Mese: <span>Ottobre 2024</span>

Progetto RDC

Il progetto di sportello di ascolto psicologico nelle Valli di Lanzo prende forma grazie alla proposta promulgata dall’Associazione Eco (Epistemologia-Conoscenza-Orientamento) in risposta ad un bando emanato dal Corsorzio Intercomunale dei servizi socio-assitenziali (CIS) Valli di Lanzo.

Chi è, di cosa si occupa e quale posizione/ruolo ricopre l’Associazione Eco all’interno del panorama del terzo settore? L’associazione senza fini di lucro è stata fondata a Torino nel 1998 per rispondere a delle carenze percepite nell’ambito dell’offerta nell’area disabili del comune di Torino. Si è da subito contraddistinta per l’avvio di gruppi di lavoro, come quello denominato “AMA” destinato alle famiglie con pazienti disabili, per fornire loro sostegno e supporto nell’individuazione di strategie mirate per la risoluzione di difficoltà legate alla loro gestione. La mission a cui l’associazione Eco è sempre rimasta fedele è quella di migliorare la qualità di vita delle persone. Nel corso degli anni gli interventi espletati si sono ampliati, diversificandosi, interessando anche realtà differenti da quelle della disabilità, includendo nel proprio raggio di azione: le scuole, di diverso ordine e grado (sportello di sostegno psicologico ed educativo, attività di conoscenza del tema disabilità, laboratori per bambini con difficoltà intellettiva e comportamentale), l’Ospedale Valdese (gruppi sul tema disturbi del comportamento alimentare), i Centri per l’impiego della provincia di Torino (inserimento lavorativo mirato), i CSM di Avigliana-Giaveno-Rivoli (progetti di danza-movimento terapia, gruppi social skill training). In collaborazione con l’Associazione ASAI si è impegnata nella realizzazione di incontri di prevenzione sui disturbi del comportamento alimentare ed incontri incentrati sull’orientamento scolastico e nell’organizzazione di laboratori per l’implemento delle competenze emotive e per la gestione dei conflitti, rivolti a minori delle scuole primarie e secondarie di primo grado e alle famiglie. Nel comune di Torino, infine, ha realizzato laboratori per persone con disabilità fisica e intellettiva e serate socializzanti. Tra le altre attività gestite dall’associazione si fa menzione della realizzazione di eventi culturali e di promozione del benessere psico-fisico della persona, mediante organizzazione di conferenze, incontri di yoga della risata, di meditazione, laboratori sull’assertività, laboratori di social skill training.
All’interno dei progetti indetti dall’Associazione ECO, di più recente realizzazione è il servizio di supporto/sostegno psicologico, psicoterapico, realizzato tramite sportello di ascolto, in collaborazione con il CIS, rivolto ai percettori del reddito di cittadinanza, all’interno di un’offerta destinata ad un bacino di utenza comprensiva di minori, famiglie nel sostegno alla genitorialità, giovani adulti, adulti, anziani. Si tratta di un’ulteriore strumento che si propone quale risorsa aggiuntiva destinata a quella fetta di popolazione che lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. Il progetto, che vede la sua concretizzazione nei mesi di Aprile-Maggio 2022, prevede la collaborazione attiva e sinergica dei professionisti psicologi/psicoterapeuti dell’associazione con i servizi socio-assistenziali, educativi del territorio delle valli di Lanzo nelle rispettive figure di educatori, assistenti sociali, il cui confronto, scambio sui casi/progetti clinici, segnalazione per le future prese in carico, attività di coordinamento vede l’equipe di lavoro riunirsi, in modo cadenzato, una volta al mese. Lo sportello si svolge al mattino e al pomeriggio per un totale di quindici ore articolandosi nel seguente modo: ogni persona seguita avrà la possibilità di svolgere 10 sedute di supporto psicologico e/o percorso psicoterapico, eventualmente rinnovabili fino ad un massimo di tre volte per un totale di trenta sedute, in accordo e nel rispetto delle esigenze, bisogni della persona e dei Servizi. Il totale delle ore annuali dal progetto previste, in accordo con i fondi finanziati dal CIS, è pari a 265. Il progetto prevede altresì una prima fase di screening dedita alla raccolta e analisi della domanda, realizzata mediante colloquio conoscitivo, a seguito della segnalazione dei casi dai parte dei servizi. Il colloquio viene gestito da un professionista (psicologo clinico-psicoterapeuta) che si occupa di accogliere lo stato di sofferenza, malessere condiviso o meno dalla persona che ne richiede la presa in carico, al fine di testare la sua autentica motivazione intrinseca per l’avvio dei lavori. Nel rodare il progetto, costituito al suo interno di un primo step di triage medico e di un secondo step di invio al collega per la presa in carico ufficiale della persona, si è rivelato utile e prezioso lo scambio, la formazione ai servizi da parte dei professionisti sulla natura psicologica del lavoro che si sarebbe svolto. Fondamentale, pertanto, l’accompagnamento dei servizi all’alfabetizzazione del linguaggio psicologico, alla conoscenza degli strumenti di lavoro (relazione clinica, test), alla condivisione degli indici su cui focalizzare l’attenzione per la comprensione della sofferenza psicopatologica, filtrando in tal modo i servizi stessi le richieste da segnalare. Non poche le criticità emerse con i servizi nella fase iniziali di lavoro e rodaggio, ad esempio in merito ad alcune segnalazioni pervenute, come ad es. pazienti in carico ai centri di salute mentale con trattamento farmacologico in funzionamenti contraddistinti da gravi disturbi psicopatologici e/o in doppia diagnosi all’interno di compromesse e gravi organizzazioni di personalità. Prezioso il riconoscimento dei limiti emersi (casi di dropout, o di mancato rinnovo del percorso) nel lavoro sin ad ora svolto, al fine di poter migliore e garantire una sempre più elevata qualità del servizio offerto alla popolazione. Si è compreso l’importanza del rispetto di alcuni parametri, indicativi nel predire il grado di efficienza del lavoro terapeutico svolto: la motivazione intrinseca (propria, personale) e non estrinseca della persona presa in carico, la capacità della persona e/o dei servizi di saper differenziare il tipo di lavoro che si sarebbe svolto: piscologico all’interno dello sportello “Ti Ascolto”, di natura economica, socio-assistenziale nella relazione con i servizi socio-educativi. Quest’ultimo aspetto si è rivelato prezioso nel poter istaurare il professionista con l’utente un’autentica alleanza di lavoro terapeutica, non inquinata o contaminata da fattori distraenti/altri. Un ulteriore importante aspetto ha riguardato la possibilità per i professionisti, coinvolti all’interno del progetto nelle prese in carico ufficiali e strutturate della persona, di potersi distribuire nei diversi comuni afferenti al raggio di azione e intervento del CIS, garantendo alla popolazione quei minimi spostamenti richiesti per l’avvio dei lavori previsti. Imminente fu l’evidenza, come segnalato dai servizi stessi, della carente e deficitaria componente dei trasporti nel collegare i comuni tra di loro. Infine ancora due le aree di interesse, oggetto di riflessione, sulla natura e sull’efficacia del progetto: la dimensione di lavoro in rete, il tariffario proposto all’utente. In merito al primo punto si è potuto costatare, come già emerso in letteratura clinica, quanto la deprivazione sociale-economica, l’esiguità di servizi forniti dalla comunità alla persona, i fenomeni di isolamento sociale, la carenza di rete di figure parentali significative, costituiscano floridi fattori di rischio per l’emersione di fenomeni come la devianza e di condizioni gravi, importanti, psicopatologiche, in grado di compromettere in modo significativo il funzionamento bio-psico-socio-culturale dell’individuo. Alla luce dei casi via via sempre più frequentemente presi in carico, è emersa la preziosità e la significatività nel poter disporre di un lavoro di rete che coinvolga nel progetto di cura della persona tutti gli attori sociali che vi ruotino intorno, al fine di disporre di quanti più strumenti possibili a disposizione e di conoscenze che in modo esaustivo ne migliorino la qualità del lavoro offerto. Circa il secondo e ultimo punto si è rivelato utile rendere gratuite, alla popolazione dei percettori del reddito di cittadinanza, le prestazioni terapeutiche offerte nell’ottica di incoraggiare una maggiore sensibilizzazione della causa (la possibilità di chiedere aiuto, la presa in carico strutturata del proprio stato di malessere), in vista di uno sviluppo via via sempre più raffinato di presa di consapevolezza delle proprie problematicità, superando le criticità dettate dalle difficoltà economiche che ne impedirebbero l’accesso alle cure tanto negli studi privati per gli onerosi costi quanto nelle strutture ospedaliere caratterizzate da esiguità numerica, insufficienza di organico. Lo scopo del progetto è quello di invitare la popolazione a prendersi maggiormente cura di sé anche da un punto di vista psichico, offrendo la possibilità di fornire uno spazio privato, intimo, caldo, accogliente di ascolto. Ad oggi lo stato dell’arte del progetto prevede il fatto che alcune ore in più raccolte vengano destinate ad un prolungamento di percorso per le prese in carico più emergenziali, e per l’organizzazione di laboratori di yoga della risata, di meditazione e di social skill training. Si tratta di laboratori e incontri rivolti a piccoli gruppi di massimo sei-otto persone sempre afferenti ai territori gestiti dal CIS; esempi questi ultimi di altre modalità di prese in carico che passino attraverso la dimensione di cura gruppale con un focus centrato su tematiche di lavoro ben circoscritte. Il suddetto progetto che ha visto la sua programmazione e pianificazione nell’anno 2022, concretizzazione nell’anno 2022/2023, è stato oggetto di proroghe nel finanziamento da parte dei servizi fino all’anno 2025, per la fiducia riposta nel lavoro fino ad ora svolto da parte di professionisti. L’anno 2024, a seguito di modifiche riportate dal decreto legge 48 2023 in materia di erogazione sussidi economici per situazioni a rischio, fragili, ha visto l’assegno di inclusione (ADI) sostituirsi al reddito di cittadinanza. E’ stato previsto come l’ADI venisse destinato a tutti quei nuclei familiari i cui requisiti, di soddisfacimento richiesto, prevedano la presenza al loro interno di una o più delle seguenti condizioni: soggetti portatori di gravi handicap, (disabilità fisiche/psichiche invalidanti), minori, persona con almeno un’età anagrafica pari o over a 60 anni, soggetti in condizioni di svantaggio, certificate ,inserite in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari (disturbi psichici, dipendenze patologiche, disabilità certificate almeno al 46%, vittime di tratta e di violenza di genere, ex detenuti senza fissa dimnora, neo-maggiorenni che vivono fuori dal nucleo di origine per provvedimento delle autorità).

 

Dott.ssa Silvia Longo

Psicologa – Psicoterapeuta

SUL SUCCESSO DELLA ROUTINE

Morning routine, beauty routine, daily routine.


I social sono pieni di suggerimenti su come impostare routine efficaci ed efficienti per iniziare bene la giornata, prendersi cura di sé, fare sport, dedicarsi alla pulizia della casa, riposare al meglio, prosperare economicamente e chi più ne ha più ne metta.
Ma che cosa ci dice la scienza al riguardo? Le routine sono utili? E se sì, perché?

Quando si parla di miglioramento della qualità di vita, gran parte delle ricerche si focalizza su come, in situazioni di sofferenza e disagio, l’instaurazione e il mantenimento di nuove abitudini possa essere d’aiuto.

Studi hanno dimostrato come i ritmi biologici siano influenzati da quelli sociali. Costruirsi una routine che implichi la ripetizione giornaliera di alcune azioni o che identifichi in maniera chiara le fasi della giornata da dedicare ad attività specifiche, tenendo conto anche delle ore di luce/buio, permette di regolare il proprio ritmo interiore. Di conseguenza si riposerà meglio e durante la veglia si avranno risorse adeguate a regolare le emozioni e coltivare presenza e intenzionalità, con ricadute positive sulla produttività.

Si è visto inoltre come con l’età aumenti anche la stabilità delle routine quotidiane, poiché esse rappresentano verosimilmente un importante fattore di adattamento al cambiamento fisiologico dei ritmi biologici e circadiani.

Analizziamo insieme le suggestioni che arrivano dalle ricerche.

In centri che accolgono persone affette da demenza, la scansione del tempo attraverso momenti che si ripetono in maniera regolare nel corso della giornata (i pasti serviti sempre negli stessi orari, etc.) e della settimana (i laboratori del giovedì, l’attività ricreativa del sabato, e così via) rallenta il declino funzionale e offre sensazioni di sicurezza e stabilità in un mondo che appare sempre più confuso agli occhi degli ospiti.

Per i bambini, disporre di routine regolari stabilite dall’adulto è rassicurante perché riduce l’entropia di un mondo ancora tutto da esplorare e offre limiti all’interno dei quali muoversi e sperimentare. Un discorso analogo vale a maggior ragione per alcuni disturbi del neurosviluppo, come l’autismo o l’ADHD, poiché per bimbi che ne soffrono l’esterno apparirà ancora più disorientante e pericoloso.

Adulti neurodiversi beneficeranno anche loro di routine quotidiane e sociali perché esse rappresenteranno cornici all’interno delle quali muoversi per raggiungere obiettivi e coltivare valori.

Numerose ricerche hanno dimostrato come nel trattamento dell’insonnia è utile praticare quella che viene definita “igiene del sonno”. Essa consiste nell’eliminazione di stimoli attivanti dal luogo preposto al riposo e nel tempo immediatamente precedente la messa a letto. Si tratta, ad esempio, di evitare di tenere a vista nella stanza da letto oggetti che rimandino al lavoro o allo studio, di non fare attività fisica intensa e non utilizzare dispositivi elettronici prima di andare a dormire, di riservare un luogo fisico definito al sonno. A questa sorta di pulizia si dovrebbe affiancare l’introduzione di una serie di passaggi ripetitivi che dicano al corpo che ci si sta preparando al riposo. Tale routine può prevedere un bagno caldo, l’uso di una crema corpo spalmata con un automassaggio, la preparazione e l’assunzione di una tisana rilassante e così via.

In presenza di sintomi depressivi, l’attivazione comportamentale, ossia l’introduzione di piccole attività un tempo piacevoli nella quotidianità, insieme al supporto dei professionisti, è uno dei tasselli del percorso di ripresa.

Riassumendo, in condizioni di fragilità le routine aiutano a dare ritmo e significato alle giornate.

Infine, veniamo alle abitudini dei milionari. Vi sarà capitato di leggere libri o recensioni di libri che suggeriscono come la strada per il successo venga spianata da una routine collaudata.
Questo, in un certo senso, è vero.

Se ci pensiamo, avere una giornata con dei ritmi ben scanditi può:

regolare il tempo da dedicare al lavoro, al riposo e allo svago;
incrementare i livelli di energia;
aiutare a gestire le emozioni in maniera efficace;
velocizzare le incombenze quotidiane;
permettere di dedicare risorse a ciò che si ritiene prioritario;
mantenersi motivati per
raggiungere i propri obiettivi.

Non si può però esportare nella propria vita la routine di qualcun altro. È pensabile prendere spunto, ma la riproduzione dei ritmi di una persona che si ammira non garantirà i risultati sperati. E questo perché la routine è strettamente connessa ai valori. È da essi che bisogna partire per costruire quella più efficace per sé.

Fare mente locale su quel che conta offre la possibilità di scegliere ciò su cui si vuole investire risorse. Se si considera importante avere dei capelli lucenti, bisognerà prevedere nella giornata un momento da dedicare all’uso di prodotti specifici. Un’attività così semplice può apparire superflua ma, se riflettiamo, rappresenta un modo per coccolarsi, per sentirsi a proprio agio con se stessi e con gli altri e, in ultima istanza, per accrescere autostima e autoefficacia percepita. Se si intende accudire le persone amate, le giornate dovranno includere dei momenti riservati a una visita, una telefonata, un messaggio.

Riflettere sui valori permette di comprendere in quale direzione si vuole condurre la propria vita, come farlo, a che cosa dare priorità nel qui e ora, come tollerare la frustrazione e i cali di motivazione quando per coltivare un valore è necessario “sforzarsi”.

Una routine di successo non rende necessariamente, più ricchi, più affermati o più belli. Il successo consiste nel riuscire ad allineare le proprie azioni ai propri valori. Trovare spazio per fare ciò che conta farà sentire più appagati, più affermati e permetterà di affrontare con maggiore resilienza le intemperie della vita!

 

Dott.ssa Arianna Calabrese

Psicologa – Psicoterapeuta

 

Riferimenti bibliografici

Gitlin, L. N., Kales, H. C., & Lyketsos, C. G. (2012). Nonpharmacologic management of behavioralsymptoms in dementia. JAMA, 308(19), 2020–2029.

Haynes, P. L., Gengler, D., Kelly, M. (2016). Social Rhythm Therapies for Mood Disorders: an Update. Current psychiatry reports, 18(8), 75.

Moss, T. G., Carney, C. E., Haynes, P., Harris, A. L. (2015). Is daily routine important for sleep? An investigation of social rhythms in a clinical insomnia populationChronobiologyinternational, 32(1), 92–102.

Rogers, S. J., Dawson, G., Lord, C., (2010). Early Start Denver Model for Young Children with Autism: Promoting Language, Learning, and Engagement. New York: Guilford Press.

Sabet, S. M., Dautovich, N. D., & Dzierzewski, J. M. (2021). The Rhythm is Gonna Get You: Social Rhythms, Sleep, Depressive, and Anxiety Symptoms. Journal of affective disorders, 286, 197–203.

SINDROME DELL’IMPOSTORE Quando accettare il proprio valore personale diventa impossibile

La sindrome dell’impostore è stata teorizzata per la prima volta negli anni ’70 dalle psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes. Alcuni studi rilevano che il 70% della popolazione, sia maschile sia femminile, almeno una volta nella vita ha sperimentato questa condizione e si pensa che addirittura Albert Einstein ne soffrisse.

E’ importante rilevare che, anche se le psicologhe hanno attribuito il nome “sindrome” a questo fenomeno, non si tratta di una malattia e, di conseguenza, non lo troviamo tra le patologie inserite nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM).

Ma se non è una malattia, cos’è la sindrome dell’impostore? Si tratta di un fenomeno psicologico a causa del quale il soggetto non riesce ad attribuirsi il merito dei propri successi. Potrebbe dunque pensare di aver ottenuto un determinato traguardo, come per esempio il superamento di un esame universitario o una promozione sul lavoro, grazie alla fortuna (“le domande che mi hanno fatto erano facili!”) o all’aver ingannato gli altri (“il mio capo crede che sia competente, ma presto scoprirà che non è così!”).

La condizione di chi soffre della sindrome dell’impostore non necessariamente legata alla psicopatologia, dunque non è detto che chi ne è vittima sia affetto, ad esempio, da ansia o depressione. Piuttosto tale fenomeno è legato ad una combinazione di condizioni ambientali e caratteristiche personali.

Tra le cause possiamo trovare:

Essere cresciuto in un contesto familiare con una o più persone che hanno ottenuto successo o che si sono sempre distinte;
Essere particolarmente sensibili;
Aver ricevuto in famiglia sempre e solo complimenti, anche quando i risultati ottenuti non erano eccellenti;
Avere (o aver avuto) poche possibilità di esprimere liberamente le proprie emozioni;
Appartenere ad una minoranza oggetto di discriminazione sociale;
Affrontare nuove sfide (es. nuovo ambiente di lavoro).

La sindrome dell’impostore è strettamente legata all’autostima, al valore personale e all’idea che abbiamo di noi stessi e dei traguardi che immaginiamo di dover raggiungere per essere “accettabili” al livello sociale. Non a caso, è una condizione che spesso colpisce persone che ricoprono cariche importanti. Un aspetto che spesso non viene considerato è quello delle relazioni sociali. Infatti la sindrome dell’impostore non riguarda solo le capacità lavorative o accademiche, ma spesso colpisce anche l’ambito relazionale. Una persona potrebbe pensare di risultare simpatica o interessante solo perché gli altri non la conoscono abbastanza, e non si sono ancora accorti di quanto riesca a fingere di essere ciò che non è.

Essere colpiti dalla sindrome dell’impostore genera sofferenza e insicurezza e spesso dà origine ad una serie di pensieri negativi su di sé. Eccone alcuni esempi:

Sentirsi inadeguati rispetto al proprio ruolo professionale o sociale;
Convinzione di ingannare le persone rispetto al proprio valore;
Sentirsi in colpa per i traguardi raggiunti e pensare di non meritarli;
Paura di esporsi e di essere giudicati;
Paura di essere smascherati e di essere considerati degli impostori;
Accettare con difficoltà elogi e complimenti;
Essere convinti che i propri successi derivino unicamente dalla fortuna.

Ma quali sono i fattori che contribuiscono al mantenimento della sindrome dell’impostore? Ne sono stati rilevati principalmente due: il perfezionismo e la bassa autostima.

Il perfezionismo consiste nella consuetudine di pretendere da se stessi dei risultati di livello superiore a quelli richiesti dalla situazione. Questo porta il soggetto a diventare ipercritico rispetto alle proprie prestazioni (sociali, lavorative, accademiche, ecc.), portandolo a porre a se stesso standard sempre più elevati e spesso irraggiungibili. Qualunque risultato ottenuto ritenuto inferiore all’obiettivo preposto viene percepito come insoddisfacente e come diretta conseguenza dello scarso valore della persona. Il perfezionismo dà dunque origine ad un circolo vizioso, da cui diventa spesso difficile uscire. Ogni risultato “non perfetto” sarà considerato dal soggetto come la conferma di essere incompetente e, nel caso della sindrome dell’impostore, confermerà a convinzione di aver raggiunto traguardi e riconoscimenti di cui in realtà non è meritevole.

La bassa autostima è strettamente correlata al perfezionismo. Chi ne soffre ha la costante sensazione di essere inadeguato e di non valere abbastanza. Riconosce a se stesso uno scarso valore personale ed è afflitto dalla paura di sbagliare in qualunque situazione. Spesso chi ha bassa autostima è convinto di non poter essere amato e apprezzato per ciò che è. Il perfezionismo e l’impossibilità di raggiungere risultati impensabili vanno a riconfermare la scarsa percezione che la persona ha di sé.

Come superare la sindrome dell’impostore? Questo implica certamente un lavoro su se stessi, in particolare se questa è una condizione frequente o addirittura cronica. Per far fronte alla sindrome dell’impostore è importante imparare ad avere uno sguardo più oggettivo su se stessi, ad apprezzare i traguardi raggiunti e a fare i conti con i propri limiti: in poche parole bisogna imparare ad apprezzarsi e ad amarsi per ciò che si è. Porsi degli obiettivi raggiungibili e apprezzare i risultati ottenuti, imparare ad accettare i complimenti, accogliere con gioia i riconoscimenti, lasciando da parte l’ipercritica, è ciò che può aiutare a vivere al meglio la vita lavorativa e sociale.

A volte però sapere cosa dovremmo fare per stare meglio non è sufficiente a cambiare le cose. Fare ricorso alla psicoterapia potrebbe aiutare a uscire dalla dolorosa sensazione di essere degli impostori e imparare ad accettarsi per ciò che si è.

Dott.ssa Rossella Totaro

Psicologa e Psicoterapeuta