Mese: <span>Ottobre 2024</span>

SUL SUCCESSO DELLA ROUTINE

Morning routine, beauty routine, daily routine.


I social sono pieni di suggerimenti su come impostare routine efficaci ed efficienti per iniziare bene la giornata, prendersi cura di sé, fare sport, dedicarsi alla pulizia della casa, riposare al meglio, prosperare economicamente e chi più ne ha più ne metta.
Ma che cosa ci dice la scienza al riguardo? Le routine sono utili? E se sì, perché?

Quando si parla di miglioramento della qualità di vita, gran parte delle ricerche si focalizza su come, in situazioni di sofferenza e disagio, l’instaurazione e il mantenimento di nuove abitudini possa essere d’aiuto.

Studi hanno dimostrato come i ritmi biologici siano influenzati da quelli sociali. Costruirsi una routine che implichi la ripetizione giornaliera di alcune azioni o che identifichi in maniera chiara le fasi della giornata da dedicare ad attività specifiche, tenendo conto anche delle ore di luce/buio, permette di regolare il proprio ritmo interiore. Di conseguenza si riposerà meglio e durante la veglia si avranno risorse adeguate a regolare le emozioni e coltivare presenza e intenzionalità, con ricadute positive sulla produttività.

Si è visto inoltre come con l’età aumenti anche la stabilità delle routine quotidiane, poiché esse rappresentano verosimilmente un importante fattore di adattamento al cambiamento fisiologico dei ritmi biologici e circadiani.

Analizziamo insieme le suggestioni che arrivano dalle ricerche.

In centri che accolgono persone affette da demenza, la scansione del tempo attraverso momenti che si ripetono in maniera regolare nel corso della giornata (i pasti serviti sempre negli stessi orari, etc.) e della settimana (i laboratori del giovedì, l’attività ricreativa del sabato, e così via) rallenta il declino funzionale e offre sensazioni di sicurezza e stabilità in un mondo che appare sempre più confuso agli occhi degli ospiti.

Per i bambini, disporre di routine regolari stabilite dall’adulto è rassicurante perché riduce l’entropia di un mondo ancora tutto da esplorare e offre limiti all’interno dei quali muoversi e sperimentare. Un discorso analogo vale a maggior ragione per alcuni disturbi del neurosviluppo, come l’autismo o l’ADHD, poiché per bimbi che ne soffrono l’esterno apparirà ancora più disorientante e pericoloso.

Adulti neurodiversi beneficeranno anche loro di routine quotidiane e sociali perché esse rappresenteranno cornici all’interno delle quali muoversi per raggiungere obiettivi e coltivare valori.

Numerose ricerche hanno dimostrato come nel trattamento dell’insonnia è utile praticare quella che viene definita “igiene del sonno”. Essa consiste nell’eliminazione di stimoli attivanti dal luogo preposto al riposo e nel tempo immediatamente precedente la messa a letto. Si tratta, ad esempio, di evitare di tenere a vista nella stanza da letto oggetti che rimandino al lavoro o allo studio, di non fare attività fisica intensa e non utilizzare dispositivi elettronici prima di andare a dormire, di riservare un luogo fisico definito al sonno. A questa sorta di pulizia si dovrebbe affiancare l’introduzione di una serie di passaggi ripetitivi che dicano al corpo che ci si sta preparando al riposo. Tale routine può prevedere un bagno caldo, l’uso di una crema corpo spalmata con un automassaggio, la preparazione e l’assunzione di una tisana rilassante e così via.

In presenza di sintomi depressivi, l’attivazione comportamentale, ossia l’introduzione di piccole attività un tempo piacevoli nella quotidianità, insieme al supporto dei professionisti, è uno dei tasselli del percorso di ripresa.

Riassumendo, in condizioni di fragilità le routine aiutano a dare ritmo e significato alle giornate.

Infine, veniamo alle abitudini dei milionari. Vi sarà capitato di leggere libri o recensioni di libri che suggeriscono come la strada per il successo venga spianata da una routine collaudata.
Questo, in un certo senso, è vero.

Se ci pensiamo, avere una giornata con dei ritmi ben scanditi può:

regolare il tempo da dedicare al lavoro, al riposo e allo svago;
incrementare i livelli di energia;
aiutare a gestire le emozioni in maniera efficace;
velocizzare le incombenze quotidiane;
permettere di dedicare risorse a ciò che si ritiene prioritario;
mantenersi motivati per
raggiungere i propri obiettivi.

Non si può però esportare nella propria vita la routine di qualcun altro. È pensabile prendere spunto, ma la riproduzione dei ritmi di una persona che si ammira non garantirà i risultati sperati. E questo perché la routine è strettamente connessa ai valori. È da essi che bisogna partire per costruire quella più efficace per sé.

Fare mente locale su quel che conta offre la possibilità di scegliere ciò su cui si vuole investire risorse. Se si considera importante avere dei capelli lucenti, bisognerà prevedere nella giornata un momento da dedicare all’uso di prodotti specifici. Un’attività così semplice può apparire superflua ma, se riflettiamo, rappresenta un modo per coccolarsi, per sentirsi a proprio agio con se stessi e con gli altri e, in ultima istanza, per accrescere autostima e autoefficacia percepita. Se si intende accudire le persone amate, le giornate dovranno includere dei momenti riservati a una visita, una telefonata, un messaggio.

Riflettere sui valori permette di comprendere in quale direzione si vuole condurre la propria vita, come farlo, a che cosa dare priorità nel qui e ora, come tollerare la frustrazione e i cali di motivazione quando per coltivare un valore è necessario “sforzarsi”.

Una routine di successo non rende necessariamente, più ricchi, più affermati o più belli. Il successo consiste nel riuscire ad allineare le proprie azioni ai propri valori. Trovare spazio per fare ciò che conta farà sentire più appagati, più affermati e permetterà di affrontare con maggiore resilienza le intemperie della vita!

 

Dott.ssa Arianna Calabrese

Psicologa – Psicoterapeuta

 

Riferimenti bibliografici

Gitlin, L. N., Kales, H. C., & Lyketsos, C. G. (2012). Nonpharmacologic management of behavioralsymptoms in dementia. JAMA, 308(19), 2020–2029.

Haynes, P. L., Gengler, D., Kelly, M. (2016). Social Rhythm Therapies for Mood Disorders: an Update. Current psychiatry reports, 18(8), 75.

Moss, T. G., Carney, C. E., Haynes, P., Harris, A. L. (2015). Is daily routine important for sleep? An investigation of social rhythms in a clinical insomnia populationChronobiologyinternational, 32(1), 92–102.

Rogers, S. J., Dawson, G., Lord, C., (2010). Early Start Denver Model for Young Children with Autism: Promoting Language, Learning, and Engagement. New York: Guilford Press.

Sabet, S. M., Dautovich, N. D., & Dzierzewski, J. M. (2021). The Rhythm is Gonna Get You: Social Rhythms, Sleep, Depressive, and Anxiety Symptoms. Journal of affective disorders, 286, 197–203.

SINDROME DELL’IMPOSTORE Quando accettare il proprio valore personale diventa impossibile

La sindrome dell’impostore è stata teorizzata per la prima volta negli anni ’70 dalle psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes. Alcuni studi rilevano che il 70% della popolazione, sia maschile sia femminile, almeno una volta nella vita ha sperimentato questa condizione e si pensa che addirittura Albert Einstein ne soffrisse.

E’ importante rilevare che, anche se le psicologhe hanno attribuito il nome “sindrome” a questo fenomeno, non si tratta di una malattia e, di conseguenza, non lo troviamo tra le patologie inserite nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM).

Ma se non è una malattia, cos’è la sindrome dell’impostore? Si tratta di un fenomeno psicologico a causa del quale il soggetto non riesce ad attribuirsi il merito dei propri successi. Potrebbe dunque pensare di aver ottenuto un determinato traguardo, come per esempio il superamento di un esame universitario o una promozione sul lavoro, grazie alla fortuna (“le domande che mi hanno fatto erano facili!”) o all’aver ingannato gli altri (“il mio capo crede che sia competente, ma presto scoprirà che non è così!”).

La condizione di chi soffre della sindrome dell’impostore non necessariamente legata alla psicopatologia, dunque non è detto che chi ne è vittima sia affetto, ad esempio, da ansia o depressione. Piuttosto tale fenomeno è legato ad una combinazione di condizioni ambientali e caratteristiche personali.

Tra le cause possiamo trovare:

Essere cresciuto in un contesto familiare con una o più persone che hanno ottenuto successo o che si sono sempre distinte;
Essere particolarmente sensibili;
Aver ricevuto in famiglia sempre e solo complimenti, anche quando i risultati ottenuti non erano eccellenti;
Avere (o aver avuto) poche possibilità di esprimere liberamente le proprie emozioni;
Appartenere ad una minoranza oggetto di discriminazione sociale;
Affrontare nuove sfide (es. nuovo ambiente di lavoro).

La sindrome dell’impostore è strettamente legata all’autostima, al valore personale e all’idea che abbiamo di noi stessi e dei traguardi che immaginiamo di dover raggiungere per essere “accettabili” al livello sociale. Non a caso, è una condizione che spesso colpisce persone che ricoprono cariche importanti. Un aspetto che spesso non viene considerato è quello delle relazioni sociali. Infatti la sindrome dell’impostore non riguarda solo le capacità lavorative o accademiche, ma spesso colpisce anche l’ambito relazionale. Una persona potrebbe pensare di risultare simpatica o interessante solo perché gli altri non la conoscono abbastanza, e non si sono ancora accorti di quanto riesca a fingere di essere ciò che non è.

Essere colpiti dalla sindrome dell’impostore genera sofferenza e insicurezza e spesso dà origine ad una serie di pensieri negativi su di sé. Eccone alcuni esempi:

Sentirsi inadeguati rispetto al proprio ruolo professionale o sociale;
Convinzione di ingannare le persone rispetto al proprio valore;
Sentirsi in colpa per i traguardi raggiunti e pensare di non meritarli;
Paura di esporsi e di essere giudicati;
Paura di essere smascherati e di essere considerati degli impostori;
Accettare con difficoltà elogi e complimenti;
Essere convinti che i propri successi derivino unicamente dalla fortuna.

Ma quali sono i fattori che contribuiscono al mantenimento della sindrome dell’impostore? Ne sono stati rilevati principalmente due: il perfezionismo e la bassa autostima.

Il perfezionismo consiste nella consuetudine di pretendere da se stessi dei risultati di livello superiore a quelli richiesti dalla situazione. Questo porta il soggetto a diventare ipercritico rispetto alle proprie prestazioni (sociali, lavorative, accademiche, ecc.), portandolo a porre a se stesso standard sempre più elevati e spesso irraggiungibili. Qualunque risultato ottenuto ritenuto inferiore all’obiettivo preposto viene percepito come insoddisfacente e come diretta conseguenza dello scarso valore della persona. Il perfezionismo dà dunque origine ad un circolo vizioso, da cui diventa spesso difficile uscire. Ogni risultato “non perfetto” sarà considerato dal soggetto come la conferma di essere incompetente e, nel caso della sindrome dell’impostore, confermerà a convinzione di aver raggiunto traguardi e riconoscimenti di cui in realtà non è meritevole.

La bassa autostima è strettamente correlata al perfezionismo. Chi ne soffre ha la costante sensazione di essere inadeguato e di non valere abbastanza. Riconosce a se stesso uno scarso valore personale ed è afflitto dalla paura di sbagliare in qualunque situazione. Spesso chi ha bassa autostima è convinto di non poter essere amato e apprezzato per ciò che è. Il perfezionismo e l’impossibilità di raggiungere risultati impensabili vanno a riconfermare la scarsa percezione che la persona ha di sé.

Come superare la sindrome dell’impostore? Questo implica certamente un lavoro su se stessi, in particolare se questa è una condizione frequente o addirittura cronica. Per far fronte alla sindrome dell’impostore è importante imparare ad avere uno sguardo più oggettivo su se stessi, ad apprezzare i traguardi raggiunti e a fare i conti con i propri limiti: in poche parole bisogna imparare ad apprezzarsi e ad amarsi per ciò che si è. Porsi degli obiettivi raggiungibili e apprezzare i risultati ottenuti, imparare ad accettare i complimenti, accogliere con gioia i riconoscimenti, lasciando da parte l’ipercritica, è ciò che può aiutare a vivere al meglio la vita lavorativa e sociale.

A volte però sapere cosa dovremmo fare per stare meglio non è sufficiente a cambiare le cose. Fare ricorso alla psicoterapia potrebbe aiutare a uscire dalla dolorosa sensazione di essere degli impostori e imparare ad accettarsi per ciò che si è.

Dott.ssa Rossella Totaro

Psicologa e Psicoterapeuta