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SMARTPHONE E SOCIAL: I TERZI INCOMODI NELLA RELAZIONE CON I GENITORI

I vostri figli non sono figli vostri…

sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.

Kahlil Gibran

Il libro Il vaso di pandoro. Ascesa e caduta dei Ferragnez, scritto dalla giornalista Selvaggia Lucarelli e uscito nel mese di maggio del 2024 dalla casa editrice PaperFIRST, ci ha offerto l’occasione per riflettere e parlare delle conseguenze sullo sviluppo emotivo che ha l’uso che i genitori fanno degli smartphone e dei social, mentre si relazionano con i figli.

Il libro è un’inchiesta svolta dall’autrice sulle cause che hanno portato Chiara Ferragni e suo marito Fedez a diventare, prima lei da sola e poi come coppia, un fe­nomeno sui social da più di 28 milioni di follower e successivamente sulle cause che li hanno portati ad avere problemi legali, multe da 1 milione di euro per pub­blicità ingannevole e a perdere “l’amore” del loro pubblico. Per chi, come la scrivente, li conosceva solo di nome è stata una lettura interessante, soprattutto per le spiegazioni sul funzionamento dei social rispetto all’acquisizione o perdita di popolarità.

Come ci rende noto l’autrice del libro, gran parte della popolarità della coppia è derivata dalla pubblicazione di stories che hanno visto come protagonisti, inconsapevoli, i loro figli. Molto interessante si è rivelato il capitolo Quando i bambini fanno like.

Il fenomeno dei baby influencer è stato lanciato sul social Tik Tok, ma i Ferragnez hanno sempre preferito Instagram.

Nonostante Fedez abbia affermato che loro non monetizzano attraverso i figli, perché non li coinvolgono in campagne pubblicitarie, cito Lucarelli, “è evidente che non solo ne facciano parte, ma che siano il nucleo principale del brand. Anzi, l’elemento di maggior successo. I contenuti con i figli Vittoria e Leone ottengono più like degli altri post legati al loro lavoro e molte persone confessano senza alcuna re­mora di seguire la coppia più per la tenerezza dei bambini che per i beni di lusso mo­strati dai genitori.” Infatti il 60% delle storie pubblicate riguarda i loro figli e i primi cinque video per numero di interazioni sono quelli con i figli.

Ciò su cui si interroga Lucarelli, e anche noi come psicoterapeuti, è l’impatto che questi comportamenti dei genitori e l’esposizione sui social possono avere sulla salute mentale dei minori. La giornalista si domanda: “Che benefici traggono i minori dal vedersi puntato un telefono in faccia e nel non sapere che quello che fanno diventerà un contenuto? [i genitori non pensano] che se un giorno avranno da lamentarsi di questa loro scelta, sarà troppo tardi per poter rimediare, visto che esisteranno milioni di contenuti non rimovibili e una loro biografia digitale infinita?”

Abbiamo coinvolto due psicoterapeute dell’Associazione Eco, le dottoresse Federica Ariani e Tatiana Giunta, che si occupano di età evolutiva per provare a riflettere insieme su tale quesito e abbiamo posto loro qualche domanda.

“Dottoressa Giunta esiste una definizione per il comportamento messo in luce dalla giornalista Lucarelli?”

Si tratta di un fenomeno definibile con l’espressione britannica sharenting, che deriva dall’unione delle parole share, condividere, e parenting, essere genitori ed è l’esposizione costante dei bambini sui social media da parte dei loro genitori o di altri adulti che ne sono responsabili.

“I protagonisti dello sharenting sono solo personaggi celebri e i loro figli?”

Assolutamente no. Potremmo pensare che si tratti di un fenomeno legato principalmente agli influencer, tuttavia è molto diffuso anche tra genitori non celebri. Secondo un sondaggio contenuto in uno studio presentato sulla Rivista italiana di educazione familiare (Cino, Demozzi, 2017), il 68% delle persone intervistate – prevalentemente madri con figli di età compresa tra 0 e 11 anni – disse di pubblicare con una certa frequenza foto dei propri figli online, attraverso i profili social e il 30% di farlo anche su gruppi con un pubblico più ampio di quello di un profilo personale. Da questo sondaggio emerge la tendenza, da parte dei genitori, a diminuire la condivisione di foto dei figli con l’aumentare della loro età, mentre nei primi cinque anni percepiscono questa pratica come un loro diritto di genitori, senza tenere in considerazione il diritto alla privacy dei figli.

“Qual è lo scopo di condividere contenuti legati all’immagine dei propri figli?”

Alcuni sostengono che lo sharenting sia l’evoluzione digitale del mostrare gli album di famiglia e del parlare dei successi dei propri figli. La differenza da non sottovalutare consiste nel pubblico, che è più ampio e composto anche da sconosciuti. Inoltre lo sharenting ha una funzione sociale: i genitori si sentono supportati dalla rete, condividono le loro difficoltà, ricevono apprezzamenti. Diciamo che risponde a un bisogno narcisistico. E talvolta guadagnano denaro.

“Anche in passato i bambini sono stati esposti mediaticamente attraverso TV e cinema, che differenza c’è rispetto allo sharenting?”

Le implicazioni sono diverse, più complesse e ancora in fase di studio. A differenza degli spot, dei film o dei programmi televisivi nei quali i bambini erano/sono consapevoli di essere ripresi da una telecamera, lo sharenting introduce una riflessione importante rispetto alla (non) consapevolezza di essere ripresi, che ha importanti implicazioni sulla costruzione della fiducia reciproca, sulla privacy, oltre a possibili effetti sullo sviluppo psicologico.

“Sembrano dunque esserci implicazioni a diversi livelli. Quali riflessioni possiamo fare rispetto al tema del rispetto della privacy?”

È chiaro come non essendoci il consenso, il diritto alla privacy non venga rispettato. La diffusione di dettagli legati al minore – come i posti che frequenta, i nomi di famigliari – potrebbe sembrare innocua, tuttavia lo espone al rischio di venire avvicinato da estranei con intenzioni negative. Inoltre in diversi casi, come testimoniato dal dipartimento australiano Children’s eSafety, le immagini di minori condivise dai loro genitori sono state ripostate da sconosciuti o “rubate” e pubblicate su siti pedopornografici.

Oggi il patrimonio digitale rimane a disposizione di tutti e cosa ne sarà del futuro di questi kidfluencer quando avranno una vita adulta e una carriera? Cosa rimarrà dell’eredità virtuale lasciata loro dai genitori?

“Cosa possiamo dire delle implicazioni a livello psicologico?”

Si tratta di un fenomeno ancora in fase di studio, tuttavia gli interrogativi su come lo sharenting influisca a livello psicologico meritano una riflessione attenta e puntuale.

Secondo Leah Plunkett (2019), docente alla Harvard Law School, il problema riguarda il mancato consenso dei bambini nell’utilizzo della loro immagine. Chi vorrebbe che la propria immagine venisse catturata e poi diffusa, ad esempio in momenti di fragilità, senza aver dato il consenso? È proprio ciò che è successo a Leone e Vittoria, come riporta Lucarelli, ripresi durante i loro momenti di difficoltà e tristezza per il trasloco o all’ospedale con una flebo, con l’intento di ricevere le attenzioni dei follower e di monetizzare. La tendenza a lucrare sui propri figli è una “mercificazione” di questi in nome del denaro e del successo.

Come evidenzia la psichiatra Adelia Lucattini su Repubblica “i social ci hanno portato alla sovraesposizione mediatica, ma un conto è sovraesporre sé stessi, un altro è farlo con terzi. I bambini spesso non sanno che loro immagini riservate sono state postate dai genitori, quando poi ne diventano consapevoli potrebbero sentire violata la loro intimità. Occhi indiscreti hanno la possibilità di scrutare nel loro privato, e non è difficile immaginare che possano provare vergogna. Questo potrebbe influire sulla relazione coi genitori stessi e rendere difficile un rapporto sereno ed equilibrato con loro. Ed è la migliore delle ipotesi perché significa che il processo di differenziazione dai genitori, necessario per lo sviluppo dei bambini, sta avvenendo, stanno crescendo e diventando adolescenti consapevoli, sufficientemente strutturati e forti da potersi opporre e ribellare.”

Talvolta le angosce dei bambini vengono condivise dai genitori per cercare supporto e strappare una risata al loro pubblico, tuttavia come sottolineano Willingham ed Hershbergnel loro studio del 2019, le loro angosce non dovrebbero essere recepite come «un segnale per tirare fuori lo smartphone cercando di ottenere “Mi piace”». I bambini cercano nei genitori il rispetto e la compassione e un contesto familiare ed intimo nel quale imparare a ridere di sé, che non può avvenire se vengono derisi dai loro genitori.

Rispetto allo sviluppo dell’identità il rischio è quello di costruire un’immagine di sé come di “oggetto di scena”, come fonte di denaro. L’immagine di sé assume un’importanza predominante in un mondo virtuale dove l’apparenza è tutto e può tradursi nello sviluppo di aspetti legati alla ricerca di un sorta di “consenso pubblico”, come riportato in un articolo del Post che intervista Brunella Greco, esperta in materia di tutela dei minori online per la ONG Save the Children: “cominciano a fare i conti da piccoli col fatto di essere esposti al giudizio e ai “mi piace” degli altri, e questo interagisce con la formazione della personalità e della propria immagine pubblica”.

Sempre Lucattini ci ricorda come “la vetrinizzazione dei figli può dar vita allo sviluppo di un Falso Sé, ovvero una personalità difensiva, da offrire agli altri. Non nel senso di ingannevole, ma di personalità non propriamente autentica, che il bambino crea inconsciamente per proteggere il vero Sé. Il Falso Sé è una difesa della mente per proteggere l’intimità, gli aspetti emotivi inconsci. Ma spesso chi ce l’ha non lo sa. Prima era un fenomeno legato a dinamiche famigliari o traumi, ora è causato anche dalla perdita del confine tra intra ed extra famigliare, tra pubblico e privato. Questi ragazzi saranno adulti che avranno prima o poi bisogno di andare in analisi.”

In conclusione possiamo dire che pubblicare le immagini dei figli minori, oltre ad agevolare atti di cyberbullismo, furti d’identità, truffe online o ancor peggio atti legati alla pedopornografia, trasmette un messaggio educativo distorto e può avere influenze negative sullo sviluppo del senso di Sé e sulla relazionalità.

“Ci sono degli studi con le testimonianze dei figli dello sharenting?”

Trattandosi di un fenomeno nuovo sono ancora pochi gli studi in letteratura che possano cogliere gli effetti dello sharenting.

Un gruppo di ricercatori belgi (Ouvrein e Verswijvel, 2019) ha condotto un focus group con adolescenti tra i 12 e i 14 anni dimostrando che, sebbene alcuni hanno affermato di comprendere le ragioni del comportamento genitoriale, in molti si sono definiti preoccupati. Ciò che ha suscitato maggiore imbarazzo sono le foto buffe o di nudità. Gli adolescenti vorrebbero controllare ciò che i genitori pubblicano potendo quindi scegliere e dando il consenso o il dissenso. Come conseguenze dello sharenting gli adolescenti fanno riferimento all’accettazione dei pari, alla paura di essere valutati negativamente, all’essere vittima di bullismo o cyberbullismo, o sul lungo termine alla presenza di foto imbarazzanti che potrebbero influenzare la scelta del recruiter di fronte a una candidatura lavorativa.

In un secondo studio della stessa università (Verswijvel et al., 2019), attraverso la somministrazione di questionari a 817 adolescenti, è emersa la loro tendenza a disapprovare largamente lo sharenting, considerandolo imbarazzante e inutile. Gli adolescenti che valutano in modo maggiormente positivo lo sharenting sono quelli che tendono a condividere numerose informazioni personali o che prestano meno attenzione e sono meno preoccupati nei riguardi della loro privacy.

“Un’ultima domanda. È chiaro come ci sia un problema da risolvere inerente il tema della tutela dei minori, soprattutto rispetto al consenso e alla privacy. Quali sono attualmente le tutele in Italia?”

Attualmente l’unica legge a cui poter fare riferimento è il GDPR con le successive modifiche. Trattandosi di un’emergenza, in Italia, come precedentemente in Francia, a marzo 2024 è stata presentata una proposta di legge che tuteli i minori protagonisti dei social dei loro genitori. In tale proposta sono contenuti aspetti interessanti, come la conservazione dei guadagni prodotti dal kidfluencer (il minore esposto dai genitori sui social) in un conto a lui intestato (attualmente però un minore non può avere un conto a lui intestato), vincolato e accessibile solo alla maggiore età, o la possibilità di richiedere l’oblio digitale al compimento dei 14 anni, ovvero la cancellazione di tutti i contenuti che lo ritraggono.

“Dottoressa Ariani, sempre di più fin dall’allattamento i figli devono “condividere” le attenzioni dei genitori con uno strumento inanimato quale è lo smartphone. Questo comportamento genitoriale che conseguenze può avere sullo sviluppo dei figli?”

Rispondo con uno studio che rappresenta una pietra miliare della psicologia dello sviluppo con la sua versione aggiornata alla nostra realtà digitale.

Fin dai primi mesi di vita i caregivers rappresentano per i loro figli il principale stru­mento di regolazione e autoregolazione emotiva. A differenza delle convinzioni le­gate all’idea che il bambino alla nascita sia una tabula rasa, privo quindi di iniziative, richieste o capacità, le recenti ricerche dimostrano quanto fin dai primi giorni di vita il neonato possieda delle competenze relazionali e dunque quanto la relazione sia per lui fondante e necessaria per poter esprimere e riconoscere se stesso. Si tratta di un discorso di riconoscimento e di auto­regolazione: attraverso il contatto fisico e lo scambio di interazioni il neonato impara a rico­noscere l’adulto di riferimento e a re­golare il proprio funzionamento emotivo e affettivo.

Un interessante esperimento svoltosi negli anni ‘70 da parte dell’équipe del dott. Tro­nickesprime con maggiore chiarezza questo assunto: si tratta dell’esperimento dello Still Faceed è stato applicato su delle diadi madri-bambino nell’età compresa tra i 3 e i 6 mesi, un pe­riodo dunque in cui il bambino ha imparato ad esprimersi attraverso suoni e vocalizzi. L’esperimento era suddiviso in tre fasi: in una prima fase veniva chiesto alla madre di porsi vis à vis con il suo bambino e di avviare con lui un dialogo attraverso vocalizzi e suoni vo­cali, “facendo delle domande” e rispondendo al pic­colo, lasciando a lui il proprio tempo di latenza per partecipare attivamente all’interazione. Il bambino partecipava in modo sereno, sorrideva alla madre, vocaliz­zava, esprimeva dei suoni e si muoveva eccitato sul seggiolone, indicando oggetti e rispondendo alle richieste materne.

Successivamente, nella seconda fase dell’esperimento, veniva richiesto alla madre di inter­rompere l’interazione non solo vocale ma anche mimica, di non partecipare più attivamente e con lo sguardo alla relazione con il piccolo, mantenendo un’espressione facciale neutra. La reazione del bambino era da subito attribuibile a una condizione di stress: coglieva subito che qualcosa non andava, provava a ripetere la sequenza mi­mica e le interazioni che prece­dentemente funzionavano nel vivificare la madre (in­dica, fa delle facce, si muove in un certo modo) ma, permanendo la neutralità, il bambino incominciava a essere infastidito, aumentavano i livelli di stress, si modifi­cava la postura, iniziava a muoversi e divincolarsi finché non iniziava a piangere di­speratamente.

La terza parte dell’esperimento consisteva in un’esperienza di riparazione, dunque nel rista­bilire la connessione emotiva e la regolazione: la madre interrompeva la neutra­lità dello sguardo e della mimica e ricominciava a interagire con il piccolo. Da subito il bambino si calmava e smetteva di piangere, ma era necessario del tempo prima che riuscisse a ricolle­garsi emotivamente alla madre in modo sereno: l’esperienza dell’assenza materna era stata molto impattante ed era necessario del tempo per po­terla recuperare.

Questo esperimento effettuato negli anni Settanta ci racconta quanto sia importante la rela­zione per e con il bambino molto piccolo e anche attraverso quali canali essa si strutturi: lo sguardo, la responsività visiva, la voce e la continuità della relazione. Questi elementi sono centrali affinché  il bambino possa riconoscere l’Altro e se stesso. Attraverso la presenza at­tiva, partecipe e vivace della madre, il bambino ap­prende a regolare le emozioni e a mante­nere la continuità di Sé; nel momento in cui la madre si assenta emotivamente (questo è il caso anche della depressione post par­tum) il bambino percepisce vividamente lo stress e lo esperisce attraverso il corpo, il pianto. Il pianto ha proprio la funzione di riattivare la madre, di chiederne la presenza e di ristabilire la relazione.

La reazione più estrema a un fattore stressogeno presente nell’ambiente relazionale circo­stante è il riflesso vasovagale, cioè l’utilizzo, attraverso lo svenimento e la per­dita di co­scienza, di difese psicologiche come quella della dissociazione.

“La relazione con i genitori, dunque, è necessaria al bambino per dare un senso alla propria esistenza e per favorire il proprio sviluppo psichico e psicologico, tramite l’autoregolazione. Che funzione acquisisce quindi lo smartphone in questa interazione quando viene inserito da parte del genitore?”

Nel marzo 2021 è stato pubblicato, anche in rete, un aggiornamento dell’esperimento dello Still Face di Tronick, attualizzato alla modernità: veniva cioè inserito all’interno della rela­zione madre-bambino lo smartphone.

In questo esperimento veniva chiesto alle madri di porsi in una posizione vis à vis con il loro bambino e di avviare una conversazione, fatta di sguardi, sorrisi, suoni e voca­lizzi, come nell’esperimento originario. Il bambino è da subito un soggetto attivo della relazione e con­tribuisce a mantenere attivo il dialogo.

Nella seconda fase dell’esperimento veniva richiesto alla madre di iniziare a utiliz­zare il cellulare, dunque di interrompere la conversazione con il piccolo e di farsi as­sorbire dallo smartphone. La reazione del bambino a questo comportamento materno equivale a quello dell’esperimento originario: il piccolo prova inizialmente a riatti­vare la madre, muovendosi sulla sedia, vocalizzando, emettendo suoni spiritosi e/o standardizzati; permanendo l’assenza materna, il bambino inizia a manifestare com­portamenti stressogeni, fino a esplo­dere in un pianto disperato. Nel momento in cui la madre “riallaccia” la relazione, il bam­bino si calma e torna nell’assetto relazionale e comunicativo iniziale.

Cosa possiamo concludere?

Lo smartphone dunque, e la sua presenza all’interno della relazione con i bambini molto piccoli, non fa altro che minare la connessione della diade, causando in loro un’interruzione dello scambio caldo, empatico e strutturante, che occorre al piccolo per co­stituirsi e per autoregolarsi. La presenza del cellulare interrompe la continuità relazionale e il contatto emotivo, fondamentale per un sano sviluppo psicologico e cognitivo del bambino.

Dr.sse Federica Ariani, Tatiana Giunta e Luigina Pugno

BIBLIOGRAFIA

Cino, D., Demozzi, S. (2017) Figli “in vetrina”. Il fenomeno dello sharenting in un’indagine esplorativa. Rivista Italiana Di Educazione Familiare, 12(2), 153–184.

https://doi.org/10.13128/RIEF-22398

Gibran, K. (1923) Il profeta. Feltrinelli, 2013.

Lucarelli, S. (2024) Il vaso di Pandoro. Ascesa e caduta dei Ferragnez. PaperFirst.

Ouvrein, G., Verswijvel, K. (2019). Sharenting: Parental adoration or public humiliation? A focus group study on adolescents’ experiences with sharenting against the background of their own impression management. Children and Youth Services Review, 99, 319-327.

Plunkett, L. (2019) Sharenthood: why we should think before we talk about our kids online. The MIT Press.

Verswijvel, K., Walrave, M., Hardies, K., & Heirman, W. (2019). Sharenting, is it a good or a bad thing? Understanding how adolescents think and feel about sharenting on social network sites. Children and Youth Services Review, 104, 401-411.

Willingham, V.D.T., Hershberg, R.S. (2019) Stop posting your child’s tantrum on Insta­gram. The New York Post.

SITOGRAFIA

https://www.repubblica.it/moda-e-beauty/2024/03/22/news/sharenting_proposta_legge_foto_minori_social-422358811/

https://www.ilpost.it/2024/03/21/social-network-foto-bambini/

https://www.cesda.net/2022/12/09/sovraesposizione-mediatica-dei-bambini-e-conseguenze-a-livello-individuale/

https://www.ilpost.it/2022/09/10/sharenting-bambini-social/