Mese: <span>Settembre 2023</span>

LA DIFFICOLTA’ DI PERDONARE I NOSTRI GENITORI

Il vocabolario della lingua italiana suggerisce che perdonare è non tenere in considerazione il male ricevuto da altri, rinunciando  a propositi di vendetta, alla punizione, a qualsiasi rivalsa, e annullando con sé ogni risentimento verso l’autore dell’offesa o del danno.

A tutti può capitare di subire un danno e faticare a perdonare qualcuno, anche se il perdono è molto importante per superare una situazione dolorosa, rendendoci liberi di vivere al meglio la nostra vita. Altrimenti si rimane nel rancore e legati ad una situazione che fa soffrire. Bisogna sottolineare che più grande è l’affronto, più grande è il dolore, più vicina è la persona, più difficile diventa perdonare. Farlo con un padre o una madre che ci hanno fatto del male può essere un compito arduo, che costringe ad affrontare le nostre ombre.                                                                                                                                      

Il rapporto con i genitori, l’educazione da essi ricevuta, segna per sempre la vita dei figli,  il modo in cui i bambini sono trattati da piccoli influenza le loro personalità, plasmando i sogni e le paure. Nella memoria di molti è impressa la serenità e il benessere dell’essere accompagnati per tutta la vita dai genitori. Da loro si è ricevuto amore, sostegno, sono stati vicini nei momenti significativi della vita. Questo però è solo un lato della medaglia, perché anche i genitori che sono stati buoni in generale, si sono trasformati a volte in una fonte di dolore, magari a causa della loro poca disponibilità, della loro distanza fisica ed emotiva. Molte persone, pur avendo vissuto esperienze molto dolorose con il padre e con la madre, faticano a riconoscerlo e alcuni fanno addirittura di tutto per nascondere i sentimenti ambivalenti.

Anche se di solito i ricordi di infanzia assumono colorazioni cariche di calore e affetto,  non è sempre un periodo cosi roseo. Alcune modalità di rapporto famigliare possono influire decisamente nel corso della vita:                                    

L’iperprotezione genitoriale, può impedire ai figli di fare esperienze, di prendere decisioni, li spinge verso un percorso che non avrebbero scelto liberamente, influenzandoli nelle insicurezze, nelle paure e forse facendoli diventare adulti fragili.                                                                              

Alcuni genitori possono essere emotivamente instabili e possono trattare i figli in modo ingiusto, riversando su loro insoddisfazione, frustrazione e rabbia, umiliandoli o maltrattandoli fisicamente e psicologicamente.          

Molte famiglie vivono situazioni dolorose che generano grande sofferenza, soprattutto nei bambini, che sono i più vulnerabili.                                                    

Perché perdonare un padre o una madre è così difficile?

La forte impronta emotiva che generano le tematiche famigliari.                                Può essere difficile elaborare tutte esperienze dolorose di anni, per questo motivo il ricordo genera frustrazione, rabbia, risentimento e in alcuni casi odio.
Le aspettative ed illusioni.                                                                                                      
A volte, ci si aspetta ancora che quel padre o quella madre cambino e  diano l’amore, il sostegno e la comprensione che ci sono mancati così tanto. Perdonarlisignificherebbe praticamente rinunciare a quell’illusione.
Il senso di giustizia.                                                                                                          
Alcune persone pensano che perdonando i loro genitori, permettono loro di farla franca senza comprendere gli errori e senza dover rimediare ad essi.

Per maturare ed evolvere bisogna potersi allontanare dall’offesa. Non si può essere in pace con sé stessi mentre si è in guerra con il padre o con la madre. Questa consapevolezza è il primo passo per avere delle buone ragioni per iniziare un processo di perdono, che è innanzitutto unelaborazione psicologica, che presuppone anche il cambiamento di meccanismi di difesa profondi.

Imparare a tollerare l’ambivalenza nei confronti dei genitori

E’ molto difficile tollerare in noi, insieme all’amore e alla gratitudine, il risentimento e la delusione che si può provare per loro. Per amarli e perdonarli davvero ci si deve confrontare con loro per quello che sono veramente stati, con i loro meriti e le loro mancanze, facendo affiorare la varietà dei sentimenti, positivi e negativi, che si provano. Quando non si riesce a riconoscere questa complessità si rischia di non riuscire ad avere un rapporto autentico con loro, e inoltre dinamica si può rivolgere anche alle altre persone, instaurando dei meccanismi di diniego e scissione con chiunque.                                                                        

Nel diniego vi è un’esclusione involontaria ed automatica dalla propria consapevolezza rispetto ad un certo aspetto disturbante della realtà. La scissione, invece, è un meccanismo di difesa che consiste nello “scindere”, separare gli aspetti contraddittori, ma conviventi, dell’oggetto o dell’Io.                                                                                                         Amare qualcuno non significa idealizzarlo ma saper mettere insieme i suoi vari aspetti buoni e cattivi. In alcuni casi fare questo passo può essere particolarmente complicato. Immaginiamo ad esempio la difficoltà di mettere insieme nella mente  un genitore che diventa violento quando è ubriaco, ma potrebbe essere adeguato quando è sobrio.

Dopo che si sono riconosciute le parti brutte dei nostri genitori (se prima si negavano alla consapevolezza) come si può proseguire nel perdonare? Dopo che si è imparato a tollerare l’ambivalenza nella nostra immagine interiore di loro? Quando si sono abbandonati i meccanismi della scissione e il diniego, questa realtà tragica, come si può utilizzare?          

Fermarsi a comprendere la storia dei genitori, la motivazione dei loro sbagli e delle loro difficoltà, vedendosi inseriti in un quadro di trasmissione famigliare complesso, che comprende nostro padre, nostra madre e le generazioni precedenti.

Il cammino faticoso della consapevolezza passa attraverso tutti gli elementi positivi e negativi che vengono trasmessi in famiglia. Da una generazione all’altra possono passare traumi, conflitti, gravi vissuti famigliari.                                                                                  Ragionare in questo modo non annulla la responsabilità dei singoli (ad esempio non vuol dire giustificare un genitore maltrattante) ma permette di comprendere meglio il contesto in cui una persona nasce e cresce. Pensare che le sofferenze che ci hanno inferto i nostri genitori forse derivano da qualcuno che sta più a monte di loro, in una storia in cui noi e la nostra famiglia siamo immersi e partecipi.  Questa visione non annulla la rabbia, ma aiuta a guardare in modo più lucido alla situazione e a ridimensionare.

Quali sono i vantaggi del perdonare?

Non vuol dire dimenticare ma imparare a pensare meglio, nell’ottica della libertà anche di non riconciliarsi con chi ha offeso, ma bensì accettare ciò che è stato, senza che questo rappresenti una debolezza.
Perdonare è liberarsi di pesi che potrebbero gravare sulla qualità della vita
Il rancore ci sottrae l’entusiasmo, l’energia e la positività.                                                      
Il perdono è un processo, e anche se in alcuni casi può essere troppo difficoltoso perdonare del tutto l’altra persona, si può scaricare buona parte del risentimento per essere più leggeri e liberi.

Concludiamo l’articolo con le parole evocative di questa canzone, che con un’immagine forte fa riflettere sul tema del perdono e della complessità dei rapporti umani:

“Onora il padre, onora la madre e onora anche il loro bastone,                                                                       bacia la mano che ruppe il tuo naso perché le chiedevi un boccone:                                                                 quando a mio padre gli si fermò il cuore non ho provato dolore….                                                              Ma adesso che viene la sera e il buio mi toglie il dolore dagli occhi e scivola il sole al di là delle dune a violentare altre notti: io nel vedere quest’uomo che muore, madre, io provo dolore. Nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore”

(De Andrè, Il Testamento di Tito, 1970)

 

Dott.ssa Laura Rivoiro

Psicologa – Psicoterapeuta

 

Bibliografia

BORGOGNO, F. (2007), The Vancouver Interview, Borla, Roma

CERATO, M. (2003), Emozioni e Sentimenti. Curare il cuore e la mente, Effatà Editrice, Cantalupa (TO)

CERATO, M. (2019), Ti perdono (Forse!), Effatà Editrice, Cantalupa (TO)

FERRO, A. (2007), Evitare le emozioni, vivere le emozioni, Raffaello Cortina, Milano

TUTU, D. (1999), Non c’è futuro senza perdono, trad.it. Feltrinelli, Milano 2001

SECONDO LOCKDOWN E MECCANISMI DI NEGAZIONE: UNA RIFLESSIONE PSICOANALITICA

La pandemia da Covid-19, come fenomeno che ha colpito l’intera umanità, è stata un’esperienza che ha accomunato le persone a livello mondiale in termini di sensazioni, paure e vissuti. In pochi mesi ci siamo ritrovati, in qualunque parte del mondo, a porci le stesse domande, ad avere simili preoccupazioni e a condividere l’esperienza dell’attesa, dell’ignoto, del lutto e del cambiamento. La stessa terapia ha subìto diverse modifiche per adattarsi al nuovo contesto pandemico. Nello specifico, la psicoanalisi ha attraversato alcuni cambiamenti nella pratica clinica che hanno avuto un forte impatto sul setting, sull’alleanza terapeutica e sul modo di concepire la terapia. Analista e paziente, abituati alla stanza dei sogni con poltrone e lettino, si sono incontrati in una nuova veste con uno schermo a dividerli e a connetterli.

La psicoanalisi, nonostante sia nata più di cento anni fa, non è nuova alle trasformazioni e nel tempo si è modificata per adattarsi ai valori e ai bisogni attuali. Essa è diventata più flessibile, meno autoritaria, più pratica e più recettiva dei bisogni di un insieme di pazienti più ampio con origini culturali e sociali molteplici. Molti autori hanno trattato il tema delle cosiddette variazioni rispetto a una tecnica psicoanalitica classica. Fenichel (1941) scriveva “possiamo e dobbiamo sempre essere elastici nell’applicazione delle regole tecniche. Ogni cosa è ammissibile, se solo si sa perché”. Anche Anna Freud (1954) espresse l’opinione che i cambiamenti nell’applicazione delle regole e dei procedimenti tecnici sono a volte necessari quando possono essere teoricamente giustificati in relazione alla struttura di un determinato caso.

La pandemia ha avuto un forte impatto sulle terapie, sui terapeuti e sui pazienti. Il contesto così straordinario, ma allo stesso tempo comune a tutti, ha reso possibile che analista e paziente al di là dei loro ruoli e in quanto persone sperimentassero la piena condivisione di una realtà conosciuta ad entrambi perché vissuta proprio nell’hic et nunc. Il momento storico si rifletteva nelle esperienze dei pazienti così come in quelle del terapeuta. La riflessione sull’esperienza dell’essere terapeuti durante il primo e il secondo lockdown ha messo in luce delle differenze nelle due fasi e da qui è nata la curiosità di conoscere come i pazienti abbiano vissuto questi due momenti e se vi siano state delle discrepanze anche per loro.

Sicuramente ciò che è avvenuto in entrambi i momenti è stato un cambiamento radicale nel setting. La modalità da remoto, che prima non era così diffusa, è stata letteralmente sdoganata rendendo possibile confrontarsi con un nuovo modo di fare terapia sia come terapeuti, sia come pazienti. L’analista è stato chiamato quindi a modificare il suo metodo per il benessere del paziente. Questo ha portato con sé nuove riflessioni sul senso di una telefonata o di una videochiamata a seconda del tipo di trattamento che era in atto con il paziente, l’introduzione di un terzo nella relazione che era appunto lo strumento telematico (ma anche il contesto storico entro il quale ci si stava muovendo) attraverso il quale sono stati rivelati dei dettagli privati del terapeuta o del paziente che sono stati inevitabilmente condivisi (ad esempio spazi della casa, animali domestici). Anche il non presentarsi in seduta da parte del paziente si è modificato, non telefonando o non videochiamando e ciò ha sicuramente portato a un pensiero differente nel terapeuta rispetto alle assenze nel setting classico. Al ritorno in studio vi è stata inoltre l’introduzione di un aspetto medicalizzato, come l’igienizzazione delle mani e la compilazione di moduli.

Nel primo lockdown il vissuto del terapeuta è stato quello di avere la necessità di trovare una strategia, quella del fare come si può, che invece nella seconda chiusura si è tradotto nella possibilità di scegliere (ad esempio se continuare da remoto, come in alcuni casi richiesti dal paziente, oppure tornare in presenza). I contenuti delle sedute durante il primo lockdown erano focalizzati sulla pandemia, sulla paura del contagio, sul rispetto della norma. La sensazione, come terapeuta, era di essere un contenitore, ma allo stesso tempo di trovarsi letteralmente sulla stessa barca del paziente. Il secondo lockdown ha fatto emergere altri contenuti, temi e vissuti. Si è osservata una maggiore negazione della pandemia e un aumento nel non rispetto delle regole, anche in modo quasi inconsapevole. In questa fase è stato evidente come ci si sia trovati davanti alla fragilità dell’umanità, tema difficile per una società non abituata a questo ma orientata verso onnipotenza e narcisismo. Lingiardi e Giovanardi (2020) descrivono così quello che è stato il vissuto durante la seconda ondata: “Stiamo nel pieno di una nuova ondata, e il rischio di rivivere un trauma psichico è molto alto: per molti il ritorno al lockdown può accompagnarsi a paure profonde e innescare comportamenti fobici (reclusioni eccessive e preventive) e controfobici (assembramenti negazionisti, vita sociale indiscriminata). Il senso della ripetizione di un’esperienza che genera spavento e incertezza può essere molto invalidante. Colpisce nel profondo il proprio senso di continuità e la propria motivazione, ingredienti fondamentali per avere un senso di sé integrato e ben funzionante. Per una volta, invitiamo a risalire sul lettino”. Il vissuto del terapeuta è stato quasi l’opposto di quello dei pazienti: più consapevole della situazione e dei meccanismi di difesa, meno difeso e di conseguenza più sofferente e con più difficoltà nello stare vicino al paziente, nella stessa sua condizione ma con vissuti diversi.

Oltre al ruolo terapeutico in fase pandemica, la psicoanalisi è stata ingaggiata fuori dalla stanza d’analisi per spiegare alcuni fenomeni sociali. Rispetto al tema del negazionismo, della negazione e quindi del diniego a ottobre 2020 la rivista scientifica The Lancet ha pubblicato un articolo su ciò che è stato definito negli Stati Uniti d’America “un caso di non adesione ai consigli medici” unico nella storia (Ratner e Gandhi, 2020). È chiaro come la gestione della pandemia negli USA sia stata diversa da quella in Italia, tuttavia anche in Italia e nel resto del mondo si è assistito a un rafforzamento dei meccanismi di diniego, che sono emersi in modo massiccio nella seconda ondata pandemica. Gli psichiatri Austin Ratner e Nisarg Gandhi, autori dell’articolo, hanno chiesto un coinvolgimento della psicoanalisi nella gestione della situazione di negazione e della non adesione ai consigli medici legati al Covid-19. I meccanismi di negazione psicologica della malattia si legherebbero successivamente alla mancata aderenza alle raccomandazioni mediche.

Ma come può la psicoanalisi (e gli psicoanalisti) aiutare a comprendere e gestire la negazione di massa? Nello stesso modo con cui gli epidemiologi trattano i pericoli per la salute pubblica, ovvero aumentandone la consapevolezza. La psicoanalisi è chiamata a lavorare con le persone sul funzionamento dei loro meccanismi di difesa, nello specifico sottolineando come la negazione allontani dalla coscienza ciò che è intollerabile: il pericolo e l’ansia. Carl Gustav Jung (1946) invitava la psicoanalisi a “superare la profonda scissione esistente nell’uomo e nel mondo”.

In un momento delicato come quello della pandemia, il coinvolgimento della psicoanalisi è stato “un importante riconoscimento del potenziale trasformativo che la psicoanalisi può esprimere non solo come terapia individuale, ma come forza di cambiamento sociale” (Ratner e Gandhi, 2020).

Dott.ssa Tatiana Giunta

Psicologa – Psicoterapeuta

 

BIBLIOGRAFIA:

Fenichel, O. (1941). Problemi di tecnica psicoanalitica. Torino, Bollati Boringhieri, 1974.

Freud, A. The widening scope of indications for psychoanalysis discussion. Journal of the American Psychoanalytic Association, 1954.

Jung, C.G. (1946). Psicologia del transfert. Milano, Mondadori, 1985.

Lingiardi, V., Giovanardi, G. Psicoanalisi Anti negazionista. Il sole 24 ore, 02/11/2020.

Ratner, A., Gandhi, N. Psychoanalysis in combatting mass non-adherence to medical advice. The Lancet, 19/10/2020.