Mese: <span>Aprile 2024</span>

IL LUTTO NON E’ UN EVENTO PRIVATO. I compiti della famiglia nell’elaborazione del lutto

Quando muore qualcuno, agli altri spetta di vivere anche per lui”

Alessandro Baricco

Malgrado sia la famiglia il luogo naturale dove si vive una perdita e si elabora il lutto, da sempre l’esperienza della perdita è stata affrontata dalla psicoanalisi in termini individuali, per la risonanza emotiva che assume nella vita più intima del soggetto colpito dal dolore per la perdita di un affetto. Tuttavia non possiamo fermarci alla dimensione individuale, ma è necessario indagare anche gli effetti che il lutto produce nella dimensione più ampia della famiglia.

Il lutto costituisce, come affermano Andolfi e D’Elia (2007), “un affare di famiglia” ed è quindi nel contesto familiare che vanno ricercate le risorse per la sua elaborazione o per la sua mancata elaborazione. Risulta quindi necessario coinvolgere il mondo interno della persona, le sue relazioni familiari e sociali, i suoi valori, la sua cultura (Onnis, 1988).

Per la famiglia di oggi è molto più difficile affrontare il lutto rispetto al passato. In passato, la perdita di un affetto attivava un processo di condivisione del dolore a cui tutti i membri della famiglia stretta e dell’intera comunità partecipavano attivamente. Generalmente la persona moriva in casa, tutta la famiglia era coinvolta in uno specifico cerimoniale che iniziava con la cerimonia funebre e si concludeva generalmente dopo un anno, con il rito dell’anniversario di morte, momento in cui la famiglia stretta si legittimava a non indossare più abiti neri in segno di lutto.

Negli ultimi anni invece, si è assistito ad un incremento dei contesti assistenziali istituzionali, così la morte, da un momento di saluto condiviso del proprio caro, è diventato qualcosa da evitare e da vivere in solitudine, rimanendo a tutti gli effetti  un tabù da cui bisogna proteggersi. Il risultato è che spesso manca l’appoggio reciproco e il rischio è che tutti si sentano soli, trovandosi improvvisamente di fronte ad una morte che avevano previsto, ma che non hanno potuto preparare. Le famiglie di oggi così poco numerose  e così diverse dal passato, hanno più difficoltà a contenere in un gruppo solidale un evento particolarmente doloroso e traumatico come la perdita di uno dei suoi membri. Riuscire ad accettare ed elaborare la morte di un familiare dipende, ancora una volta da diversi fattori quali l’età del defunto, la natura della morte, la posizione occupata in vita nella famiglia e le implicazioni emotive, ma anche dalle caratteristiche del sistema familiare e dal suo grado di “apertura e flessibilità”.

La famiglia funziona come un sistema unitario, la perdita di uno dei suoi membri è un evento stressante per tutto il sistema familiare, soprattutto per i cambiamenti e i riadattamenti che essa impone. Al pari delle relazioni individuali, anche la famiglia vive la stessa sequenza di reazioni: shock, negazione e rifiuto, disperazione, rielaborazione, fase di accettazione e fase di lutto. In ciascuna di queste fasi p verificarsi una sorta di blocco o di irrigidimento che non consentirà al sistema di procedere oltre nelle tappe successive del lutto né di giungere alla sua completa elaborazione, spesso per una reciproca protezione dal dolore. Ad esempio potrà generarsi un tacito accordo secondo il quale non si può far riferimento all’evento luttuoso in nessuna situazione, oppure porterà i singoli a svolgere compiti e funzioni sempre uguali a loro stesse, con lo scopo di consolare e proteggere il familiare che secondo tutti, è stato quello più danneggiato dalla perdita. In entrambi i casi viene bloccata l’elaborazione del lutto e la possibilità di una ripresa della vita familiare. Secondo Minuchin (1982), la famiglia che ha sperimentato una morte o un abbandono può avere delle difficoltà nella riattribuzione dei compiti del membro che manca. Spesso si fisserà in un atteggiamento tipo: se la mamma fosse ancora viva, saprebbe cosa fare. Ciò significa che subentrare alla madre nelle sue funzioni sarebbe un atto di infedeltà alla sua memoria. Minuchin individua le morti prenatali o perinatali, gli aborti (volontari o involontari), le morti di bambini a pochi giorni, come le perdite più rilevanti che modificano la struttura emotiva della coppia e della famiglia. Per esempio l’aborto anche se è un evento programmato “scelto” e non accidentale è un lutto particolarmente difficile da elaborare proprio perché viene vissuto intimamente come qualcosa di cui vergognarsi e raramente viene condiviso. Sempre secondo Minuchin i “tempi” di elaborazione del lutto rientrano tra i 9-12 mesi, entro questo “tempo” la famiglia e l’individuo si evolverà verso una nuova situazione (sviluppo del processo di elaborazione) oppure si cristalizzeràsulla struttura organizzativa presente (blocco del processo di elaborazione). Alcune persone affrontano il lutto nascondendolo a loro stesse, spesso in terapia accade che la persona arrivi a parlare del lutto quasi accidentalmente, in questi casi parliamo di “negazione dell’evento doloroso”. Tra i diversi meccanismi di difesa che consentono alla persona di non entrare in contatto con una realtà troppo dolorosa e con i sentimenti ad essa legati, c’è appunto la “negazione” quella modalità per cui i contenuti dolorosi possono accedere alla coscienza alla sola condizione di essere negati. Ne risulterà un’accettazione esclusivamente razionale, negando tutto l’impatto emotivo che l’evento porta con sé.

Un altro elemento che può facilitare o bloccare l’elaborazione del lutto è l‘ambiguità dei confini familiari. I confini familiari sono intesi come l’insieme di norme che regolano i rapporti tra i vari sottosistemi (Minuchin, 1977). Come la membrana attorno alla cellula, i confini devono essere “solidi” al fine di assicurare l’integrità dell’individuo e “permeabili” per assicurare la comunicazione tra i membri della famiglia. In questo modo si definiscono i ruoli familiari, si marcano le differenze evolutive fra i membri della famiglia, venendo incontro ai bisogni emotivi di ciascun membro. Si individuano due tipologie di famiglie: famiglie invischiate (confini deboli) caratterizzate da un elevato livello di coesione, eccessiva vicinanza e indebolimento dei ruoli familiari; famiglie disimpegnate (confini rigidi) caratterizzate da uno scarso livello di coesione, marcata differenziazione e scarsa connessione tra i sottosistemi.

La tipologia di confini, dopo un primo momento in cui l’ambiguità dei confini sembra essere fisiologica, influenzerà la modalità con cui la famiglia reagirà al lutto.

Byng-Hall (1998), sostiene che chi subisce una perdita deve necessariamente assolvere a due compiti: piangere la persona scomparsa e dover rinunciare alle speranze e alle aspettative per ciò che sarebbe successo nel futuro con la persona che è venuta a mancare. In sostanza, la famiglia si ritrova a piangere il “copione” familiare che la famiglia aveva scritto per il futuro e dover riscrivere un “nuovo copione” che preveda l’assenza della persona defunta. Byng-Hall (1988) definisce i copioni familiari come le aspettative condivise dalla famiglia su come i ruoli familiari debbano essere rispettati all’interno di contesti diversi e su cosa deve essere detto o fatto all’interno delle relazioni familiari. Di fronte ad una perdita, la famiglia deve elaborare il lutto per quel copione familiare che prevedeva la presenza di tutti i suoi componenti. L’esempio più significativo è quello di genitori che perdono un figlio, insieme al lutto per il figlio dovranno elaborare il lutto per le speranze e le aspettative che avevano per il futuro del loro figlio, trovando la forza per piangere il vecchio copione e allo stesso tempo la forza per riscriverne uno nuovo.

Murray Bowen, nel saggio dal titolo “La reazione della famiglia alla morte” definisce la morte come un’onda d’urto emotiva che si diffonde intergenerazionalmente, generando disturbi psicopatologici nei suoi membri che spesso ne ignorano l’eziologia. L’onda d’urto emotiva non è direttamente correlata alle reazioni di dolore ma è piuttosto espressione del livello di fusione emotiva e di indifferenziazione presente tra i componenti della famiglia. La si può paragonare ad una sorta di contagio emozionale dove la sofferenza si diffonde dall’uno all’altro membro della famiglia sulla base della dipendenza emozionale esistente, di mancata differenziazione e di ipercoinvolgimento.

Due caratteristiche del sistema familiare possono facilitare oppure ostacolare l’elaborazione del lutto: un “sistema relazionale aperto” e un “sistema relazionale chiuso”. Nel sistema relazionale aperto, i sentimenti possono essere espressi liberamente senza timore di contagiare gli altri. La differenziazione tra i membri permette uno scambio comunicativo ampio e significativo e di conseguenza, una più semplice elaborazione del lutto per la persona che sente di poter condividere con i membri della sua famiglia i contenuti emozionali. Un sistema relazionale chiuso, invece, è rappresentato da quella famiglia in cui un individuo non è libero di comunicare pensieri, sentimenti e fantasie a causa della dipendenza emotiva dall’altro, non tutte le emozioni hanno l’autorizzazione ad essere espresse, ed è per questo meccanismo che spesso il lutto si trasforma in un argomento tabù di cui non si può assolutamente parlare.

La capacità comunicativa rispetto alla profondità del dolore, è una risorsa della famiglia, quando questa capacità viene meno, si manifesteranno modalità protettive e collusive, l’elaborazione del lutto sarà complicata e rallentata. Norman Paul (1965), evidenzia come eventuali lutti non risolti nel passato familiare possano avere un impatto significativo sugli scambi trigenerazionali, questo punto di vista pone l’accento su come il lutto non risolto possa tramandarsi di generazione in generazione. Per Canevaro (2005), lo scenario naturale del lutto non è solo la famiglia nucleare , bensì l’intero sistema trigenerazionale, che costituisce la rate allargata e che, insieme agli amici, si trasforma nel supporto più importante del sistema familiare nucleare e del singolo soggetto.

A seguito della perdita di uno dei suoi membri, sia il singolo che la famiglia, si trovano a dover svolgere una serie di compiti. I compiti che spettano all’individuo sono di natura intrapsichica, quelli invece, che spettano alla famiglia hanno una matrice relazionale che si fonda sullo scambio comunicativo e sulla capacità di riorganizzazione della struttura familiare.

Goldberg (1973), Gilbert (1996) e Pereira (1999), hanno individuato i compiti che la famiglia dovrà affrontare per una buona elaborazione del lutto:

riconoscere la perdita e che ciascuno dei membri della famiglia vive il proprio dolore
permettere a ciascun membro di esprimere sentimenti di tristezza, vuoto e dolore
rinunciare alla presenza della persona scomparsa
favorire la condivisione della sofferenza e del dolore tra i vari membri della famiglia
riallineare i ruoli, per permettere alla famiglia di riorganizzarsi  al proprio interno
riallineare i ruoli e i confini extrafamiliari, la famiglia si occuperà di riorganizzare la sua relazione con il mondo esterno
riaffermare il sentimento di appartenenza al nuovo sistema familiare

In conclusione affinché il lutto possa essere elaborato è necessario che la persona colpita possa dare libero sfogo alle proprie emozioni (paura, struggimento, collera, tristezza, senso di colpa), ovvero che attraversi tutte le fasi di elaborazione del lutto. Quando questa possibilità viene negata (dal soggetto stesso o dal sistema familiare), il lutto si blocca ed i vissuti emozionali che non hanno trovato il giusto ed adeguato sfogo, determineranno una pressione costante e duratura sul singolo fino ad arrivare ad un tipo di funzionamento patologico.

Dott.ssa Angela Pia Giampalmo

Psicologa-Psicoterapeuta

Bibliografia

Andolfi, M.- D’Elia, A. (2007), Le perdite e le risorse della famiglia, Raffaello Cortina, Milano.

Bowen, M. (1979), Dalla famiglia all’individuo, Astrolabio, Roma.

Byng-Hall, J. (1998), Le trame della famiglia. Attaccamento sicuro e cambiamento sistemico. Raffaello Cortina, Milano.

Canevaro, A. (2005), Approccio trigenerazionale al lutto familiare. In saggi, Child development and disabilities, Vol. XXXI, Associazione la nostra famiglia, Bosisio Parini.

Goldberg, S.b. (1973), Family Tasks and reactionsin the crisis of death, Family Service Association.

Haley, J. (1976), Terapie non comuni, Astrolabio, Roma.

Minuchin, S. (1977), Famiglie e terapia della famiglia, Astrolabio, Roma

Minuchin,S., Fishman, H.C. (1982), Guida alle tecniche della terapia della famiglia, Astrolabio, Roma.

Onnis, L. (1988), Famiglia e malattia psicosomatica, NIS, Roma.

Pereira, R. (2006), Un approccio sistemico al lutto, in Psicobiettivo, Fascicolo 1, Franco Angeli, Milano.

BIOFILIA E TERAPIA FORESTALE

Il termine biofilia (letteralmente amore per la vita) è stato introdotto da Fromm nel 1964 inteso come tendenza psichica, intrinseca alla biologia umana, a rivolgersi istintivamente verso la natura e le altre forme di vita. Secondo questa teoria, l’uomo di fronte a paesaggi naturali subisce una forma di “fascinazione”, intesa come attenzione involontaria che, contrariamente all’attenzione diretta e sostenuta, non richiede sforzo. Questo permette alla nostra mente di riposare e rigenerarsi, riconoscendo nella natura incontaminata un ambiente familiare, in qualche modo già conosciuto e riconoscibile.

I suoni e le immagini che provengono dalla natura, ci rimandano ad una sorta di memoria ancestrale, sono stimoli che non abbiamo bisogno di elaborare ed interpretare cognitivamente con sforzo, perché i nostri sistemi sensoriali sono, a partire dall’inizio della vita dell’uomo sulla terra, strutturati ed ottimizzati per elaborare quello specifico tipo di sensazioni. Non si viene mai sorpresi, l’attenzione non è mai catturata in modo attivo, non è mai allerta e questo facilita il recupero energetico ed il benessere psicofisico.

La terapia forestale, prende origine a partire proprio dai costrutti della biofilia, ovvero dell’evidenza che il contatto con la natura, a diversi livelli (dal più indiretto a quello più immersivo) genera benessere. Lo sanno bene i giapponesi che per primi hanno adottato il Shinrin-yoku (letteralmente bagno con il bosco) come parte delle strategie di prevenzione delle malattie croniche e tutela della salute pubblica. Nel 2020 l’ONU ha riconosciuto la frequentazione degli ambienti forestali come pratica di medicina preventiva, in particolare nel contrastare gli effetti successivi alla pandemia e, in Italia, il Ministero per le politiche agricole ha indicato la terapia forestale come un servizio socio culturale nel nuovo piano per le politiche forestali

Nonostante alcune ricerche abbiano dimostrato che già l’esposizione virtuale ad ambienti forestali sia sufficiente a ridurre i livelli di ansia percepita, la terapia forestale normalmente propone attività più strutturate e immersive come camminate consapevoli, meditazione, yoga, mindfulness e semplici attività manuali, svolte in piccoli gruppi guidati da guide specializzate affiancate da operatori sanitari della salute mentale.

Gli effetti benefici sono “dose dipendente”, ovvero più tempo si trascorre in un contesto naturale incontaminato, maggiori e più duraturi sono i benefici per la salute fisica e psichica. In media si consiglia di trascorrere nell’arco di una settimana almeno 2 ore immersi in ambiente naturale per avere benefici in termini di benessere percepito.

Quello che viene proposto è di compiere una esperienza immersiva, ovvero che coinvolga tutti i 5 sensi:

LA VISTA: è stato dimostrato che anche la sola stimolazione visiva con immagini forestali proiettate su uno schermo portava benefici psicologici e fisiologici. La visione di un contesto naturale, meglio ancora se selvaggio e incontaminato, con presenza di corsi d’acqua e con diverse tipologie di alberi e arbusti, produce una significativa riduzione dei livelli di ansia percepita.

IL TATTO: con qualsiasi parte del corpo di un elemento naturale produce un effetto calmante e un aumento dell’attività parasimpatica. Il contatto, in particolare con il legno di alcune specie arboree, soprattutto conifere, induce rilassamento rilevabile a livello fisiologico. Interessante notare che questo avviene sia in ambienti naturali all’aperto che in ambienti indoor in cui siano presenti manufatti in legno.

IL GUSTO: connette ancor più profondamente all’ambiente naturale, si pensi non solo alla gratificazione nel gustare piccoli frutti selvatici, ma anche ai possibili benefici di alcune piante selvatiche.

L’UDITO: gioca, ancor più della vista, un ruolo importante nell’indurre rilassamento; il suono di un ruscello, del vento tra gli alberi da soli possono determinare una sensazione di benessere

L’OLFATTO: è il senso che viene più coinvolto negli effetti benefici derivanti dalla terapia forestale. Quando ci troviamo, in particolare in un bosco, respiriamo quello che le piante emettono, cioè, composti organici volatili biogenici (detti BVOC), ovvero biomolecole con importanti effetti benèfici; da soli, anche a basse concentrazioni, sono ad esempio in grado di ridurre la percezione di ansia.

Biomolecole diffuse da piante diverse possono avere effetti diversi: antiinfiammatori, antiossidanti, calmanti, ansiolitici, antidepressivi, benèfici rispetto ai disturbi del sonno (conifere) antimicrobici, antiinfiammatori, anti-emorragici (latifoglie), neuroprotettivi(faggio).

I BVOC sono facilmente solubili nel sangue per cui vengono assimilati molto facilmente e sono in grado di superare facilmente la barriera ematoencefalica e quindi di produrre un effetto diretto sul cervello. Effetti simili si possono avere anche in ambienti chiusi in presenza di manufatti in legno, suoi derivati o oli essenziali.

Come illustrato la terapia forestale ha effetti benefici, in grado di prevenire tutta una serie di disturbi, inserendosi quindi come utile strumento di prevenzione primaria. È in grado, infatti, di prevenire alcuni disturbi a livello circolatorio, diminuendo la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna e i livelli di cortisolo, e migliorando l’efficienza del sistema immunitario, con una maggiore produzione di linfociti Natural Killer

Nuove evidenze si stanno raccogliendo anche rispetto alle possibilità terapeutiche della terapia forestale che si dimostra di ausilio nel trattamento di alcuni disturbi. Si è evidenziata ad esempio una riduzione della sintomatologia depressiva in particolare quando la terapia forestale si associa a pratiche meditative. Altre evidenze riguardano l’impatto della terapia forestale nel disturbo da dolore cronico, nel disturbo d’ansia e nel trattamento delle demenze in particolare nelle funzioni di attenzione e memoria. Negli ultimi anni sono diversi i filoni di ricerca che riguardano le applicazioni terapeutiche della terapia forestale; un elemento di criticità va rintracciato però nella difficoltà di indentificare protocolli standardizzati, ripetibili e controllati che permettano di strutturare protocolli terapeutici ufficiali.

In conclusione, ancora una volta si ha evidenza di come l’equilibrio mente corpo non possa prescindere dall’equilibrio con la natura e col ritrovare antichi rituali e paesaggi che ci rimettano in contatto con una dimensione naturale ancestrale dove la bellezza e l’armonia contribuiscono al nostro benessere.

Dott.ssa Chiara Delia

Bibliografia

Park et al. (2022). What Activities in Forests Are Beneficial for Human Health? A Systematic Review. International Journal of Environmental Research and Public Health, 19(5)
FAO and UNEP The State of the Worlds Forests 2020. Forests, biodiversity and people; Food and Agriculture Organization of the United Nations: Rome, 2020
White, M.P., et al, (2019). Spending at least 120minutes a week in nature is associated with good health and wellbeing. Sci Rep 9, 7730
Antonelli M et al (2020),. Forest Volatile Organic Compounds and Their Effects on Human Health: A State-of-the-Art Review. Int J Environ Res Public Health. Sep 7;17(18):6506.
Hansen MM, et al. (2017) Shinrin-Yoku (Forest Bathing) and Nature Therapy: A State-of-the-Art Review. Int J Environ Res Public Health. 2017 Jul 28;14(8):851.
Rosa C.D. et al. (2021) Forest therapy can prevent and treat depression: Evidence from meta-analyses Urban Forestry and Urban Greening
Zabini, F.; et al (2020) Comparative Study of the Restorative Effects of Forest and Urban Videos during COVID-19 Lockdown: Intrinsic and Benchmark Values. Int. J. Environ. Res. Public Health 2020, 17, 8011,