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ALLA RICERCA DELLA FELICITA’: MODI SANI E NATURALI PER RAGGIUNGERE IL BENESSERE

Attraverso le culture e le epoche, ci si è spesso interrogati sulla felicità. Filosofi, studiosi e scienziati hanno cercato di offrire diversi approcci e prospettive nel tentativo di comprenderla. Da  Aristotele che affermava che la felicità risiedeva nelle virtù morali o etiche, ad Epicuro che considerava la felicità come lo scopo ultimo dell’esistenza umana, a José Ortega secondo cui si raggiunge la felicità solo quando la “vita proiettata” e quella affettiva coincidono. Ad oggi, la scienza ci ha permesso di comprendere la felicità in termini oggettivi, identificandone meccanismi e processi neurobiologici associati.

La complessità della nostra vita quotidiana ci catapulta e ci immerge costantemente in una miriade di situazioni ricche di stimoli. In molte occasioni, questi stimoli migliorano il nostro umore. Pensiamo alle sensazioni che proviamo dopo una corsa al parco, dopo aver ascoltato della buona musica o aver fatto una passaggiata in motagna o al mare, dopo aver abbracciato un caro o aver mangiato del buon cibo. In situazioni simili, il nostro cervello produce dei messaggeri chimici che attraverso la circolazione sanguigna, giungono in diverse aree del nostro corpo innescando specifice sensazioni. Queste sostanze chimiche, note anche come neurotrasmettitori, possono influenzare il nostro stato d’animo e il nostro benessere emotivo. Stiamo parlando proprio, dei cosiddetti “ormoni della felicità o del benessere”. Di questi ormoni fanno parte la dopamina, la serotonina, l’ossitocina e l’endorfina che giocano un ruolo fondamentale nel regolare il nostro umore, ridurre lo stress e promuovere la sensazione di felicità e benessere generale. Esistono diversi modi naturali per stimolarne la loro produzione affinché ci si possa sentire più calmi, felici e in equilibrio emotivo.

In questo articolo, proveremo ad esplorare alcuni dei modi più efficaci per aumentare la produzione di dopamina, serotonina, ossitocina ed endorfine nel nostro corpo, migliorando così il nostro benessere.

La dopamina è spesso conosciuta come “ormone del piacere” ed è coinvolta nella motivazione, gratificazione, ricompensa e nella sensazione del piacere. È responsabile del rinforzo di comportamenti appresi anziché promuoverne di nuovi. La sua  funzione principale infatti, è quella di agire da sistema di ricompensa. Assecondare il desiderio di cibi come la cioccolata, raggiungere un obiettivo, svolgere attività di cura del Sè come un bel bagno caldo, sono tutte attività che possono innescare il rilascio di dopamina, producendo una sensazione di piacere che farà aumentare il desiderio di ricorrere nuovamente a quel particolare cibo o attività. Bisogna però fare attenzione perché non tutte le attività o le sostanze introdotte nel corpo, possono essere sane seppur rilasciando ugualmente una scarica di dopamina. È il caso dell’assunzione di alcol, droghe o attività come il gioco d’azzardo che possono diventare vere e proprie dipendenze.

La serotonina invece, è conosciuta come “l’amplificatore naturale del buon umore” o “ormone della felictà”.Viene spesso associata al benessere emotivo e alla felicità ma in realtà,  è coinvolta anche nella regolazione dell’umore, dell’ansia, del sonno, della temperatura corporea, nella percezione del dolore e nella motilità intestinale.  Le ricerche inoltre, suggeriscono che questo ormone influenza positivamente la memoria, migliora l’apprendimento e promuove il rilassamento. Trascorrere del tempo al sole, praticare del buon esercizo fisico e meditare sono tutte attività che permettono il rilascio di serotonina.

Ci sono poi, le endorfine gli “antidolorifici naturali del corpo”. Sono conosciute per il loro potere analgesico in quanto agiscono come gli oppiodi, con il vantaggio di essere direttamente prodotti dal nostro corpo. Questo neurotrasmettitore infatti, permette di alleviare il dolore e può aiutare a ridurre lo stress e migliorare l’umore. Le endorfine vengono rilasciate attraverso l’esercizio fisico intenso, durante l’eccitazione sessuale, quando si guarda un bel film, si ascolta musica o si ride.

Infine, abbiamo l’ossitocina, il cosiddetto “ormone dell’amore”. Svolge un ruolo cruciale durante la gravidanza, il parto e l’allattamento. Inoltre, è fondamentale nelle interazioni sociali perché permette di instaurare relazioni profonde. È ormai noto che siamo esseri sociali e che è proprio grazie al supporto sociale positivo e a relazioni sane che possiamo ottenere numerosi benefici. È stato dimostrato che questa sostanza chimica viene attivata attraverso il contatto fisico ma  anche socializzando in conversazioni, fornendo assistenza agli altri e interagendo con un animale domestico. Le relazioni sociali e le connessioni sane, nel corso della nostra vita quindi,  aumentano le emozioni positive e promuovono il benessere generale.

A prescindere da quale sia l’attività o il comportamento che permette il rilascio di uno di questi ormoni, ciò avverrà solo in piccole dosi. Una volta metabolizzato infatti, la sensazione di piacere tenderà a svanire e il nostro corpo ritornerà alla sua omeostasi originaria.

Un buon promemoria per ricordarsi come stimolare la produzioni di questi ormoni “della felicità” (o del benessere) potrebbe essere il seguente:

fare esercizio fisico regolare (o una breve passeggiata all’aperto) ci permetterà di aumentare i livelli di endorfine nel corpo così come, dopamina e serotonina, migliorando di conseguenza, l’umore e riducendo ansia e stress.
una dieta sana ed equilibrata  e l’assunzione di cibi, come il cioccolato fondente, le banane, le arachidi, i cereali integrali, proteine magre e grassi sani ci permetteranno di aumentare i livelli di serotonina.
dormire a sufficienza. Un buon sonno è fondamentale per il rilascio di serotonina e melatonina.
mindfulness e meditazione ci permetteranno di aumentare i livelli di serotonina e dopamina nel cervello, riducendo ansia e stress.
passare del tempo all’aperto e in contatto con la natura stimolerà la produzione divitamina D, che può influenzare positivamente l’umore aumentando i livelli di serotonina.
la socializzazione e l’interazione con gli altri potrà aumentare i livelli di ossitocina, dopamina e endorfine, migliorando così l’umore complessivo.
praticare hobby e passioni; che si tratti di fare yoga, dipingere, leggere un libro o ascoltare musica, dedicare del tempo alle attività che fanno sentire bene può aumentare i livelli di dopamina e endorfine.

La chiave di tutto resta sempre un approccio curioso alla vita e quindi anche, a quei modi naturali di stimolare i nostri ormoni della felicità. Sperimentare quello che è nelle proprie corde, così da poter cercare la propria personale strada a ciò che può promuovere in modo sano, un maggiore benessere alla nostra vita. È già tutto a nostra disposizione e sotto i nostri occhi, dobbiamo solo provare a (ri)scoprirlo.

 

 

Dott.ssa Antonia Di Pierro

Psicologa, Psicoterapeuta

 

 

Bibliografia

2021 Alexander R. et al. The neuroscience of positive emotions and affect: Implications for cultivating happiness and wellbeing https://doi.org/10.1016/j.neubiorev.2020.12.002

1979 Fox E.R.W. Happiness Hormones? The western journal of medicine

Sitografia

2023 Austin D. Dopamine, serotonin, endorphins, oxytocin: Your happy hormones, explained(nationalgeographic.com)

SINDROME DEL NIDO VUOTO. Riscoprirsi come individui e coppia

 


L’uscita dei figli da casa, spesso nel ciclo di vita di una famiglia rappresenta un momento di paure e difficoltà, è una fase evolutiva in cui il nucleo originario diventa un trampolino di lancio per i figli e allo stesso tempo dà alla coppia la possibilità di reinvestire nel loro progetto di vita insieme.
E se è vero che in Italia oggi l’uscita da casa è sempre più spesso rimandata dai giovani adulti a causa di condizioni di lavoro precarie che non portano immediatamente a rivendicare l’indipendenza, allora è anche vero che quando finalmente arriverà questa indipendenza, potrà risultare un momento di crisi per gli stessi genitori: sembra che dopo averli spronati, non siano così
disposti a lasciarli andare.
Ogni famiglia si sviluppa e si evolve continuamente. Per le famiglie con bambini, questo inizia con la formazione di una coppia, in seguito con la nascita e la crescita del bambino, continua con l’uscita di quest’ultimo dalla casa di origine e in un’età più matura termina con il ritorno della coppia. Pertanto,la necessità d’indipendenza, che incoraggia i giovani adulti a lasciare gradualmente
la famiglia d’origine, rappresenta uno stadio fisiologico familiare.
La famiglia è, infatti, un trampolino naturale per il ragazzo verso il mondo esterno. Ma anche se questa è una fase perfettamente normale nel ciclo di vita di ogni unità familiare, alcuni genitori lottano più di altri per separarsi dai loro figli, e il “nido vuoto” non è un problema.
Quella che viene comunemente chiamata sindrome del nido vuoto può riguardare sia le mamma e che i papà, ma sembra che siano più predisposte le donne a trovarsi in questa spiacevole situazione presentando sentimenti di tristezza e solitudine, accompagnati da una sensazione di vuoto e perdita di significato. A volte possono verificarsi difficoltà di concentrazione, stanchezza, fatica e una sensazione di preoccupazione eccessiva e diffusa.
Per meglio prevenire e affrontare questo momento di transizione, è importante guardarlo da una diversa prospettiva, comprese le dimensioni individuali, le relazioni coniugali e la genitorialità. Le persone più vulnerabili rispetto alla sindrome del nido vuoto, sono persone che si sono identificate
principalmente nel loro ruolo di genitori nel corso degli anni e vivendo per la maggior parte secondo i bisogni della loro prole e non riconoscendo il proprio bisogno di uno spazio individuale.
Questo non significa certamente interruzione dei rapporti familiari, ma la loro riorganizzazione con un ruolo più paritario mantendo i genitori sempre come punto di riferimento con la possibilità di
sperimentarsi e responsabilizzaresi. L’allontanamento da casa produce un vuoto che, nei casi più gravi, può portare a una perdita di significato nella vita e assumere il significato di lutto reale.

Questa condizione è caratterizzata da reazioni disadattive che si estendono nel tempo e si traducono in alcune costellazioni sintomatiche che affliggono i genitori.
I sintomi più frequenti associati alla sindrome del nido vuoto sono tristezza, ansia, senso di colpa, rabbia,irritabilità,solitudine,che possono causare gravi psicopatologie in termini di depressione maggiore, disturbi d’ansia e,in rari casi, scompenso psicotico.
È importante chiarire che non tutte le coppie sviluppano sintomi negativi della sindrome del nido vuoto. Alcuni studi hanno anche rilevato la presenza di emozioni positive associate ad un aumento dei livelli di intimità, soddisfazione coniugale e libertà. Il fattore protettivo per lo sviluppo della sindrome del nido vuoto è la capacità di svolgere un ruolo diverso.Alcuni studi hanno evidenziato
che le donne che,infatti,costruiscono la propria identità principalmente nel ruolo della madre e dedicano tuttala loro esistenza alla cura del figlio tendono a sviluppare la sindrome perché a seguito del distacco sperimentano una crisi d’identità causata da una mancanza di capacità di adattarsi al nuovo ruolo.
Oltre a questo, è utile anche rinvigorire il rapporto con il proprio partner, che è un punto di riferimento immutabile, individuando nuovi momenti di intimità e condivisione. Inoltre, è necessario cambiareil rapporto con il figlio, riconoscendolo come adulto, costruendo legami più maturi, cos’ come concordare dei confini che renderanno la relazione stabile e funzionale.
Questo potrebbe essere il momento per riprendere possesso della propria dimensione, prendendosi più cura di se stesso e dare voce ai propri desideri. Rivolgere l’attenzione a sé stessi che in precedenza era dedicata maggiormente ai propri figli, magari sentendo vecchi amici o riscomprendo e scoprendo nuovi hobby e passioni.
I partner, che da tempo si sono riconosciuti quasi esclusivamente come genitori, notano che in questa fase è importante ristabilire la dimensione della coppia.
Dopo la prima destabilizzazione, sarà bello riuscire a reinvestire energie emotive e fisiche nella relazione stessa: creare nuovi interessi, dedicarsi ad attività spesso riservate ai figli, poter viaggiare, magari iscriversi a corsi di danza, sviluppare relazioni amichevoli, dedicarsi all’intimità. Pensare di nuovo insieme, in modo che possa riscoprire la coppia, fare progetti, pensarsi ancora insieme e
divertirsi come quando non c’era la responsabilità dei figli. E’ importante saper ridefinire il rapporto tra genitori e figli,”rinnovandolo”ad una nuova fase della vita, pur potendo riconoscere ed accettare l’autonomia dei propri figli e le loro scelte, magari non sempre pienamente condivise ma percepirsi con legati ma con la possibilità di entrare e uscire con la propria individualità.
Dott. Mirco Carbonetti
Psicologo – Psicoterapeuta

YOGA. Quando corpo, mente, respiro ed energia si uniscono

Per anni, il termine Yoga ha assunto differenti significati a seconda delle interpretazioni di coloro che lo praticavano. Nell’immaginario comune occidentale, alla parola Yoga riecheggiavano rappresentazioni di monaci seduti a gambe incrociate su di una montagna, uomini vestiti di arancione o strane posizioni da circensi. L’opinione comune, a riguardo è sempre stata un po’ confusa. 

La parola Yoga deriva dalla radice sanscrita “yuj” che significa mescolare, unire. Il suo significato è quindi, unione. Unione di mente e corpo. Lo Yoga è lo studio del funzionamento del corpo e della mente che permette di acquisire una maggiore conoscenza di Sé che non deriva solo dai sensi e dalla ragione. È un luogo in cui arte, filosofia e scienza si incontrano. 

Oggigiorno, è possibile individuare quattro tipi di Yoga: 

  1. fisico, basato su posture statiche, sequenze in movimento ed esercizi respiratori (Haṭhayoga, Vinyāsa Yoga, Ashtanga Yoga ecc.); 
  2. intellettuale, basato su approccio simile alla filosofia platonica, alla teologia cristiana e alla filosofia tedesca del XIX secolo (Jñāna Yoga); 
  3. religioso o devozionale che si propone di entrare in contatto con una divinità (Śiva, Viṣṇu, Kṛṣṇa…) e riprende, in parte, forme e contenuti della religione cristiana e delle moderne correnti spirituali nate con la New Age (Bhakti Yoga e Karma Yoga); 
  4. psicologico (Yoga Based Practice -YBP), una pratica terapeutica psicofisica caratterizzata dalle tre principali componenti dello yoga vale a dire, le posture statiche o sequenze di movimento, le pratiche di respirazione e l’attenzione consapevole (Schmalzl, Powers, & Henje Blom, 2015). 

Questi quattro tipi di Yoga spesso integrati tra loro, altre volte rigidamente separati e altre ancora, in conflitto sono sempre stati tollerati all’insegna del motto e principio di base: “lo Yoga è unione”. 

Nell’ottica di questo stesso principio, alla base di qualsiasi tipologia di yoga, sono state individuate tre principali funzioni, come:

  1. “lente d’ingrandimento” per far emergere il proprio dialogo interiore (Bertolo 2016);
  2. insieme di tecniche pratiche per migliorare la salute, la concentrazione e la presenza nel qui e ora (Mori, 2019);
  3. scienza e tecnologia olistica, in quanto metodo disciplinato che “funziona a tutto campo per l’individuo contemporaneo” (Squarcini 2015).

Lo yoga, quindi, va oltre le mere tecniche di esecuzione degli esercizi e gli insegnamenti dalla tradizione millenaria. È una disciplina che insegna a concentrarsi su sé stessi per trovare e ritrovare il proprio equilibrio interno ed esterno utile poi, per ottenere una più chiara immagine di sé.

Attraverso il lavoro disciplinato sul corpo, lo yoga stimola la mente alla propriocezione, vale a dire ad una maggiore percezione e consapevolezza di ogni singola parte del proprio corpo all’interno dello spazio (Bassetti 2009). Si acquisiscono così, informazioni importanti che consentono di imparare come ogni arto, muscolo e tendine del proprio corpo si muove e funziona; così come, stimola ad un ascolto attento e consapevole del proprio respiro per imparare poi, a controllarlo.

Il controllo del respiro o Pranayama, infatti è indispensabile per una buona pratica perché da esso ne derivano la calma della mente, la tranquillità del sistema nervoso e la tolleranza vissuta a livello del corpo della mente. Notiamo quindi, quanto siano strettamente connessi corpo e mente all’interno dello Yoga. Occupandosi del corpo, infatti sarà possibile calmare la mente. Il saggio Patanjali ha definito lo Yoga non a caso, come “controllo delle divagazioni della mente, dell’intelletto e dell’ego”. Solo se la nostra mente è calma e tranquilla anche il nostro corpo e la nostra anima lo saranno. “Così come la luna non si riflette interamente nelle acque di un fiume torbido, l’anima non si manifesta in una mente agitata” (Iyengar G.S, 1992). 

Lo studio e la pratica della disciplina yogica sono elementi fondamentali per controllare le oscillazioni della mente. L’utilizzo di metodi di rilassamento derivanti da tecniche di meditazione e concentrazione permetteranno l’affiorare graduale di stati di benessere, calma e lucidità mentale. 

Attraverso una pratica costante e regolare, sarà possibile far emergere tutte quelle grandi potenzialità insite in ognuno, di cui spesso non si è del tutto consapevoli, e che possono essere utili a direzionare il proprio cammino quotidiano per affrontare al meglio e sotto una nuova luce, le sfide di ogni giorno.

In sintesi, ecco alcuni dei benefici che possiamo ottenere da una pratica disciplinata dello Yoga.

Benefici fisici:

  • Migliora la forza, flessibilità, equilibrio e concentrazione
  • Migliora le funzionalità di organi, tessuti, apparati
  • Favorisce un’azione disintossicate dell’organismo
  • Rallenta l’invecchiamento
  • Previene e cura il mal di schiena
  • Riduce il dolore cronico
  • Mantiene il sistema cardio-circolatorio in buona salute
  • Aumenta la qualità del respiro e la capacità respiratoria
  • Migliora le performance sportive

Benefici mentali

  • Riduce l’ansia, depressione, attacchi di panico
  • Aiuta a gestire le emozioni
  • Aiuta a gestire lo stress
  • Aiuta a promuovere sane abitudini di vita
  • Favorisce una migliore qualità del sonno
  • Migliora la capacità di attenzione e concentrazione

 

Dott.ssa Antonia Di Pierro

Psicologa – Psicoterapeuta

 

Bibliografia

Bassetti C. (2009) Riflessività-in-azione. L’incorporamento dello sguardo spettatoriale come sapere pratico professionale nella danza, in “Etnografia e ricerca qualitativa, Rivista quadrimestrale” 3/2009, pp. 325-352.

Bertolo C, Giordano G. (2016) Spiritualità incorporate. Le pratiche dello Yoga. Milano – Udine: Mimesis Edizioni;

Iyengar G.S, Yoga per la donna (1992) Ed. Mediterranee;

Mori L., Squarcini F., (2019) Nel nome dello Yoga. Filosofia, disciplina, stile di vita; Milano: RCS MediaGroup S.p.A. Edizione Kindle;

Squarcini F., Guagni M.A. (2015) Yogasūtra di Patañjali Torino, Einaudi, vol. 14, pp. 1-176;

Schmalzl, L., Powers, C., Henje Blom, E. (2015). Neurophysiological and neurocognitive mechanisms underlying the effects of yoga-based practices: towards a comprehensive theoretical framework. Frontiers in Human Neuroscience, 9.

Sitografia

https://muysalud.com/it/salute/14-benefici-dello-yoga-per-la-salute/

https://www.yogaitalia.org/

PERCHE’ LEGGERE FA BENE?

“Leggere fa bene, si sa!”. Fin da bambini abbiamo sentito ripetere questa frase da maestri, professori, genitori e chi più ne ha più e metta; per alcuni queste raccomandazioni hanno fatto breccia, dando il via ad una vera e propria passione che prosegue anche da adulti, per altri no.

Ma cosa si intende davvero quando si dice che leggere fa bene? Scopriamolo insieme in questo articolo:

1) Ti aiuta a tenere la mente attiva.  Leggere è una vera e propria palestra per la nostra mente, così come lo sono attività come giocare a scacchi, fare le parole crociate oppure i puzzle. La lettura è un’attività che richiede attenzione, concentrazione e ragionamento, dunque ci aiuta a tenere allenata la mente e a prevenire, o rallentare, alcune patologie neurodegenerative come l’Alzheimer o la demenza senile.

2) Migliora le capacità mnemoniche. La lettura implica un certo sforzo al livello della memoria. Se pensiamo a quando leggiamo un romanzo, è implicito che dovremmo ricordarci il nome dei personaggi, il ruolo che hanno e la loro storia, se vogliamo seguire la trama intessuta dall’autore. Allenare la memoria tutti i giorni è molto importante, soprattutto in tempi in cui è il telefono a ricordarci di fare qualunque cosa.

3) Amplia le tue conoscenze. Qualunque informazione con la quale entriamo in contatto diventa nostra e si aggiunge al bagaglio di conoscenze che amplieremo per tutta la vita. A volte ci sembra di aver dimenticato tutto e, quando meno ce lo aspettiamo, i cassetti della memoria si aprono, talvolta fornendoci soluzioni inaspettate.

4) Aumenta il tuo vocabolario. Quando leggiamo ci imbattiamo in un sacco di parole nuove che spesso entrano a far parte del nostro modo di parlare. Questo ci aiuta ad esprimerci in una maniera più chiara ed esaustiva, rendendoci anche più comprensibili agli altri.

5) Ti aiuta a scrivere meglio. Questa è una diretta conseguenza del punto 4, ovvero dell’implementazione del vocabolario. Sarà capitato a tutti di avere un pensiero o un concetto in testa e di non riuscire a trasporlo su un foglio in maniera efficace. Scrivere è un modo di comunicare con gli altri e avere più parole per farlo ci aiuta ad essere più sicuri di noi e più chiari con gli altri.

6) Migliora le capacità di analisi e di pensiero critico. Spesso leggere ci pone davanti a innumerevoli domande: che si tratti di un giallo o di un saggio di filosofia, mentre leggiamo siamo in qualche modo portati ad anticipare il pensiero dell’autore, a cercare di intuire cosa succederà nella pagina successiva e a farci un’idea di come siano andate le cose, ancor prima di averle lette. La capacità di analisi e di pensiero critico è importantissima per avere una nostra idea del mondo.

7) Riduce lo stress. Leggere ci porta in un’altra dimensione, quella immaginifica, lontana dai problemi del quotidiano; ci aiuta a staccare dopo un’intensa giornata di lavoro, a prendere una pausa dai pensieri quando viaggiamo in metropolitana, a scappare dalla noia rifugiandoci in altri mondi. Per questi ed innumerevoli altri motivi, leggere è un ottimo antistress.

8) Aumenta le capacità di concentrazione. Ormai siamo abituati a fare 10 cose insieme, anche perché i dispositivi che utilizziamo tutti i giorni ci portano ad essere multitasking. In un mondo che ci vuole veloci, la lettura ci aiuta a fermarci e a far sparire tutto quello che abbiamo intorno, anche le notifiche dello smartphone, concentrandoci su una sola attività.

9) Ci rilassa. Anche durante la lettura del thriller più inquietante, leggere ci pone in una condizione di relax fisico e mentale. I libri ci portano, in mondi nei quali il nostro capo non esiste e i nostri problemi sono troppo lontani. Questo ci permette di staccare ed entrare in una condizione di relax, che aiuta a regolare le emozioni e a ricaricarci.

10) Ci fa entrare in contatto con le emozioni. Sarà capitato a tutti di farsi trascinare nella storia di un protagonista e di vivere con lui mille avventure e mille emozioni diverse. Leggere ci dà la possibilità di entrare in contatto con le emozioni in una maniera “sicura”, coinvolgendoci ma senza farci troppo male.

Questi sono solo 10 degli innumerevoli benefici che la lettura ci regala, ma l’elenco potrebbe essere interminabile.
Esiste addirittura un approccio alla salute mentale che sfrutta il potere curativo della lettura, la biblioterapia, e può essere svolto sia individualmente sia nella dimensione gruppale.
I libri sono possono essere dei validi alleati nella ricerca di soluzioni, compagni di viaggio, un ottimo rimedio alla solitudine, ma anche tantissimo altro.
E tu leggi? In che modo i libri ti sono stati di aiuto nella tua vita?

 

Dott.ssa Rossella Totaro

Psicologa – Psicoterapeuta

 

BIBLIOGRAFIA:
– Pennebaker J.W. (2004), Scrivi cosa ti dice il cuore. Autoriflessione e crescita personale attraverso la scrittura di sé, Centro Studi Erikson, Trento.
– Rimé B. (2007), The social sharing of emotion as an interface between individual and collective processes in the costruction of emotional climates, “Journal of Social Issues”, vol. 63, n.2, pp.307-322.
– Urbano A. (2017), preScrivimi un libro. I benefici psicologici della biblioterapia, Stilo editrice, Bari.

I BENEFICI DI VIVERE CON UN ANIMALE DOMESTICO

Gli animali domestici, che siano cani, gatti, conigli o criceti, spesso e volentieri vengono considerati veri e propri membri della famiglia.

Oltre a tenerci compagnia, gli animali domestici, specie i cani e i gatti, ci regalano molti benefici psicofisici, consentendoci di avere una salute complessivamente migliore.

Ma quali sono davvero i benefici del vivere con un amico a quattro zampe?

1) Uno dei maggiori punti a favore del vivere con un animale domestico è il contrasto alla solitudine: non solo i nostri amici a quattro zampe ci fanno compagnia, ma ci costringono ad essere più attivi, riempiendo la vita anche delle persone più solitarie. Non è un caso che molti studi riportino che avere un animale domestico abbia enormi benefici su chi soffre di depressione: oltre a tenerci compagnia, i nostri animali ci costringono ad una vita più movimentata, basti solo pensare alle passeggiate quotidiane con il cane o al portare il nostro animale domestico dal veterinario, al negozio di animali, ecc. Tutte queste attività diventano spunto per una vita sociale più attiva e possono anche permetterei di stringere nuovi legami e amicizie.
2) Secondo un recente studio, la compagnia di un animale domestico è un valido alleato nellelaborazione del lutto, oltre ad essere un fattore protettivo per la depressione che spesso si sviluppa in seguito alla perdita di una persona cara. Secondo uno studio condotto da Brown nel 2011 il legame che si crea tra lumano e lanimale è assolutamente unico, tanto da poter essere paragonato ad un rapporto genitore-figlio o marito-moglie, stimolando ormoni quali lossitocina e la serotonina, responsabili del buonumore.
3) Altre evidenze scientifiche dimostrano che la vita insieme ad un animale domestico è migliore in quanto aumenta lautostima e il senso di sicurezza e diminuisce significativamente la solitudine, soprattutto tra gli adulti che vivono da soli.
4) Vivere con un animale domestico aiuta anche a ridurre ansia e stress. La sensazione di benessere data dallaccarezzare un cane o un gatto favorisce una serie di processi regolatori del sistema neurovegetativo: rallenta il battito cardiaco e regolarizza la respirazione, producendo un benessere generalizzato. Uno studio effettuato su 249 studenti universitari americani ha rilevato come i contatto quotidiano di soli 10 minuti al giorno con un animale domestico (cane o gatto) riducesse considerevolmente ansia e stress, migliorando la qualità della vita e le prestazioni accademiche.
5) Alcuni studi dimostrano che chi vive a contatto con gli animali ha un sistema immunitario più forte ed è meno soggetto a sviluppare allergie nel corso della vita.
6) Avere un animale domestico ci insegna la responsabilità di prenderci cura di qualcuno che dipende esclusivamente da noi, in tutto e per tutto. Molti studi dimostrano che questo aspetto è importante nello sviluppo dei bambini: crescere con un cane o un gatto implementa le capacità relazionali e lempatia.

Condividere la vita insieme ad un amico a quattro zampe migliora le nostre vite, ci aiuta a regolare le emozioni e ci regala anche molti benefici sulla salute, oltre a sviluppare competenze relazionali ed emotive.

E tu hai un animale domestico? Se si, in che modo ha cambiato la tua vita?

Dott.ssa Totaro Rossella

 

BIBLIOGRAFIA:

Bayram N., Bilgel N. (2008) The prevalence and socio-demographic correlations of depression, anxiety and stress among a group of  university students. Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology, 43 (8), 667-672.
Beetz A., Kerstin U.M., Henri J., Kotrschal K. (2012) Psychosocial and psychophysiological effects of human-animal interactions: the possible role of oxytocin, Front. Psychol., 3, 234.
Carr D.C., Taylor M.G., Gee N.R.& Sachs-Ericsson N. (2019) Psychological Health Benefits of Companion Animal Following a Social Loss. The Gerontologist. Doi:10.1093/geront/gnz1.
Pendry P., Vandagriff J.L. (2019) Animal Visitation Program (AVP) Reduces Cortisol Levels of University Students: A Randomized Controlled Trial, AERA Open, 5(2), 2332858419859.
Protopopova A. (2016) Effects of sheltering on physiology, immune function, behaviour and the welfare of dogs, Pays. Beah., 159, 95-103
Shoda T.E., Stayton L.M., Martin C.E. (2011) Friends with benefits: on the positive consequences of pet ownership, Journ. Pers. Soc. Psychol., 101(6): 1239-52
Settimo G. (2011) Gli animali che curano, Red Edizioni, Milano

L’INTESTINO “CEREBRALE” – L’importanza delle funzioni intestinali per il benessere psicofisico

È sempre più frequente sentir parlare dei cosiddetti due cervelli. Sappiamo realmente a cosa facciamo riferimento e come mai?

Quando parliamo di cervello, la nostra mente si dirige in automatico all’organo collocato nella nostra testa. Ad oggi, la teoria dei “due cervelli” sostenuta scientificamente dal neurobiologo Michael D. Gershon (1998), ci permette di porre attenzione all’importanza dell’asse intestino-cervello, individuando non uno ma ben “due cervelli”.

L’intestino è stato da sempre considerato come una struttura periferica deputata a funzioni vitali marginali come l’assorbimento di sostanze nutritive o la digestione. Le attuali ricerche scientifiche invece, sostengono e dimostrano l’importanza che tale organo avrebbe a livello del nostro sistema immunitario. A differenza di ciò che si possa pensare, l’intestino è l’unico organo, oltre il cervello, ad essere dotato di un vero e proprio sistema nervoso. Si tratta infatti, di quello che viene definito come il sistema nervoso “enterico” che agisce sia autonomamente che in connessione con il primo cervello, quello “cranico”, per intenderci.

L’importanza attribuita al nostro intestino non è legata solo al possedere un proprio sistema nervoso ma anche al fatto che, come il primo cervello, è anch’esso la sede delle nostre emozioni. Entrambi i nostri due cervelli comunicano tra di loro prevalentemente, attraverso il nervo vago, grazie a neurotrasmettitori comuni come la serotonina, nota anche come il neurotrasmettitore della felicità. Per questo motivo, i due cervelli possono influenzarsi a vicenda, sia da un punto di vista emotivo che immunologico.

Tensioni emotive, stress, abitudini di vita scorrette come sedentarietà e una cattiva alimentazione sono, non a caso, spesso associate a problemi della sfera digestiva. La letteratura scientifica internazionale evidenzia che il 20% della popolazione occidentale soffre di disturbi tra cui coliti, spasmi, gonfiore, nausea, bruciori di stomaco, sazietà precoce, distensione addominale, irregolarità della funzione intestinale. Questi sono i sintomi più frequenti associati ai disturbi intestinali che colpiscono in prevalenza la popolazione femminile rispetto a quella maschile, sia in adulti che in bambini o adolescenti e che spesso, non sono correlati a cause organiche evidenti. Tuttavia, non è da tralasciare neanche l’effetto opposto, vale a dire come un intestino in disordine possa portare a sviluppare alcune forme di ansia e di depressione. Alcuni studi recenti infatti, hanno dimostrato che il tratto gastrointestinale svolgerebbe una funzione importante nel riconoscimento di alcuni processi infiammatori. È considerato infatti, la prima barriera con il mondo esterno: il cibo che ogni giorno ingeriamo non è di certo sterile, porta con sè una carica batterica che induce una reazione da parte dei nostri globuli bianchi che sono deputati a riconoscere la presenza di infezioni all’interno del nostro organismo.

Il microbiota, detto più comunemente flora intestinale, ha proprio la funzione di intervenire in questo processo, ostacolando, ad esempio, il proliferare di agenti dannosi per la nostra salute. Inoltre, il microbiota intestinale è capace di comunicare e interagire con il primo cervello. Basti pensare che, quando mangiamo un cibo gustoso, l’intestino attiva i suoi recettori aumentando la produzione di serotonina, il neurotrasmettitore deputato alla felicità e a sensazioni di benessere. La serotonina è coinvolta infatti, in diverse funzioni biologiche fondamentali come il ciclo sonno – veglia, il desiderio sessuale, il senso di fame – sazietà e l’umore. Avere un livello basso di serotonina può infatti, comportare una serie di disturbi correlati all’umore, ansia, stati depressivi, problemi di natura sessuale, problemi del sonno e della motilità intestinale. All’interno dell’asse intestino-cervello, questo neurotrasmettitore svolge un ruolo fondamentale poiché favorisce la comunicazione e l’interazione tra questi due organi. Se pensiamo per esempio, a quando avvertiamo un calo dell’umore, cosa accade dentro ognuno di noi? È molto comune sentire un bisogno crescente di dolci, come ad esempio il cioccolato, alimento non a caso che contiene e favorisce la produzione di serotonina. Secondo lo stesso meccanismo, in presenza di un’infiammazione in sede intestinale, si attiva un enzima che è in grado di demolire la serotonina, causandone di conseguenza, un deficit a livello cerebrale e sensazioni di umore deflesso.

L’intestino inoltre, gioca un ruolo cruciale anche nelle nostre emozioni. Se per un attimo ci soffermassimo ad ascoltarle, potremmo subito notare come paura, rabbia, tristezza, felicità e disgusto abbiano una chiara risonanza nell’intestino. Basti pensare, per esempio, a quando siamo tanto arrabbiati e sentiamo lo stomaco irrigidirsi e attorcigliarsi al punto da avere la sensazione di “stomaco chiuso”, o quando la paura ci muove tutte le viscere, sconbussolandole o ancora, alla sensazione delle “farfalle nello stomaco” quando siamo innamorati. Quando si affronta un periodo di vita particolarmente stressante emotivamente, è possibile avvertire in modo chiaro, fastidi intestinali. Questo accade proprio perché i batteri intestinali possono rispondere ai segnali di stress provenienti dal primo cervello provocando sintomi somatici come bruciore di stomaco, mal di stomaco, nausea o dissenteria.

Secondo M. D. Gershon quindi, il nostro intestino proprio perché  “assimila e digerisce non solo il cibo, ma anche informazione ed emozioni che arrivano dall’esterno” necessità di maggiore ascolto, attenzione e cura.

E come prendersene cura? Uno stile di vita sano è certamente il primo passo per lenire i malesseri che ne possono derivare. Già nella medicina tradizionale, vi era l’idea che le alterazioni della flora microbica intestinale fossero strettamente legate all’insorgenza di alcune malattie e che il cibo fosse da considerare proprio come una buona medicina, come sosteneva lo stesso Ippocrate. Una sana ed equilibrata alimentazione può quindi, esserci di aiuto. È possibile inoltre, prendersi cura del proprio intestino anche praticando attività come la meditazione e lo yoga che permettono di ridurre i livelli di stress che come ormai sappiamo, incidono notevolmente sulla nostra qualità di vita ma anche sul nostro benessere psicofisico.

Dott.ssa Di Piero Antonia

Psicologa – Psicoterapeuta

 

Bibliografia


Gershon D. Michael, Il secondo cervello, titolo originale “The Second Bain: a Groundbreaking New Understanding of Nervous Disorders of the Stomach and Intestine”, UTET S.p.a., 2013

Gershon D. Michael, Serotonin and its implication for the management of irritable bowel syndrome, Rewievs in gastroenterological disorders, 2003; 3 (supp. 2): S25-S34

Giacosa, A (2018) Disturbi digestivi funzionali e stile di vita: il ruolo del sistema nervoso enterico, ovvero del “secondo cervello” in Rivista Società Italiana di Medicina Generale

CHRISTMAS BLUES – La tristezza da Natale

Christmas Blues…ne avete mai sentito parlare? Pare essere un concetto che indica l’insieme di improvvise sensazioni di tristezza, ansia, nervosismo, angoscia, insonnia e rancore durante i giorni di festività Natalizia.

Qualcuno di voi si starà chiedendo come possa essere vero ciò, come sia possibile essere minimamente giù di morale durante i felici giorni di festa, forse i più belli dell’anno…altri invece potrebbero non stupirsi troppo e trovare un po’ di vicinanza nei contenuti di questo articolo.

Facciamo un piccolo passo indietro, cosa è per noi il Natale? Cosa rappresenta nella nostra società? In che modo quest’ultima ci invita a viverlo?

Nella nostra cultura, il giorno di Natale è tipicamente una festa familiare che inevitabilmente richiama i legami affettivi e familiari ovvero giornate e momenti di incontro con le persone care (partner, figli, genitori, amici…).

Il Natale si pone come grande amplificatore di emozioni (positive e negative) che irrompe nel nostro equilibrio caratterizzato dai ritmi frenetici della vita (sfera professionale, scolastica, sentimentale etc…). La società ci informa di come sia “doveroso” essere felici del Natale, ci ricorda incessantemente la gioia di fare regali e quella di riceverli.

Possiamo immaginare che alcuni di noi vivano tutto ciò con serenità e gioia, non vedendo l’ora che il Natale arrivi, probabilmente avendo dei rapporti distesi e felici con i propri cari.

D’altra parte è presente anche chi, avendo degli aspetti irrisolti, conflittuali e/o del tutto assenti nelle relazioni interpersonali familiari, può far fatica a sintonizzarsi emotivamente con questo periodo dell’anno. Ciò potrebbe provocare in queste persone sensazioni di antipatia, apatia e ansia verso l’evento Natalizio, come se fosse una vera e propria punizione angosciante assieme, a volte, ad una deflessione del tono dell’umore.

In queste persone, a volte, è il sentimento di appartenenza ad inciampare e a far vacillare le proprie credenze, di conseguenza l’evento Natalizio diviene un evento stressante, che fa sentire inadeguati e “strani” poiché la tristezza provata non è in linea con la felicità che la società ci chiede.

Il Natale sembra essere un giorno che non perdona volentieri: può donare gioia o far rattristare la persona in un malessere nascosto ma presente.

Esso può rivelarsi un’occasione per spiacevoli sensazioni di solitudine e/o di vuoto difficili da colmare, un momento in cui dover fare dei bilanci con lo scopo di “tirare le somme” dell’anno appena trascorso (come accade anche durante il giorno del nostro compleanno) come fosse una prova di valutazione della vita in generale e l’esito delle nostre competenze relazionali nei rapporti familiari (di merito, di punizione, di fortuna etc.).

È chiaro come questo malessere possa essere dato, non solo da disagi del presente ma anche da situazioni irrisolte del passato.

La tristezza da Natale ha una durata assolutamente soggettiva, può andare da qualche giorno in piena festività oppure coprire per intero il Calendario dell’avvento fino al successivo anno, quando vengono ripresi gli abituali ritmi di vita che acquietano il nostro mondo psichico interno.

Le persone maggiormente vulnerabili alla Christmas Blues sembrano essere quelle che tendenzialmente non hanno molti contatti sociali e affettivi, quelle coinvolte da problemi oggettivi di lontananza dalle persone care; chi ha vissuto episodi negativi importanti (come un lutto, una separazione, un tradimento, un problema coniugale) e chi è già predisposto ad aspetti clinici depressivi a prescindere dalle festività.

Un percorso di psicoterapia con un professionista della salute mentale può rivelarsi certamente un’occasione per affrontare i significati profondi della propria tristezza Natalizia e comprendere le modalità e le motivazioni con le quali si è manifestata.

Teniamo presente che, essere tristi e malinconici a Natale non indica che siamo sbagliati o inadeguati ma ci ricorda che siamo esseri umani complessi con una propria individualità e storia di vita.

Questo articolo vuole essere un invito a normalizzare le emozioni negative poiché anche queste sono funzionali e dicono tanto su come stiamo, ascoltarle allena la nostra consapevolezza.

Si sconsiglia fortemente così il preporsi di “dover essere” felici a tutti i costi poiché ciò stresserebbe ulteriormente. Quando si vive un momento difficile, è fondamentale quindi prendersi lo spazio e il tempo per esprimere il proprio dolore e, se possibile, condividerlo con qualcuno per lenire il malessere e sviluppare maggiori quote di resilienza.

Quello della Christmas Blues, ricordiamo, non è uno stato patologico e dovrebbe farci preoccupare nella misura in cui invalida pesantemente le giornate.

La psicoterapia è fortemente consigliata qualora questa sia accompagnata più specificatamente da una sintomatologia attinente ad un disturbo d’ansia, un disturbo dell’umore, disturbo da attacchi di panico o altro.

Psico-pillole da tenere in tasca:

Rimanere nell’ hic et nunc ovvero il “qui ed ora”: imparare a vivere appieno e consapevolmente tutto ciò che ci accade nel presente, senza perdersi nei pensieri del passato o del futuro. Coltivare i pensieri positivi allentando rimuginio e i pensieri negativi.

Prendere le distanze da ciò che ci stressa/ci fa stare male, dalle aspettative e convenzioni sociali: limitare quelle attività che facciamo per “obbligo natalizio” (doni, visite, pranzi etc.) imparando a “dire di no” agli incontri con persone che sappiamo ci provocheranno malumore e cercare di aumentare gli incontri gradevoli. Allenare la nostra scelta consapevole rispetto a tutto ciò e limitare anche la consultazione pervasiva di social media per vivere la propria vita reale e non perdersi in quella di altre persone.

Concentrarsi su ciò che ci fa stare bene: dedicarsi a quelle attività piacevoli che aumentano lo stato di benessere mentale e fisico come la lettura di un libro che ci piace, dedicarsi a hobbies, attività fisica, percorrere una passeggiata distensiva (specie nelle ore di luce), ascoltare la propria musica preferita etc.

Coccolarsi: concedersi qualcosa di goloso, farsi un regalo, attività inerenti la cura del proprio corpo o la programmazione di un viaggio futuro donano sensazioni piacevoli.

Recuperare: approfittare del tempo libero da vacanze per dedicarsi ai progetti lasciati in sospeso, mandando avanti pezzi della propria vita.

Riposo: i giorni di festa possono rappresentare l’occasione per riposarsi e dormire di più.

Coltivare le relazioni: mantenere vivi i contatti con le persone alle quali teniamo, anche a distanza, ci fa sentire meno soli e aiuta l’umore.

 

Dott.ssa Maria Grazia Esposito

Psicologa Clinica Psicoterapeuta