Mese: <span>Ottobre 2020</span>

L’ Assertività, di cosa si tratta?

Fonte: pixabay free

Essere assertivi è una condizione dell’essere liberi,

dove per essere liberi non si intende

un affrancarsi dai condizionamenti,

ma un poter scegliere responsabilmente.

(Franco Nanetti, La forza di ritrovarsi, 2002)

 

                                                                                       Comunicare assertivamente è… dire la verità

(Robert E. Alberti, Essere assertivi, 1977)

 

La parola “assertività” deriva dal latino ad serere, e significa «asserire» o anche affermare se stessi. L’ assertività è la capacità di esprimere i propri sentimenti, di scegliere come comportarsi in un determinato momento/contesto, di difendere i propri diritti, di esprimere serenamente un’opinione di disaccordo quando lo si ritiene opportuno, di portare avanti le proprie idee e convinzioni, rispettando, contemporaneamente, quelle degli altri.

Sviluppare un comportamento assertivo permette di gestire le relazioni professionali e sociali con fermezza, evitando sia la risposta aggressiva, sia quella passiva. Infatti quando si parla di assertività ci si riferisce ad uno stile di comportamento che si colloca in un’area intermedia tra gli altri stili di comportamento definiti passivo e aggressivo e rappresenta la modalità più efficace di interazione dal punto di vista sociale. Ciascuno di noi è caratterizzato da una particolare tendenza di comportamento, tuttavia lo stile adottato può variare a seconda delle circostanze in cui ci troviamo: “non esistono persone sempre assertive, ma solo comportamenti assertivi, che possono essere manifestati da tutti. Ciononostante, è vero che esistono persone che tendono ad essere aggressive, passive o assertive nella maggior parte delle situazioni” (Giannantonio, Boldorini, 2005).

Una caratteristica dello stile assertivo è riuscire a esprimere in modo autentico se stessi, a creare rapporti interpersonali basati sul rispetto reciproco e su modalità comunicative efficaci e, al tempo stesso, affrontare con efficacia anche le situazioni stressanti e problematiche.

 

Cenni storici del concetto di Assertività

Nel 1949 lo psichiatra statunitense Andrew Salter fu il primo che parlò di “personalità eccitatoria” ovvero in grado di esprimere i propri punti di vista e le proprie emozioni apertamente, in modo entusiasta e spontaneo.

Al contrario, una personalità “inibita” veniva descritta dall’Autore come schiava della logica e del pensiero, incapace di riconoscere ed esprimere i suoi sentimenti più intimi e di assecondare i suoi impulsi naturali.

Salter ipotizzò anche che la maggior parte degli scompensi psicopatologici fosse riconducibile a tratti di personalità inibiti, cioè a tratti che si formavano nella relazione precoce con figure parentali che tendevano ad inibire, spesso anche con modalità punitive, alcuni comportamenti sociali.

Salter intese così l’assertività come un modello di comportamento interpersonale, capace di garantire non soltanto un livello di civiltà nei rapporti tra gli uomini ma contemporaneamente uno stato di benessere emotivo a chi la mette in pratica.

Salter getta le prime basi per lo sviluppo delle tecniche di quello che oggi, in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale, viene chiamato Training Assertivo ovvero quell’insieme di procedure utili a migliorare la competenza sociale delle persone.

Dieci anni dopo, nel 1959 Joseph Wolpe introdusse il termine assertiveness e, riprendendo Salter, evidenziò l’importanza di esprimere apertamente i propri sentimenti come comportamento sano.

Robert E. Alberti e Michael L. Emmons nel 1974 idearono il primo Training Assertivo rivolto all’attivazione di potenziale e non al trattamento clinico di disturbi psichiatrici. Essi enfatizzarono l’importanza dei diritti di ciascun essere umano, a prescindere dal suo status sociale.

Secondo gli autori, ognuno ha il diritto di essere padrone della propria vita e di agire secondo il suo personale interesse e secondo le sue credenze, nonché di esprimere liberamente il suo punto di vista e i suoi sentimenti.

Il principale obiettivo del training era quello di aiutare le persone ad agire sulla base dei propri irrevocabili diritti personali. Lo sviluppo dell’autostima e di uno stile comportamentale assertivo non erano considerati, dunque, solo desiderabili, ma anche necessari per tutti i soggetti.

Nel 1981 Arnold P. Goldstein sviluppò una serie di esercizi volti ad acquisire certe competenze sociali. Questi esercizi erano rivolti a soggetti con difficoltà di apprendimento che venivano erroneamente ricondotte a deficit intellettivi, invece che a difficoltà relazionali. Tra gli esercizi ideati vi erano: osservare l’interlocutore, esprimere disaccordo, fare richieste, rispondere alle critiche, relazionarsi con persone insistenti, parlare in pubblico, etc.
Ad oggi si intende l’assertività come un concetto multidimensionale, che si correla a diversi concetti: immagine di sé, autostima, autoefficacia, abilità sociali, regolazione emotiva, gestione dei conflitti, tolleranza allo stress. La difficoltà ad essere assertivi si collega spesso a scarsa autostima, difficoltà nelle relazioni interpersonali, impulsività, carenze nella gestione delle emozioni e dello stress. Inoltre numerose ricerche mostrano come l’anassertività sia uno dei fattori che sovente si associano a problemi clinici quali l’ansia (specialmente l’ansia sociale) e la depressione.

Da ciò è derivata la diffusione di numerosi training di assertività, cui si è accennato in precedenza,  intesi come attività trasversale e autonoma che permette di allenare, appunto, lo stile di comportamento assertivo, con benefici sia sul piano soggettivo, emotivo che sociale.
Un presupposto importante da considerare, quando si parla di comportamenti adeguati e efficaci, riguarda la consapevolezza di se stessi, dei propri pensieri, sentimenti e atteggiamenti, del proprio modo di relazionarsi con gli altri e l’ambiente esterno. La consapevolezza è ciò che ci permette di conoscere e di scegliere quale comportamento mettere in atto in una particolare circostanza e in maniera responsabile. È importante dire che, attraverso un training di assertività, non si imparerà ad essere sempre assertivi ma si lavorerà su di sé, sulla conoscenza e consapevolezza di se stessi al fine di avere in mente le possibili alternative e poter attuare scelte responsabili e autonome, con l’auspicato obiettivo di imparare a mettere in atto comportamenti efficaci e funzionali.

Come già anticipato, la competenza assertiva non è intesa quindi come un’abilità innata ma come un’abilità che può essere appresa e potenziata, attraverso la conoscenza teorica e l’allenamento pratico. Proprio questo è lo scopo del prossimo “Corso online di Assertività” organizzato dalla Dott. Ssa Katia Querin e dalla Dott. Ssa Maria Grazia Esposito dell’Associazione Eco, che partirà il 30 Novembre 2020 attraverso la piattaforma Zoom.

Dr.sse Esposito e Querin

Bibliografia

– Anchisi R., Gambotto Dessy M., (2013) “Manuale di assertività, Franco Angeli, Milano;

– Boldorini A., Giannantonio M., (2005) “Autostima, assertività e atteggiamento positivo”, Ecomind;

– Faiella A., “Toglimi quel piede dalla testa per favore. Migliorare le relazioni con l’assertività: farsi rispettare senza prevaricare”, (2010) Gruppo24ore.

 

QUANTO CONOSCIAMO LA NOSTRA SESSUALITA’? Uno sguardo agli elementi che caratterizzano il sesso e le relazioni

Il sesso è un incidente: ciò che ne ricaviamo è momentaneo e casuale;

noi miriamo a qualcosa di più riposto e misterioso di cui il sesso è solo un segno, un simbolo”

Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, 1935/50 (postumo, 1952)

In psicoterapia di cosa si parla? Direi di tutto…. Di tutto ciò che occupa un interesse per il paziente. E in questo “tutto” una buona fetta è rappresentata dal sesso.

Molti varcano la soglia dello studio di un professionista proprio quando compare un “problema” nella camera da letto. Quando si inizia a percepire una propria mancanza di desiderio sessuale, o in quella del partner, emerge, infatti, anche una preoccupazione.

La tematica del sesso viene affrontata in seduta più frequentemente di quanto si immagini; e a dire il vero, racchiudere il contenuto che emerge solo con la parola “Sesso” è anche riduttivo.

Quando si parla di Sesso, in realtà, si sta parlando di come si decide di stabilire o evitare legami emotivi; come si esprime o si nega la propria mascolinità o femminilità; come si alleviano le ansie e le tensioni quotidiane; quali bisogni, desideri, piaceri si intrecciano; quali fantasie si utilizzano per ricercare l’eccitazione e come essa viene mantenuta.

Dare attenzione alla nostra sessualità, in poche parole, significa dare attenzione alla nostra persona e comprenderla permette di comprendere meglio noi stessi.

Come anticipato, nella sessualità troviamo tantissimi elementi intrecciati, spesso aggrovigliati, che rendono la “matassa” difficile da districare, ma un primo bandolo di essa è rappresentato dal senso di sicurezza.

Tutti noi siamo alla ricerca di un senso di sicurezza, sia fisica che emotiva. Così come cerchiamo di evitare situazioni pericolose fisicamente, tendiamo anche ad evitare quello che potrebbe minare la nostra sicurezza psicologica. Perché il senso di sicurezza venga percepito dall’individuo bisogna sperimentare un attaccamento sicuro: fin da piccoli si attiva questa ricerca e un attaccamento insicuro ci farebbe sentire in pericolo.

Un altro bandolo è rappresentato da colpa e preoccupazione che spesso compaiono insieme. Si è costantemente preoccupati di ferire gli altri e quando questo accade emerge il senso di colpa.

Colpa e preoccupazione compaiono già nei primi anni della nostra vita: un bambino non riesce a comprendere che un genitore ha una vita separata da lui e che non è lui ad esserne responsabile (pensiero onnipotente o egocentrico).

Un genitore se si ammalerà, divorzierà o morirà, il bambino si sentirà regolarmente in colpa, come se la causa fosse lui.

Ovviamente durante lo sviluppo, il bambino imparerà a differenziare le proprie motivazioni da quelle altrui, ma il senso di colpa per molti rimane radicato ed esso andrà ad influenzare negativamente l’eccitazione sessuale.

Altro elemento che cogliamo nella sessualità è la vergogna che con essa comporta sentimenti di inadeguatezza, rifiuto e impotenza. Se la colpa riguardava la convinzione che stiamo ferendo gli altri e di conseguenza li rifiutiamo, la vergogna si attiva quando ci sentiamo vulnerabili e indegni agli occhi degli altri e, di conseguenza, ci sentiamo rifiutati.

Tutti noi ci siamo sentiti respinti nella nostra vita, fin da piccoli accade, quando i genitori ci sgridano e/o ci criticano; a volte vergogna e rifiuto sono lievi, altre volte traumatici.

Proverò, ora, a guidarvi nel cogliere meglio tali aspetti: per tanto cerchiamo di comprendere come il senso di sicurezza, la colpa, la preoccupazione e la vergogna si manifestino nella sessualità.

Senso di sicurezza. Come precedentemente anticipato, la famiglia in tal senso gioca un ruolo cruciale. Essa è la prima finestra che ci permette di affacciarsi al mondo sociale.

Nella nostra famiglia acquisiamo forze e virtù ma anche credenze patogene che modellano le nostre esperienze di femminilità e mascolinità.

Le bambine crescono idealizzando l’amore romantico, ricercando una relazione stabile perché essa rappresenta una sicurezza sia oggettiva che soggettiva, evitando in questo modo la possibilità dell’abbandono.

I bambini, d’altro canto, devono crescere manifestando costantemente la loro virilità, crescono dovendosi separare dalle madri e rafforzare la loro mascolinità.

Il ruolo del padre è fondamentale poiché deve essere in grado di accogliere l’indipendenza del figlio e la sua mascolinità che si va a definire man mano che cresce, senza però svalutare e allontanare troppo la madre. Tutto questo si complica quando la figura paterna è emotivamente o fisicamente assente.

Negli uomini, quindi, l’oggettivazione delle donne e dei loro corpi permette di dividere il sesso dall’intimità, evitando di rimanere invischiati nei sentimenti e nei bisogni delle loro partner sessuali, garantendo un senso di sicurezza (momentaneo) tale da permettere l’eccitazione.

Colpa e preoccupazione. Sebbene il senso di colpa sia universale, le donne sembrano essere più inclini. Vengono educate fin da piccole a essere sensibili ai bisogni dei propri partner, ad essere gratificate nel dare e non nel ricevere, ad essere oggetto del desiderio piuttosto che desiderare qualcuno.

Per quanto la donna abbia lottato negli anni alla ricerca di un’emancipazione, ci portiamo tutt’ora dietro gli strascichi di una società maschilista: alcune donne sentono che una volta impegnate (l’impegno viene percepito maggiore quando c’è il matrimonio e i figli) si deve abbandonare la vita sessuale, il piacere che ha caratterizzato gli anni in cui si era single. Si da quasi per scontato che una donna dopo essere diventata madre perda automaticamente la propria passione, la propria energia sessuale, il proprio desiderio.

Tutto questo rende difficile far sì che si segua il principio del piacere e si manifesti la propria eccitazione. Ci si trova a preferire un ruolo sottomesso, mentre il ruolo dominante attrae maggiormente gli uomini.

Neanche gli uomini, però, sono esclusi dal senso di colpa e preoccupazione. Fin da piccoli si insegna loro a non mostrare emozioni perché “la sensibilità diventa debolezza”.

Ed ecco che l’approccio educativo a cui siamo sottoposti da bambini genera una conseguenza anche nella nostra sessualità da adulti: le donne tenderanno a ricercare Amore, ricercando l’eccitazione sessuale all’interno di una relazione, mentre gli uomini tenderanno a scindere il piacere sessuale dalla gratificazione emotiva.

Queste dinamiche sono così radicate nella nostra cultura al punto che le nostre menti diventano terreno fertile in cui portarle avanti. È visibile, infatti, nei messaggi pubblicitari, nel mondo della moda, nella pornografia, nei film, nei fumetti ecc.: le donne sono gli oggetti di sguardi maschili.

La donna, con la sua abilità seduttiva, attira l’attenzione dell’uomo ma non può esprimere un desiderio attivo autonomo.

Vergogna e senso di rifiuto. Pensiamo a come la sessualità spesso venga utilizzata per fornire un sollievo, temporaneo, dal disgusto che proviamo per noi stessi. Una persona eccitata non si sentirà né inadeguata, né imbarazzata per il proprio corpo, ma vien da sé che queste sensazioni quando sono presenti minano la sensazione di piacere, ostacolando eccitazione e sessualità.

Se si prova vergogna si crede che gli altri ci possano rifiutare; se si è eccitati si ricerca l’altro e ci si sente forti: in pratica, sono agli antipodi.

Ed ecco che crescendo si delineano le fantasie sessuali come soluzioni delicate al senso di colpa e preoccupazione, ma anche alla vergogna e alla sensazione di rifiuto che l’essere umano prova.

Il sadomasochismo, il piacere nel farsi legare e bloccare, il feticismo, il voyeurismo sono solo alcune delle fantasie sessuali che si attivano inconsciamente per tranquillizzare le ansie relative alle nostre credenze patogene. Credenze che fin da piccoli si sono rinforzate su quanto i nostri bisogni e desideri potessero determinare un danno ai nostri caregiver, di essere un pericolo magari per una mamma debole e depressa e per tanto di esserlo per tutte le donne, o di non meritare di ricevere cure da quella madre che era troppo assorbita dalla propria sofferenza da non riuscire a sintonizzarsi con i bisogni del proprio figlio.

Si utilizzano scenari in cui si prende o si cede il controllo, si scambiano i ruoli psicologici che nella realtà si sono vissuti per sentirsi momentaneamente sollevati e permettersi di sentirsi abbastanza sicuri per eccitarsi.

L’intento di questo articolo non è sicuramente quello di avanzare una “spiegazione” delle nostre fantasie sessuali, anche perché inevitabilmente otterremo il risultato opposto: lo spegnersi dell’eccitazione. Apportare, però, uno sguardo alle relazioni in senso più ampio e agli elementi che inconsciamente ricerchiamo, ci rende più consapevoli, anche sulla nostra sessualità.

Dott.ssa Sonia Allegro

Psicologa-Psicoterapeuta

Bibliografia:

Michael Bader “Eccitazione. La logica segreta delle fantasie sessuali” , Raffaello Cortina Editore, 2018.