Categoria: <span>Uncategorized</span>

VIOLENZA DOMESTICA: COME RICONOSCERLA E COME SPEZZARE IL VORTICE CHE S’INNESCA

“Violenza domestica”. Quante volte abbiamo sentito questa espressione negli ultimi anni? Molti di
voi penseranno che ormai sia un argomento “cult”, ma è davvero così?
Volendo fare chiarezza possiamo dire che l’ambito d’intervento sia relativamente giovane, ma la
tematica non lo è affatto. La violenza infatti è sempre esistita ma, oggi più del passato, viene
percepita come un problema e quindi affrontata.
In particolare la violenza contro le donne ha radici antichissime negli atteggiamenti culturali. Il
rapporto uomo-donna ha da sempre esplicitato schemi in cui da un lato si coglievano
caratteristiche quali superiorità, attività e potere e dall’altro inferiorità, passività e obbedienza.
Già ai tempi di Platone e Aristotele si delineava la donna “per natura più debole dell’uomo” dato
che “il corpo femminile è incompleto, menomato” e come tale la sottomissione femminile all’uomo
veniva autorizzata.
In età romana la donna veniva vista esclusivamente con una funzione procreativa, a tal punto che,
se risultava sterile, poteva venir ripudiata dal marito e dal resto della famiglia.
Nelle epoche seguenti la considerazione della donna non variò di molto, ma si arricchì di divieti
(es. il cristianesimo ne vietò le funzioni sacerdotali, nel medioevo potere e patrimonio venivano
ereditati solo per discendenza maschile, ecc.).
Per fortuna esisteva qualche rara eccezione: nell’antica Babilonia e nell’antico Egitto le donne
godevano dei diritti di proprietà e a Sparta amministravano l’economia. Questo ci dovrebbe
portare ad una riflessione: la donna è davvero per natura più debole dell’uomo?
Forse la natura in questo caso non c’entra nulla. Ne consegue che possa essere un problema
strutturale della società. È la società stessa, infatti, che produce una differenza di genere,
determinando un problema di salute pubblica.
Furono i movimenti femministi degli anni 70 a portare alla luce tale dinamica e la violenza contro
le donne si trasformò, di fatto, da questione privata ad un problema sociale. Si ruppe, così, il muro
di silenzio che l’idea di famiglia, fino a quel momento, aveva nascosto dietro una potente barriera.
Ma ritorniamo al concetto di violenza domestica e dopo questa importante premessa proviamo a
comprenderla meglio. Per prima cosa essa è un Reato e come tale perseguibile dalla legge.
L’articolo 1 della Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne dell’ONU (1993)
definisce con tale espressione “qualsiasi atto di violenza fondata sul genere che comporti, o abbia
probabilità di comportare, sofferenze o danni fisici, sessuali o mentali per le donne, inclusi le
minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitrale della libertà, sia che si verifichi nella
sfera pubblica sia in quella privata”.
La violenza domestica non è da intendersi solo come fisica, ma anche psicologica, sessuale ed
economica. Al di sotto di tutte queste forme di violenza si delinea il riproporsi di quel vortice che
Lenore Walker, psicologa americana, definì nel 1979, con il nome di ciclo della violenza. Essa mise
in evidenza come la violenza domestica avvenga all’interno di una relazione che dovrebbe essere
di amore, di cura e di fiducia. Proprio per questo motivo diventa molto difficile comprenderne
l’inizio, ma è più comprensibile pensarla come “un progressivo e rovinoso vortice in cui la donna
viene inghiottita dalla violenza continuativa, sistematica e quindi ciclica da parte del partner”.
Le tre fasi, delineate dall’autrice, tendono a ripetersi con continuità.

Prima fase: la crescita della tensione. Una tensione che solitamente ha esordio come una violenza
verbale, quindi più subdola. L’uomo mostra un crescente nervosismo che lo porta ad essere
perennemente irritato, generando confusione nella compagna. La donna, che avverte questa
tensione, mette in atto una serie di strategie con la finalità principale di “tenere calmo l’uomo”.
Tutto è focalizzato su di lui, pur di evitare l’abbandono tanto temuto dalla partner.

Seconda fase: la violenza viene espressa. In questa fase l’uomo perde il controllo, che potrebbe in
un primo momento essere agita sugli oggetti e arrivando, in un secondo momento, alla violenza
fisica. In questa fase si delinea il dominio e la prevaricazione dell’uomo sulla donna.

Terza fase: “la luna di miele” o una finta riappacificazione. Dopo la violenza agita, l’uomo mette in
atto tutta una serie di comportamenti riparatori con l’intento di cancellare o minimizzare la
violenza che la donna ha subito. È la fase in cui la compagna ci crede e perdona; in seguito ad un
rinforzo positivo spesso si decide di tornare ad investire nuovamente nella relazione. Proprio in
questa fase, infatti, le donne che avevano trovato il coraggio di uscire da una relazione malata si
trovano a ritirare le denunce o ad abbandonare un percorso che avevano iniziato per uscire dalla
violenza.

Il fatto che esso sia stato definito ciclicamente intende proprio il ripetersi, spesso in tempi sempre
più brevi rispetto all’esordio, con conseguenze sempre più devastanti. Ad ogni episodio di
maltrattamento si genera maggiore fragilità nella donna. Ad una diminuzione della capacità di
reazione ne consegue l’aumento del livello di tolleranza della violenza. Questo ciclo è uno stress
emotivo continuo che porta al disorientamento e alla confusione e ad un abbassamento notevole
del benessere psicofisico della donna.
Per gli “addetti ai lavori” risulta fondamentale riuscire a conoscere le fasi che si innescano nella
violenza domestica perché permette di discriminare la relazione maltrattante da una relazione
conflittuale. I meccanismi che ritroviamo, infatti, sono differenti e riconoscibili in tre step.
L’inizio è segnato dall’intimidazione in cui la donna viene spaventata con comportamenti
imprevedibili, minacce e violenza verso oggetti. L’uomo si avvale di denigrazioni, umiliazioni che
intaccano l’autostima della compagna. In questo modo la donna inizia a distorcere la realtà, a
percepire di meritarsi tutto ciò, per qualche strano motivo.
Il meccanismo successivo che si attiva è l’isolamento con l’intento di allontanare le figure di
riferimento, comportando spesso una rinuncia, da parte della donna, al proprio lavoro e, di
conseguenza, alla propria indipendenza. Il pensiero inconscio che si genera nell’uomo violento è
semplice, ma molto efficace: se la compagna rimarrà sola, isolata dal contesto relazionale e l’unico
riferimento permarrà il suo uomo, essa sarà maggiormente controllabile.
La violenza psicologica progressivamente va ad attaccare l‘identità riducendo drasticamente la
stima di sé. La donna si sentirà inadeguata, debole, incapace, arriverà a pensare di aver causato lei
stessa i maltrattamenti e di meritarseli.
Come è possibile in seguito ad un’esperienza traumatica riuscire a ritornare ad avere fiducia
attraverso la psicoterapia?
“Di relazioni ci si ammala e di relazioni si guarisce” (Patrizia Adami Rock).
In queste parole credo ci sia l’essenza della psicoterapia: attraverso la relazione terapeutica la
donna maltrattata riuscirà a recuperare il senso di sicurezza, di controllo sulla propria vita, di
fiducia nell’altro e a riprendere possesso delle risorse che precedentemente aveva abbandonato.
Perché questo possa avvenire, il professionista dovrà riuscire a ricostruire insieme alla sua
paziente la storia di maltrattamento per comportare una decostruzione del sistema di
dominazione-sottomissione creatosi e delinearsi come un “testimone” che solidarizza con la
donna.
La violenza che la donna ha subito dovrà essere dominata da lei stessa: dovrà riuscire a
riconoscersi in un primo momento come vittima e, in un secondo momento, a percepirsi come
soggetto con capacità decisionale, superando il senso di vergogna che il maltrattamento ha
insinuato. In questo modo la spirale della violenza potrà essere interrotta.

Psicologa – Psicoterapeuta
Dott.ssa Sonia Allegro

Quando venire alla luce nasconde qualche ombra: il post partum

Se qualcuno è disposto ad ascoltare le lacrime della madre,

quello sarà anche il momento in cui la madre sarà in grado

di ascoltare il pianto del suo bambino”(Selma Fraiberg, 1999)

Se ti riconosci in quanto scritto, contattaci https://www.ecoassociazione.it/mentre-attendo-te-mi-prendo-cura-di-me/

La nascita di un figlio è un evento straordinariamente complesso, carico di significati profondi, coincide con molteplici e talvolta repentine modificazioni, a livello biologico, sociale e psicologico. Si caratterizza come una profonda crisi evolutiva1, che implica mutamenti relativi al proprio ruolo sociale, alle proprie relazioni interpersonali e all’intero Sé.

Il passaggio dall’essere esclusivamente “figlia”, ad essere anche “madre” se da un lato è conferma della propria capacità riproduttivo/creativa, dall’altra riattiva una serie di riflessioni, più o meno consapevoli, riguardo all’essere come la propria madre o diversa da lei. Insomma vengono rivissuti e rivisitati conflitti infantili, esperienze relazionali e elementi conflittuali di se stessa figlia con i propri genitori ed in particolare con la propria madre.

Nonostante negli ultimi decenni, drammatici fatti di cronaca abbiamo fatto emergere in tutta la sua drammaticità il dolore, l’angoscia e la solitudine che talvolta le madri vivono, ancora oggi all’immagine di madre si associa l’idea di serenità, gioia, appagamento totale e totalizzante. Nell’immaginario una “brava mamma” deve essere “sempre all’altezza”, amorevole, gentile, empatica e devota ad un neonato bisognoso. Tali aspettative non fanno altro che far sentire la neo mamma, incompresa, sola, incapace e arrabbiata.

Nella realtà quotidiana ci si confronta dolorosamente con l’essere una mamma “imperfetta”, che accudisce il bambino reale, anche lui così diverso dal bambino fantasticato durante i mesi di attesa. Pensiamo ad esempio a come anche un momento come l’allattamento, immagine di tenerezza e amore assoluti, possa per alcune donne trasformarsi in una “messa alla prova”, con conseguente paura del rifiuto, frustrazione, ansia. Il legame mamma/bambino si realizza ed arricchisce in fondo proprio anche grazie a quella “imperfezione” come riporta Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista che ha osservato come i bambini abbiano bisogno nel loro sviluppo proprio di una mamma “imperfetta”. Coniò per questo il termine di madre “sufficientemente buona”, capace sì di dare al suo bambino cure adeguate, ma capace anche, con le sue imperfezioni, di permettere al bambino di vivere piccole esperienze di frustrazione e mancanze che gli permetteranno di confrontarsi con il mondo reale fuori da sè.

Per poter essere accanto al suo bambino la mamma ha anche lei bisogno di essere “accudita” e sostenuta nei primi mesi di vita del suo bambino, ha bisogno di prendere fiducia nelle proprie capacità e ha bisogno che qualcuno spesso le dica “come si fa” e che accolga i suoi vissuti di incertezza, di tristezza, di stanchezza e di inadeguatezza che comunemente fanno fronte in molte neo mamme.

Come abbiamo visto, difficoltà emotive nelle prime settimane dal parto sono diffuse e per certi aspetti fisiologiche, vengono sperimentate da una percentuale di neo mamme che si aggira intorno al 50%, tanto da essere ritenute una normale reazione al parto. Questo insieme di sensazioni che prende il nome di “baby blues” o “maternity blues” si verifica entro le prime due settimane dal parto, con senso di tristezza, tendenza al pianto, stanchezza, irritabilità. La remissione è generalmente spontanea nell’arco di una settimana.

Molto diversa è invece la sintomatologia della psicosi puerperale, il disturbo più grave tra quelli ad esordio nel puerperio che fortunatamente ha un’incidenza molto ridotta. Può presentare mania o depressione, distacco o distorsione della realtà, allucinazioni. In queste situazioni il rischio per l’incolumità del bambino è significativo, nonostante la prognosi sia generalmente favorevole e l’episodio in genere si risolva entro due mesi dalla diagnosi, a patto che venga effettuata una adeguata presa in carico delle pazienti in un approccio integrato mamma-bambino.

Alterazione dello stato emotivo nel post partum che può avere ricadute più importanti sia sulla salute mentale della donna che nella relazione mamma bambino è la cosiddetta depressione post partum, che compare in genere nel corso del primo trimestre dopo il parto o comunque entro il sesto mese, più raramente entro l’anno di nascita del bambino. Si caratterizza per una serie di specifici sintomi depressivi (tristezza, sfiducia, pianto, irritabilità, inadeguatezza), ansiosi (sensazione di allarme, di pericolo, di perdita di controllo), neurovegetativi (disturbi del sonno, incubi, confusione, somatizzazioni, vertigini) e nella relazione mamma-bambino (distacco, mancanza di empatia avversione, disinteresse).

I principali fattori di rischio per questa sindrome includono: pregressi episodi depressivi, deflessione del tono dell’umore in gravidanza, una storia di sindrome disforica premestruale e la presenza di severo maternity blues nel post partum. Recentemente è stata posta una particolare attenzione alla prolungata privazione di sonno o una ridotta qualità del sonno come fattori di rischio significativo per la depressione post partum. Studi epidemiologici hanno riportato come fattori predisponenti oltre a quelli precedentemente citati anche quelli di natura psicosociale, come la presenza di conflitti coniugali o l’assenza di sostegno sociale e familiare, giovane età e bassa scolarizzazione. Questi ultimi elementi fanno riflettere sul bisogno di contrastare l’isolamento e la solitudine delle neo mamme, che hanno bisogno anzi di sapere che intorno a loro c’è una rete familiare, sociale e sanitaria che si può prendere cura di loro.

Come è stato precedentemente illustrato, durante la gravidanza e il puerperio, la donna è particolarmente vulnerabile, dopo il parto alla gioia immensa si associano confusione, paura, stanchezza, angoscia. Diventa difficile per le persone che le sono accanto capire quali possono essere i segali di un malessere più profondo. A volte, sono le donne stesse a sottovalutare o celare il loro malessere: non si sentono in diritto di sentirsi infelici in un momento in cui si ritiene di doversi sentire entusiasta, o, proprio per il fatto di essere tristi, si sentono inadatte come madri. Anche per questo spesso le situazioni più sfumate non arrivano ad essere trattate da specialisti e, val la pena sottolineare, che le depressioni post partum non trattate tendono a recidivare e a cronicizzare, arrivando ad incidere in senso profondo sull’intero funzionamento della personalità della donna, con ripercussioni sul bambino e sulla famiglia.

Non c’è vergogna nel poter essere mamme imperfette e non c’è vergogna nel chiedere aiuto, tutte le difficoltà condivise e portate alla luce sono già in cammino verso la ricerca di una soluzione, ma i vissuti tenuti nascosti, mascherati e ignorati sono invece talvolta un potenziale pericolo trattenuto dentro di sé. I bambini hanno bisogno di mamme serene, capaci di prendersi cura di loro stesse per potersi poi prendere a loro volta cura di loro bambini e, a volte, le braccia sicure e protettive della mamma per restare tali hanno bisogno di essere sostenute da altre braccia, in quel momento più forti e solide, e da altri abbracci.

1un momento in cui tutto subisce un cambiamento subitaneo, dal quale l’individuo esce trasformato, sia dando origine ad una nuova soluzione, sia andando verso la decadenza” Jaspers K., Psicopatologia generale, Il pensiero scientifico, Roma, 1964

corso di Mindfulness per autistici ad alto funzionamento e Asperger

Il percorso di mindfulness rivolto a bambini con autismo ad alto funzionamento proposto dall’associazione mira a fornire strategie alternative per la gestione di stress, emozioni negative e relazioni.

Esso prevede un colloquio preliminare con i genitori, un incontro di gruppo in cui i genitori potranno sperimentare in prima persona la mindfulness e, per i bambini, 8 incontri in piccolo gruppo di un’oretta ciascuno a cadenza settimanale, il sabato mattina.

I bambini vengono divisi in due gruppi:

  • bambini tra i 6 e gli 8 anni dalle 9.30 alle 10.20
  • bambini tra gli 8 e i 10 anni dalle 10.30 alle 11.20

Cosa ti puoi aspettare se tuo figlio frequenta questo gruppo?

Nello specifico, la pratica dell mindfulness in bambini nello spettro autistico potrebbe intervenire su:

  • deficit di coerenza centrale, grazie all’allenamento a spostare l’attenzione da esperienze interne a esterne;

  • funzioni esecutive, lavorando su attenzione focalizzata e sostenuta e insegnando a non agire gli impulsi appena si presentano;

  • competenze sociali e comunicative, poiché l’attenzione al momento presente si coltiva anche nelle interazioni;

  • regolazione emotiva e strategie di coping, incrementando la consapevolezza rispetto al proprio mondo emotivo e ai suoi nessi con pensieri e comportamenti.

  • Un aumento delle competenze attentive, emotive e sociali in età evolutiva potrebbe prevenire l’insorgenza
    di ansia e disturbi dell’umore e offrire una migliore qualità della vita per individui e caregivers.

Dove si svolgono gli incontri?

Gli incontri avverranno nella palestra dell’Apri onlus in via Nizza 151 a Torino.

Il percorso partirà al raggiungimento di 5 iscritti per gruppo.

Qual è il costo?

Il primo colloquio è gratuito. Il percorso che prevede: 1 incontro mindfulness per i genitori, 8 incontri mindfulness per il bambino e un incontro con i genitori di fine percorso ha il costo di 150 euro, + 25 ero di iscrizione all’associazione.

Chi devo contattare?

Dottoressa Calabrese tel 3282498911 mail ecoassociazione@gmail.com

MINDFULNESS PER GLI AUTISTICI AD ALTO FUNZIONAMENTO

Negli ultimi anni si sente parlare sempre più frequentemente di mindfulness, ma di che cosa si tratta?

(guarda il video su cos’è la Minfulness https://www.youtube.com/watch?v=o6u3kigq3ck&t=11s)
Essa riguarda la capacità di “porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento
presente e in modo non giudicante” (Kabat-Zinn, 1994). Si tratta cioè di affinare l’abilità di portare la
consapevolezza sul qui e ora, attraverso pratiche formali e informali, cercando di viverlo appieno senza
avere la testa impegnata a rimuginare sul passato o a preoccuparsi per il futuro. Ha a che fare inoltre con
l’abilità di disinnescare il pilota automatico, meccanismo che ci porta a reagire in maniera rapida e
distratta riproponendo schemi e abitudini che, seppure noti, non necessariamente contribuiscono al nostro
benessere ma anzi alimentano spesso circoli viziosi dai quali vorremmo uscire.
Un allenamento alla consapevolezza, se costante, può avere ricadute positive su molti aspetti, dalla
gestione dello stress alla regolazione emotiva, dalla resilienza alle relazioni interpersonali.

E’ stata fatta ricerca sugli effetti della meditazione di Mindfulness?

A oggi, la mole di ricerche sulla sua efficacia è cresciuta esponenzialmente: è stato dimostrato come la pratica modifichi le reti neurali, determinando un aumento dell’attività delle aree prefrontali, deputate a controllo e pianificazione, a discapito di quella dell’amigdala, coinvolta nelle reazioni emotive. I campi di applicazione in cui appare valida risultano i più
svariati. La pratica della meditazione di Mindfulness ha ricadute positive su diversi disturbi fisici come pressione alta, disturbi gastrointestinali, del sonno ecc, ma anche su difficoltà psicologiche come i disturbi alimentari e dissociativi per esempio. 
Le ricadute positive si sono evidenziate anche  nei disturbi dello spettro autistico.

Cosa contraddistingue il funzionamento di tipo autistico?

A contraddistinguere il funzionamento di tipo autistico sono la capacità di relazione e interazione sociale
deficitarie, nonché la presenza di interessi ripetitivi e stereotipati. Tali caratteristiche, a prescindere dal
grado di autonomia e di funzionamento, sono sempre presenti in maniera variabile. Nell’immaginario
comune, le persone con un disturbo dello spettro autistico sono “chiuse nel loro mondo”, rigide,
inavvicinabili e aggressive. In realtà si tratta di individui con un funzionamento diverso da quello della
maggior parte della popolazione, che implica modi di capire il mondo e di rapportarsi ad esso differenti e
richiede un constante sforzo di adattamento per aderire e regole e abitudini pensate da e per neurotipici.
Spesso, le persone autistiche, anche ad alto funzionamento o con sindrome di Asperger, mostrano difficoltà
a carico delle funzioni esecutive, della coerenza centrale (abilità di sintetizzare e integrare informazioni)
nella comprensione di metafore e modi di dire, nella teoria della mente (capacità di attribuire stati mentali,
intenzioni e punti di vista ai propri interlocutori), nella regolazione delle emozioni o nella gestione delle
relazioni interpersonali e peculiarità sensoriali (tipo ipersensibilità a determinati stimoli). Tali difficoltà
si scontrano con la spinta alla realizzazione personale e professionale e danno spesso origine a stati
ansiosi o disturbi depressivi, molto frequenti in questa fascia di popolazione.

In quale modo la Mindfulness può essere di aiuto agli autistici?

La mindfulness può essere una valida alleata per favorire:

  • l’autoregolazione emotiva,

  • diminuire i comportamenti stereotipati volti a scaricare l’emozione

  • migliorare l’attenzione e la concentrazione,

  • migliorare le interazioni sociali.

  • studi preliminari dimostrano come la sua applicazione in contesti di terapia
    individuale con adolescenti e adulti favorisca un maggiore controllo degli impulsi in situazioni
    emotivamente attivanti.

  • Per quanto riguarda i bambini, alcuni autori hanno evidenziato come percorsi di mindfulness di gruppo
    offrano l’opportunità di incrementare le abilità di regolazione emotiva e interazione sociale, specie se tale
    percorso viene svolto in parallelo da genitori/caregivers, che hanno così l’opportunità di scoprire nuovi
    modi per gestire emozioni derivanti, ad esempio, dall’emissione di comportamenti-problema da parte dei
    loro figli. Una migliore gestione dello stress derivato dalle sfide che crescere un bambino con autismo
    impone di affrontare da parte dei genitori e un incremento delle abilità di autoregolazione e relazionali da
    parte dei figli hanno ricadute benefiche reciproche sulla qualità di vita del nucleo familiare e, conseguentemente, sul suo adattamento.


    Nello specifico, la pratica dell mindfulness in bambini nello spettro autistico potrebbe intervenire su:

  • deficit di coerenza centrale, grazie all’allenamento a spostare l’attenzione da esperienze interne a esterne;

  • funzioni esecutive, lavorando su attenzione focalizzata e sostenuta e insegnando a non agire gli impulsi appena si presentano;

  • competenze sociali e comunicative, poiché l’attenzione al momento presente si coltiva anche nelle interazioni;

  • regolazione emotiva e strategie di coping, incrementando la consapevolezza rispetto al proprio mondo emotivo e ai suoi nessi con pensieri e comportamenti.

  • Un aumento delle competenze attentive, emotive e sociali in età evolutiva potrebbe prevenire l’insorgenza
    di ansia e disturbi dell’umore e offrire una migliore qualità della vita per individui e caregivers.

BIBLIOGRAFIA
• Dovunque tu vada, ci sei già. Jon Kabat-Zinn, Ed. Corbaccio (1994).
• Mindfulness e acceptance in psicoterapia. Bulli e Melli (a cura di), Ed. Eclipsi (2010).
• A mindfulness intervention for children with autism spectrum disorder. Hwong e Kearney, Ed.
Springer (2015).

Se hai un figlio Asperger o con autismo ad alto funzionamento e sei interessato a farlo partecipare al nostro gruppo Mindfulness clicca qui.

Quando venire alla luce, nasconde qualche ombra

Le prime fantasie associate al diventare genitori accompagnano già nostri giochi infantili e la nostra
crescita, modificandosi fino al raggiungimento dell’età adulta. La genitorialità, presagita nel gioco
infantile, viene inserita in quelle tappe evolutive che la nostra cultura considera parte naturale
dell’esistenza. Spesso, nel passaggio dalla fantasia alla realtà, le donne si ritrovano a confrontarsi
con un’idea di maternità fortemente idealizzata, dove le idee romantiche si trasformano in vere e
proprie aspettative irrealistiche verso se stesse e verso la propria famiglia.
Tali aspettative rendono talvolta più difficile per le future mamme prendere contatto con gli aspetti
più negativi della maternità. Perché l’amore materno può anche non essere un istinto, ma un
processo da costruire. Non si nasce “genitore”, lo si diventa: se nove mesi servono al feto per
giungere al completo sviluppo, questi sono necessari anche alla madre per prepararsi, non solo
fisicamente, ma anche psicologicamente all’evento nascita.
In questo periodo si assiste a numerosi cambiamenti sia a livello individuale che di coppia, sul
piano sociale, su quello legato alla propria immagine corporea, alle proprie relazioni interpersonali
e al proprio Sè. Questi cambiamenti, se da un lato sono del tutto fisiologici, dall’altro possono
essere fortemente destabilizzanti. Il confronto con un corpo che si trasforma, accompagnato dal
cambiamento di ritmi fisiologici, gusti ed abitudini, è talvolta fonte di disagio, un disagio che può
rimanere inespresso, perché una futura mamma “deve per forza” essere felice.
Non sempre, infatti, un certo ideale di maternità tiene conto di tutta una serie di elementi di
ambivalenza che permeano la gravidanza ed il puerperio: gioia, entusiasmo, sorpresa talvolta
cedono il passo alla tristezza, rabbia, paura in un rimescolarsi di emozioni. La donna, in questi casi,
non si sente all’altezza delle aspettative del contesto intorno a lei e si sente diversa dalle altre
mamme “da pubblicità”, sempre così sollecite ed entusiaste nell’accogliere la nuova vita con tutti i
cambiamenti che questa comporta.
Anche nella nostra esperienza di clinici ci siamo più volte confrontati non soltanto con disturbi
conclamati ad insorgenza durante gravidanza, ma anche con il bisogno di accoglienza, sostegno e
contenimento di paure e fragilità, così diffuse e spesso sottaciute dalle future madri.
Per questo crediamo sia necessario, da parte di tutti gli operatori coinvolti nella gestione clinica
della gravidanza, ogni possibile sforzo per intercettare e prevenire condizioni di sofferenza emotiva,
ma anche che sia fondamentale che le donne ed i loro familiari siano in grado di riconoscere i
possibili segnali di allarme e di individuare gli specialisti curanti di riferimento. Tutto questo non

solo per permettere alle gestanti di vivere un momento così prezioso ed irripetibile nel modo più
sereno possibile, ma anche per prevenire disturbi nella relazione mamma bambino, patologie
clinicamente più rilevanti nel post partum o conseguenze sull’andamento della gravidanza (basso
peso alla nascita, preeclampsia, parto pretermine).
È stato ad esempio evidenziato come la manifestazione di un disturbo d’ansia in gravidanza triplichi
la probabilità di sviluppare un disturbo depressivo nel postpartum. Sebbene la prevalenza del
disturbo d’ansia in gravidanza sia simile a quella di altre fasi della vita della donna, questo riguarda
circa il 13-15 % (sebbene calcolato su popolazione non italiana) 1 2 , dati che sollecitano attenzione,
sia per una pronta presa in carico, sia in ottica preventiva.
Lo stesso vale per i disturbi sul versante depressivo in gravidanza che, va sottolineato, sono tra i
principali fattori di rischio per la depressione post partum. Sono ancora pochi i dati sulla
popolazione italiana, ma si stima che una percentuale di donne, che varia dal 10-16 al 14-23%,
soffra di disturbi dell’umore in gravidanza 3 , con una prevalenza superiore nel primo trimestre 4 , forse
anche in relazione alle difficoltà nell’accettare lo stato di gravidanza e per le paure a questo legate,
in particolare quando non attesa. La percentuale di donne che in questa fase, riceve una corretta
diagnosi e terapia è piuttosto bassa, sia per la resistenza nel rivolgersi agli specialisti del settore, che
per la difficoltà a differenziare tra reali sintomi depressivi conclamati e fisiologiche e temporanee
flessioni del tono dell’umore, legate a naturali cambiamenti del corpo, del peso, del ritmo
sonno/veglia, tipici dell’evoluzione della gravidanza, che provocano stanchezza fisica, mentale ed
emotiva, a causa di cambiamenti fisiologici ed ormonali.
Da quanto riportato, emerge ancora una volta la delicatezza e l’importanza che il periodo della
gravidanza rivestono nella vita di mamma e bambino. Per questa ragione, affinché le madri siano
accompagnate e “contenute” e MAI lasciate sole è importante che vengano superati timori e
resistenze e che ci si rivolga tempestivamente a psicoterapeuti competenti nel sostenere le donne in gravidanza.

Per quanto fin qui evidenziato l’Associazione Eco ha attivato un servizio volto al sostegno e accompagnamento ad una genitorialità serena e consapevole oltre che a prevenire e trattare disturbi delle donne in gravidanza e nel puerperio.

 

Dr.sse Chiara Delia e Consuelo Aringhieri

PSICOTERAPIA LOW COST en castellano

Podeis contactarnos al 3282498911 (Dra. Calabrese) para recibir mayores informaciones.

Desde hace 20 años la Asociación E.C.O responde a las necesidades de la población colmando los vacios dejados por la sanidad pública. Es por esto que en el 2011 ha empezado un proyecto de soporte a las dificultades psicologicas y sociales que pueda dar respuesta a las exigencias de las personas en este particular contexto historico en el cual es difícil recibir ayuda de los entes públicos o poder tener acceso a una ayuda profesional con un coste al acance de todos.

Es por esto que la Asociación E.C.O recogió la disponibilidad de algunos profesionales de la salud mental que ofrecen sus servicios en parte recibiendo una remuneraciòn y en parte como voluntarios. De esta manera las personas pueden obtener una respuesta a sus problemas y se favorece la solidariedad.

El servicio se ofrece a todos aquellos que sufren de dificultades emotivas y también a quien no tiene dificultades economicas.

Los psicologos y psicoterapeutas de E.C.O son expertos en el sufrimiento psicologico y pueden ayudaros ya seais niños, adolescentes, adultos o parejas a enfrentar problemas como los siguientes:

  • addición y abuso de alcohol

  • proceso del duelo

  • trastornos de ansia y fobias especificas

  • trastornos del estado de ánimo

  • dicultades relacionales

  • crisis existenciales

  • elaboración de traumas y abusos

  • dificultad para cerrar con el pasado

  • trastornos psicosomáticos

ATENCIÓN el servicio es low cost y no gratis. Si pensais de no poder pagar un costo minimo podeis contactar el sevicio público de zona.

Contactadnos al 3282498911 ( Dra. Calabrese) para obtener más información. Os esperamos!

El servicio de psicoterapia low cost está disponible también en castellano.

LABORATORIO SUL CYBERBULLISMO con gli alunni delle elementari

Martedì 6 dicembre, presso la sede Asai di via Genè 12 a Torino, abbiamo proposto un laboratorio sul cyberbullismo a un gruppo di bambini della scuola primaria che frequentano il doposcuola.

Abbiamo chiesto ai bambini se avessero già affrontato, a scuola o in altri contesti, questo argomento e condiviso con loro che se il bullismo è una tematica frequentemente trattata nel contesto scolastico, il cyber bullismo lo è meno. Abbiamo quindi stimolato i bambini a riflettere sulla domanda: cosa si potrà mai fare di male soltanto maneggiando un semplice smartphone, un tablet o un pc?

Il fenomeno del cyberbullismo consiste nella pubblicazione online o nella ricezione tramite cellulare di contenuti falsi, offensivi, dispregiativi o aggressivi; comporta azioni ripetute di esclusione, minaccia o persecuzione verso singoli o gruppi di individui. Inoltre, il cyberbullismo implica frequentemente una violazione della privacy, a volte del codice civile o penale.

Il cyberbullo può mantenersi anonimo o falsare la sua identità; anche se è conosciuto, può essere molto difficile fermare la ricezione di offese e minacce.

Abbiamo mostrato ai ragazzi come sia facile esagerare con le parole o i gesti, soprattutto a distanza, nascondendosi dietro ad un oggetto che ripara dal “metterci la faccia” e fa sentire più forti. Oggi sembra normale litigare in chat, far pace sui Social, fare amicizie o ‘distruggerle’ con un semplice click. La relazione online rende molto più difficile valutare le reazioni della persona con cui si è in contatto.

Nel laboratorio, abbiamo proposto agli alunni alcuni video che raccontano la storia di un bambino come tanti, che frequenta la scuola e cerca di farsi degli amici, di farsi accettare e poter essere parte del gruppo dei pari. Il protagonista dei video, Gaetano, viene preso frequentemente di mira a scuola e fuori, ma i compagni lo scherniscono soprattutto a distanza, attraverso l’utilizzo dei Social network, di chat, di scherzi telefonici. Il gruppo classe percepisce queste azioni come divertenti, e si racconta che anche Gaetano si diverte, poiché non si arrabbia, ma anzi, apparentemente cerca di stare al gioco, nascondendo dentro di sé però molte sensazioni ed emozioni sgradevoli.

I partecipanti al laboratorio si sono dimostrati subito attenti e interessati. Partendo dagli spunti offerti dai video, abbiamo riflettuto insieme su come si sarebbero sentiti loro nei panni dei protagonisti.

Abbiamo cercato insieme ai ragazzi di entrare nel gioco delle parti, immedesimandoci nelle emozioni e nei pensieri di Gaetano, dei compagni che assistono tacitamente agli scherzi e nei ragazzi che li ideano e mettono in pratica. Da subito sono emerse emozioni di delusione, tristezza, rabbia, frustrazione e di impotenza percepita da chi veste i panni della vittima; abbiamo evidenziato anche la posizione di complicità silente dei compagni che permettono ai bulli di mettere in atto gli scherzi, senza intervenire e senza fermare l’escalation di brutalità verso la vittima. I ragazzi hanno condiviso con stupore che un gesto ritenuto scorretto o esagerato spesso non viene fermato o denunciato per paura di divenire a propria volta una possibile vittima, per timore di essere estromessi dal gruppo, oppure per superficialità. Non chiedersi come si possa sentire veramente l’altro che subisce lo scherzo, rende di fatto dei complici.

Infine abbiamo riflettuto insieme su quanto sia difficile sapersi mettere nei panni dell’altro e immaginare le emozioni che prova la persona con cui si è in contatto virtuale, soprattutto senza essere testimoni diretti delle sue reazioni.

I ragazzi hanno partecipato in modo attivo al laboratorio e al termine, hanno portato e condiviso stralci delle loro esperienze personali, evidenziando sensibilità e capacità di ragionamento, ma anche il bisogno di discutere ancora dell’argomento. Siamo speranzosi che questa esperienza abbia gettato il seme per un lavoro di prevenzione, per stimolare una maggiore attenzione all’altro e per iniziare a chiedersi “come starei io al suo posto?

Consuelo Aringhieri e Valentina Congedo

COLLABORA CON NOI

Il nostro progetto di Psicoterapia low cost continua a permettere alle persone che desiderano avere un miglior rapporto con emozioni, pensieri e, perché no?, anche con gli altri.

La richiesta è sempre in crescita e per questo motivo anche noi abbiamo bisogno di crescere. Cerchiamo quindi  2 psicoterapeute/i per ampliare il nostro organico.

Ecco le caratteristiche che ci servono in base alle nostre esperienze pregresse, attività e ai bisogni di chi ci contatta.

Il /la psicoterapeuta deve (condizioni sine qua non):

  • essere specializzato/a
  • avere dimestichezza con i canali social
  • essere aperto/a a collaborare con colleghi con diversi approcci e in differenti contesti di intervento
  • essere disponibile a lavorare a tariffe low cost
  • essere disponibile a fare ore di volontariato (questo perché l’Associazione Eco è un’associazione e non un’azienda)
  • conoscere il manuale diagnostico
  • essere in grado di fare diagnosi
  • avere la partita iva
  • avere almeno 2 pomeriggi-sera liberi da dedicarci e una mattina

almeno 1 terapeuta deve:

  • essere realmente preparato nel trattamento dei disturbi alimentari

Il/la volontario/a è uno/a specializzando/a, che sta frequentando almeno il 3 anno della scuola di specializzazione.

Chi è interessato può mandare il suo cv a ecoassociazione@gmail.com, specificando nell’oggetto: Collabora con noi

GENITORI DI FIGLI TECNOLOGICI: ne abbiamo parlato insieme presso l’associazione Asai

Martedì 13 novembre dalle 17 alle 18.30 presso la sede dell’Associazione Asai di via Genè 12 a Torino, abbiamo incontrato i genitori dei ragazzi del doposcuola e parlato con loro di come essere genitori di figli tecnologici.

I genitori intervenuti sono stati interessati a capire come arginare l’utilizzo massiccio di internet da parte dei loro ragazzi e  come garantire loro una navigazione in sicurezza.

Alla domanda “secondo voi quanto tempo passano on line i vostri ragazzi?” il dato emerso fa riferimento ad almeno 4/5 ore di connessione giornaliera, cui si associa una scarsa concentrazione nello svolgimento dei compiti scolastici, un disinteresse verso le attività off line e, talvolta, anche verso le relazioni con i coetanei.

Il tempo di connessione quindi, ritenuto eccessivo dai partecipanti, è il primo dato importante emerso dall’incontro.

Altra questione riguarda poi il tema della privacy e la condivisione di informazioni e dati sensibili, elemento questo non sempre considerato dai ragazzi e talvolta neppure dagli adulti. Ci siamo soffermati quindi sulla necessità che gli adulti conoscano i rischi di un utilizzo troppo “leggero” della rete, per poi trasmettere questa competenza ai propri figli

Il gruppo di genitori è stato estremamente partecipe ed interessato, le domande sono state tante e lo scambio di esperienze tra partecipanti molto vivace.

L’argomento certo non si è esaurito e nemmeno la curiosità dei partecipanti: il 6 dicembre alle 17, sempre presso la sede dell’Associazione Asai, ci sarà il secondo incontro per rispondere a domande e fornire strumenti di controllo parentale. Mi auguro la stessa partecipazione in termini di numeri e di domande. Intanto grazie a tutti coloro che sono intervenuti!

Dott Stefano Lagona

BASTA ABBUFFATE! ->Percorso di consapevolezza alimentare

Questo percorso esperienziale 8in passato chiamato Basta abbuffate) NON è una psicoterapia di gruppo, ma vuole utilizzare il gruppo come luogo di confronto e di arricchimento. Ciò significa che non si dovranno condividere in gruppo vicende molto personali, ma solo ciò che è finalizzato all’apprendimento di modalità più salutari di convivenza con le emozioni e il cibo.

Per questo motivo questa attività non va in conflitto con un’eventuale psicoterapia individuale, ma anzi, la completa e le dà spinta.

Verranno utilizzate tecniche per trovare un nuovo rapporto con il cibo e gestire la fame emotiva.

Perché scegliere la nostra attività?

La nostra attività è focalizzata:

  • sull’individuare stili di alimentazione più funzionali e soddisfacenti, con il preciso obiettivo di ridurre fino ad azzerare le abbuffate e le attività compensatorie (vomito, uso di lassativi, digiuno, iperattività);
  • sull’imparare a far fronte alle proprie emozioni;
  • sul diminuire i pensieri e le preoccupazioni legati al cibo e al corpo;
  • sul diminuire la tendenza a cedere alle abbuffate.

Affrontiamo il rapporto con il cibo servendoci di tecniche innovative  che permettono di lavorare sulla consapevolezza, sulla perdita di controllo, fornendo strumenti di automonitoraggio dei pasti per far sì che la persona possa poi in autonomia utilizzare le modalità apprese nel gruppo.

Come si svolge l’attività?

L’attività è suddivisa in due parti: una in gruppo ed una a casa.

In gruppo verranno presentate e messe in pratica modalità di approccio consapevole al cibo. A casa gli approcci verranno applicati in autonomia, per poi dare un feedback al gruppo e alle conduttrici nell’incontro successivo.

A chi è rivolto?

A tutti coloro che hanno iniziato mille diete poi interrotte, che quando sono in ansia o arrabbiate aprono il frigo e/o la dispensa, che terminano il pasto senza prestare attenzione al sapore del cibo, che smettono di mangiare solo quando si sentono troppo pieni o è finito il cibo, che si sentono in colpa o falliti dopo aver mangiato.

Che cosa aspettarsi?

La frequentazione del gruppo e l’applicazione degli esercizi proposti porterà ad avere un diverso rapporto con il cibo: più consapevole, mettendo il relazione le emozioni e l’alimentazione, al fine di raggiungere uno stile di vita più equilibrato.

Quando e per quanto?

Gli incontri sono 10 e durano un’ora e mezza ciascuno. I gruppi si incontreranno settimanalmente o il venerdì mattina dalle 9 alle 10.30, oppure ogni due settimane il mercoledì dalle 18.00 alle 19.30. Un gruppo è cominciato mercoledì 14 febbraio (completo). Scrivici per prenotare il colloquio gratuito per formare il nuovo gruppo.  I GRUPPI COMINCIANO TUTTO L’ANNO.

I costi?

I 10 incontri di gruppo di gestione del peso corporeo per un totale di 15 h + 2 sedute individuali costano 200,00 €. Il prezzo include la quota associativa e l’assicurazione.

Per informazioni

Dr.ssa Querin 3396711781

Dr.ssa Pugno 3500261835

ecoassociazione@gmail.com