumento importantissimo per un bambino nella sua crescita per poter imparare a connetterci con quello che siamo nella nostra personalità e intimità. Nella vita pre-Covid-19 credo che l’agenda di vostro figlio fosse scandita quasi al secondo tante le cose che aveva da fare (scuola, compiti, allenamenti, feste, appuntamenti, parenti etc), bene ma mancava, forse, una cosa importantissima: uno spazio lento che permettesse di stare ed esplorare le emozioni. Ora c’è, volenti o nolenti, sfruttiamolo! Partiamo dalle fake news: lasciarli annoiare non equivale a trascurarli, la noia non è depressione, vanno però accompagnati in questo percorso e non lasciati da soli. La noia permette di cercare all’interno di sé stessi, di impegnarsi attivamente, di scoprire cosa gli piace veramente e di trovare soluzioni a compiti creativi, insomma tutt’altro che una mente sonnecchiante. Imparare, bene, a stare con la noia dà la possibilità di sentire cosa si prova e quindi connettersi con le proprie emozioni e imparando a gestirle e, invece, a rifuggirle o a gettarle all’esterno senza sapere cosa farne. Se, da genitore che ha paura di questo vuoto perché magari è la mia paura di rimanere con la mia noia, propongo subito qualcosa, una soluzione implicitamente sto svalutando mio figlio dicendogli che ha bisogno subito di qualcosa perché da solo non si basta, che con sé stessi non si sta bene e c’è necessariamente bisogno di qualcosa che li intrattenga. Nulla di più sbagliato, se stessi è un bel posto dove stare, ci si può fare domande, capire cosa si può fare. Vanno accompagnati in questo poiché da soli non lo sanno fare bene, allora può essere utile programmare momenti di vuoto, e quale momento migliore se non questo dove è più semplice trovare questo vuoto e magari non riempiendolo subito…
In tema di momenti lenti può essere utile proporre (ad un pubblico di adolescenti e perché no ai genitori) di ascoltare, prima di andare a letto per esempio, storie in podcast. Questo genere di attività consente di affascinarsi alla lettura fatta da una voce esterna che guida nel testo e porta la mente a focalizzarsi meglio su quello che provano a livello emotivo. Per i bambini sotto gli 11 anni questo discorso non vale, la lettura deve essere fatta dall’adulto a fianco a lui, magari nel rituale della buonanotte in cui raccontarsi anche la giornata e cosa si è provato a livello emotivo. Da tutto questo (per i bambini under 11) sarebbe meglio togliere la tv (soprattutto prima di andare a dormire) e lasciare al rituale della lettura e della narrazione emotiva la conclusione intima e calda della giornata.
Alcune indicazioni che possono risultare utili a coloro i quali non hanno la possibilità di avere un controllo su quello che avviene nel corso della giornata:
1) per le ricerche che si effettuano online si può mettere un filtro partendo dalle impostazioni di google (si chiama SafeSearch), questo filtro consente di bloccare temi considerati problematici o scabrosi, pertanto nella ricerca non vengono trovati.
2) Youtube, soprattutto tra i più giovani, spesso sostituisce la tv e si possono cercare no contenuti video che possono risultare problematici, scabrosi, violenti. Il problema in questo caso deriva dai video correlati che Youtube apre in automatico, come per google citato sopra, anche qui è possibile impostare una “modalità sicura” dalle impostazioni. Una valida scelta per gli under 10 è Youtube kids che offre contenuti adatti per i più piccoli dato che sono vagliati attentamente.
informazioni inadeguate e percezione del rischio. Meno sono e più frammentate e caotiche sono e maggiore è la probabilità di trasformare le informazioni relative al Covid-19 uno stressor ma anche un predittore significativo di sintomi da disturbo post traumatico da stress.
Le comunicazioni riguardanti la diffusione del virus devono essere chiare e tempestive (non solo come informazioni da reperire, ma anche quella da portare all’interno della propria famiglia). Ricordo che le informazioni servono a trasmettere quello che sta accadendo. Se il proprio figlio dovesse sentirsi agitato o in ansia dalle notizie ricevute non va minimizzato né dirgli: “Non andare in panico” poiché questa comunicazione ha un effetto boomerang paranoico: intende di stare tranquillo ma sottointende che nella realtà non viene raccontata tutta la verità e tiene qualche informazione nascosta. La cosa migliore da fare è farsi sentire emotivamente saldi, che non si va in pezzi e offrire questo supporto.
Sempre rispetto alle informazioni ricordo che questi sono i canali ufficiali a cui far riferimento (Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/; Organizzazione Mondiale della Sanità: https://www.who.int/health-topics/coronavirus#tab=tab_1; Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus) e che il pluralismo di voci rischia di generare caos e confusione a valanga per cui ciascuno si sente libero e autorevole di dare i dire la sua versione, quando è tutt’altro che auspicabile. Questo però consente di mantenere una mente critica e autorevole ed è un messaggio niente affatto scontato ed è ciò di cui i nostri figli han bisogno. Inoltre, permette di non cadere nel tranello di improbabili (ma assolutamente veritiere come non credervi!!!) catene su whatsapp del cugino della panettiera amico del chirurgo che ha contatti con i vertici e che dirama un messaggio che nessuno ha ancora avuto modo di avere!
Questa pandemia ci spaventa e terrorizza perché ci ha reso consapevoli che è il legame umano che diffonde il virus, ma l’attaccamento umano promuove non solo benessere, ma soprattutto calore e fiducia. Utilizziamo questo tempo per imparare a stare con ciò che abbiamo, a stare bene nelle relazioni che ci nutrono e sfruttare il progresso tecnologico per dare un senso a quanto accade.
Dottor Kalman
1) S.K. Brooks, R.K. Webster, L.E. Smith, L. Woodland, S. Wessely, N. Greenberg, G. James Rubin, The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence,«Lancet», 395, 2020 pp. 912–20 Published Online February 26, 2020
2) Y.T. Xiang, Y. Yang, W. Li, L. Zhang, Q. Zhang, T. Cheung, Chee H Ng, Timely mental health care for the 2019 novel coronavirus outbreak is urgently needed,«Lancet», 7, 2020 p. 228-229 Published Online February 4, 2020 https://doi.org/10.1016/ S2215-0366(20)30046-8
L’avvento di internet ha modificato profondamente la nostra quotidianità e, spesso anche il nostro modo di costruire ed intrattenere relazioni. Questo fenomeno è stato un percorso graduale che, quasi per tutti, è andato di pari passo con lo sviluppo tecnologico e la disponibilità di apparecchiature di utilizzo sempre più intuitivo e prezzi sempre più accessibili. Il cambiamento, tuttavia, è avvenuto dunque gradatamente, passando da connessioni inizialmente lente che rendevano spesso complessa la condivisione di immagini e video, o dalla necessità di doversi necessariamente da uno specifico luogo fisico (il computer di casa o gli internet point), etc. per poi diventare, letteralmente, a portata di mano. Oggi, infatti, grazie agli smartphone siamo potenzialmente connessi 24/7/365. Ciò ha indubbiamente contribuito ad accorciare le distanze (pensiamo ad esempio a membri della stessa famiglia che vivono in città diverse), ha reso fruibile molto materiale, ha consentito di avvicinarsi a mondi altrimenti inaccessibili (oggi è possibile, ad esempio, visitare il MOMA comodamente dal proprio divano di casa o tradurre qualsiasi frase in qualsiasi lingua del mondo).
In un periodo come quello attuale in cui la quarantena ha inevitabilmente costretto a (ri)ereggere muri
concreti tra le persone, la rete ci ha comunque permesso di attraversarli, addirittura permettendoci di
sfruttarla in maniera non convenzionale, magari permettendoci di avvicinarci a nuove attività come i
corsi di yoga o il fitness in casa, corsi di inglese, cucina, “video-cene”, … superando la necessità di spostarci fisicamente da un luogo all’altro.
Tuttavia, questo periodo storico, ha anche messo alcune persone di fronte alla perdita, al trauma, allo
stress; ha impedito quei contatti sociali diretti che prima erano di vitale importanza, contribuendo a
generare, o ad acuire, la sofferenza psicologica.
Con il termine e-Health si intende l’utilizzo di strumenti basati sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per sostenere e promuovere la prevenzione, la diagnosi, il trattamento e il monitoraggio delle malattie e la gestione della salute e dello stile di vita.
Già nel 2012 il CNOP (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi) aveva condotto una ricerca per indagare la presenza di psicologi e psicoterapeuti che svolgevano la propria professione anche “online”, cioè utilizzando quelle piattaforme per chiamata, videochiamata o messaggistica che ovviano alla presenza vis-à-vis riscontrandone una discreta diffusione. Di qui era nata l’esigenza di redigere delle linee guida per la gestione di questi nuovi canali: se infatti l’avanzamento tecnologico prosegue ad una certa velocità, l’adeguamento delle norme di privacy e/o le connesse peculiarità burocratiche non sempre riescono a stare al passo e ad evolversi alla stessa velocità e, per questo, richiedono un monitoraggio costante.
Come è noto, l’alleanza terapeutica è fondamentale per gli esiti del trattamento psicoterapeutico, uno
studio del 2002 ha rilevato che non ci sono differenze significative tra chi svolge le sedute vis-à-vis e chi on line; in particolare, non sono state rilevate differenze per quanto riguarda la modalità di comunicazione e la presentazione delle problematiche. Inoltre, in alcuni casi, la presenza di un medium tecnologico ha persino avuto un positivo effetto disinibitorio. Il livello di alleanza terapeutica non varia né con gli adulti né con gli adolescenti, ma può esserci un minor investimento con i più piccoli in quanto occorre tenere in considerazione che spesso, in questi casi, la terapia prevede il gioco simbolico purtroppo non proponibile esclusivamente attraverso il pc.
Tra gli aspetti indubbiamente positivi, tuttavia, va tenuto in considerazione anche il fatto che la tecnologia ha anche permesso di offrire più facilmente la psicoterapia ad una fetta di popolazione altrimenti difficilmente raggiungibile, come ad esempio chi vive ancora con stigma la sofferenza psicologica, chi nutre forte resistenza, chi abita in luoghi isolati, chi ha una mobilità fisica ridotta, chi è in lista di attesa per una presa in carico, …
Nell’ambito dell’età evolutiva, per esempio, questa nuova modalità ha permesso di raggiungere con più facilità i ragazzi che stanno attraversando un periodo di ritiro sociale o una fobia scolare in maniera più semplice ed efficace.
Scorrendo la letteratura, si evince che la e-therapy risulta efficace in una varietà di disturbi, come ad
esempio: disturbi post traumatici da stress, lutto, disturbi di panico e disturbi alimentari, ansia e depressione.
Un incoraggiante studio del 2013, condotto da alcuni ricercatori di Zurigo, ha osservato una remissione della depressione nel 53% dei pazienti trattati con e-therapy e nel 50% dei pazienti con terapia face to face; uno studio del 2001, analizzando il lavoro di alcune coppie in terapia via webcam, non ha rilevato differenze significative in termini di efficacia rispetto alla terapia in setting tradizionale.
Questo è possibile perché nella stanza di analisi, o di terapia in generale, l’incontro avviene sì tra le persone fisicamente, ma, soprattutto, tra le loro menti. Il setting terapeutico, quindi, non è solo il luogo fisico, ma è quello spazio relazionale che il terapeuta ed il paziente creano e che, nonostante abbia delle peculiarità (orario, durata, cadenza, regole per il pagamento, etc.), non per questo è sterilmente rigido.
Certamente la nuova prospettiva, la nuova metodologia, i nuovi canali e i linguaggi che queste nuove
modalità portano con sé sono da tenere in considerazione ed è compito del clinico gestirli in maniera
appropriata e dare senso a ciò che accade in questo nuovo condiviso spazio virtuale.
Concludendo, la tecnologia oggi ha offerto uno strumento in più da mettere nella “valigia degli attrezzi” dello psicoterapeuta, l’e-therapy non è certamente l’unica strada percorribile, ma può comunque rivelarsi efficace in determinati contesti in cui l’unicità della coppia di lavoro terapeuta-paziente è di fatto il nocciolo della relazione, indipendentemente dal canale attraverso il quale viene realizzata.
Lo psicologo per i suoi pazienti è qualcuno avvolto da un alone di mistero. Talvolta appare come il depositario di un sapere sconosciuto a chi non è del suo mestiere, altre volte sembra colui che ha le risposte, altre volte ancora sembra un essere umano diverso dagli altri e quando ci accorgiamo che è umano anche lui ne rimaniamo un po’ delusi, o un po’ rassicurati.
In questo periodo dove prevalgono le cattive notizie e barlumi di speranza, ho pensato di rendere meno oscuro questo individuo chiedendo ai colleghi e a me: “che libro hai in questo momento sul comodino?”.
Perché i libri, per chi è riuscito a farseli amici, sono come canta il topo con gli occhiali nella omonima canzone ” amici, che fanno compagnia. I libri sono ali che aiutano a volare. I libri sono vele che fanno navigare. I libri sono inviti, a straordinari viaggi …” .
Allora cominciamo il viaggio sui comodini dei nostri psicoterapeuti tra libri tecnici, letteratura e fumetti!
Dr.ssa Allegro: Perché lo leggo? Perché il sesso (e l’eccitazione) fa parte delle nostre vite e di quelle dei pazienti.
Dr.ssa Meloni Ho deciso di avvicinarmi alla lettura di questo libro, incuriosita dal titolo: Resisto dunque sono.
Oggi come non mai torna attuale il concetto di resilienza, ossia la capacità di portare avanti i nostri obiettivi, nonostante le difficoltà che si dovranno affrontare lungo il cammino.
In questi giorni le difficoltà sono rappresentate anche dai cambiamenti che ci troviamo a vivere e questo libro racconta di quanto sia funzionale vedere i cambiamenti come una sfida e un’opportunità e non come una minaccia. Fondamentale per me è riuscire a trasferire e trasmettere l’importanza di mantenere viva la motivazione ed essere regolati nelle nostre azioni da ciò che per noi è significativo, da quei valori che rappresentano la nostra bussola per il cammino.
Ho deciso di fare un piccolo atto di gentilezza nei miei confronti, regalandomi la lettura di questo libro che parla proprio di resilienza, declinata in ambito sportivo, ambito a me lontano, ma perché non darsi questa opportunità?
Dr.ssa Tonello “La bambina con i sandali bianchi” è un testo di resilienza che offre uno spunto per
coltivare la speranza e la determinazione. Le ferite possono diventare energia per il cambiamento?
“Zerocalcare”. La riflessione sociopolitica in chiave leggera mi apre la mente senza appesantirmi.
Dr.ssa Pugno. Io non leggo in camera da letto, ma in bagno. Quello nella foto è il mio “comodino”. Sto leggendo Volevo solo pedalare di Alex Zanardi. Devo dire che lo stile colloquiale rende molto godibile la lettura. Racconta la storia di come da un incontro fortuito in un parcheggio sia cominciata la sua avventura verso l’oro paraolimpico. E’ bello vedere/sapere che dalle difficoltà, dalle crisi, si può far nascere un’occasione per una vita differente. Leggendolo fa venire anche a me l’idea balzana di poter partecipare alle paraolimpiadi. Ma per fortuna non posso farlo 🙂
Dr.ssa Aringhieri. Il mio comodino non prevede un libro, poiché in questo periodo sarebbe un obiettivo troppo performante rispetto al tempo a disposizione!
La lettura di un articolo prima di addormentarmi è qualcosa di più accessibile!
Dr.ssa Esposito. Regalatomi da un caro amico tempo fa, ho potuto finalmente iniziare a leggerlo…Mi appassiona molto perché riesce a trasmettermi emozioni forti e adrenaliniche attraverso una trama intricata che lascia di stucco in modo costante e imprevedibile!
Dr. Carbonetti. Sto rileggendo in questo periodo Kafka sulla spiaggia di Murakami. Un modo per viaggiare oltre le limitazioni.
Dr.ssa Lussiana. Un insieme di aneddoti, storie, esperimenti ci accompagnano alla scoperta delle domande più intriganti sul comportamento umano e sul modo in cui pensiamo. Sigman, premiato neuroscienziato argentino, riesce ad essere anche un divulgatore appassionato, leggero e ironico. Un libro assolutamente non tecnico, adatto a tutti coloro che, come me, vogliono curiosare nei meccanismi della mente e trovare risposta a molti “perché?”. Gli argomenti di questo libro li trovate anche in un TED che Sigman ha tenuto nel 2016! https://youtu.be/uTL9tm7S1Io
Dr.ssa Totaro. La vera storia di Billy S. Milligan, uno dei casi più affascinanti di Disturbo Dissociativo dell’Identità.
Il libro è stato scritto da Daniel Keyes con la collaborazione del “Mastro”, una delle 24 identità di Billy.
Dr. Lagona. Quando romanzo storico, letteratura di genere e fumetto si incontrano ne nasce una trilogia accattivante e coinvolgente. Consigliatissimo per “evadere”.
Dr.ssa Delia. Sto leggendo Il Colibrì di Sandro Veronesi. Affronta un tema che in qualche modo richiama l’esperienza della quarantena, ovvero il significato dello stare fermi. Nel caso del libro, riuscire a stare fermi quando la vita ti dà delle “spallate terribili” è prova di una grande capacità di resistenza e resilienza.
Dr.ssa Calabrese. Sul comodino ho un libro fotografico. Mi piace il graphic design e trovo che il mondo della pubblicità offra un sacco di spunti per riflettere su vizi (e virtù?) dell’uomo. Qui si tratta del boom economico post-bellico negli U.S.A.”
Dr. Kalman. “Non c’è niente che abbia senso, è tanto tempo che lo so. Perciò non vale la pena di far niente, lo vedo solo adesso.”
Inizia così questa novella che narra la vicenda di un gruppo di giovani adolescenti. Al primo giorno di ripresa dell’anno scolastico, uno di questi ragazzi proclama questa verità: nulla ha senso e lascia la scuola per passare le sue giornate su un albero. I compagni infastiditi dal dubbio che lui possa avere ragione cercano di dimostrargli e forse ancor più dimostrarsi che si sbaglia. Parte in questo modo una ricerca di senso e significato in un’età fragile e al contempo creduta forte che è l’adolescenza. In una spirale nauseante vengono man mano fuori follia, paura, ma soprattutto l’essere abbandonati a se stessi. Il pugno allo stomaco arriva dritto a far riflettere l’adulto che un tempo è passato da quella spirale.
Dr.ssa Di Pierro. Il viaggio di un ragazzo nel passato che rappresenta in realtà, un viaggio dentro di sé attraverso la ricerca di una maggiore autoconsapevolezza. Emozioni, sensazioni e convinzioni permetteranno a Tazaki l’incolore, di trovare i suoi colori e quindi, di trovare un po’ di più se stesso.
Dr.ssa Querin. “Ho cominciato a leggere questo libro alcune settimane fa, prima dell’emergenza Coronavirus, in relazione al mio desiderio di approfondire una situazione clinica che incontriamo spesso nei nostri studi di psicoterapeuti, quella del trauma appunto. E ora, in concomitanza con l’emergenza internazionale che ci troviamo a vivere, ahimè, questo testo risulta fin troppo calzante…. Esso mette in luce le caratteristiche dell’evento traumatico, estremo,improvviso, soverchiante, sia che si tratti di eventi “straordinari”, (guerre, attacchi terroristici, disastri naturali), sia che si tratti di eventi, purtroppo, “ordinari” (abusi, maltrattamenti). Attraverso l’intreccio di teoria e testimonianza di persone sopravvissute a diverse esperienze traumatiche, il libro illustra le principali fasi del processo di guarigione: la creazione di un saldo senso di sicurezza, l’elaborazione e l’integrazione della storia del trauma, la ricostruzione dei legami tra la persona sopravvissuta e la comunità. È un libro del ‘97, ma, a mio parere, assolutamente attuale ed efficace nell’affrontare ciò che è impensabile e indicibile, aprendo nel contempo alla speranza e alla fiducia: i concetti espressi rimandano a aspetti essenziali, la dignità, il coraggio, libertà, il valore personale, ma anche l’umanità, l’altruismo, il senso di appartenenza e la solidarietà …. temi che risuonano in modo particolare nella situazione attuale, costituendo risorse importantissime che abbiamo e dobbiamo imparare ad utilizzare se vogliamo ri-cominciare a vivere.”