L’AUTOLESIONISMO E AUTODISTRUTTIVITÀ IN ADOLESCENZA
Uccido il mio corpo
poiché esso
mi uccide”
Platone
Il termine autolesionismo deriva dal greco αὐτός e dal latino laedo (danneggiare) e significa letteralmente “danneggiare sé stessi”.
Esso indica la tendenza a provocare il danneggiamento del proprio corpo attraverso lesioni autoinflitte dirette e intenzionali senza necessariamente intenzioni suicidarie, tipica di alcuni adolescenti e giovani adulti.
Le condotte autolesionistiche non hanno un senso univoco, non può esserci una causa precisa in ogni circostanza, possiamo intenderla certamente come una strategia per gestire la sofferenza psicologica talvolta inserita appunto nel quadro di una psicopatologia più complessa.
Si tratta di modalità comportamentali riscontrabili in varie categorie diagnostiche come ad esempio disturbi d’ansia, disturbi dell’umore, disturbi di personalità, abuso di sostanze, disturbi del comportamento alimentare.
Sono forme di sofferenza definite appunto “Deliberate self-harm” ovvero “Auto-danneggiamento intenzionale” che comprende un repertorio vario di comportamenti patologici, riconducibili a tre principali tipi di condotte di:
1. Auto-danno come l’abuso di sostanze psicoattive, la sex promiscua e il gioco d’azzardo;
2. Auto-avvelenamento come l’ingestione di sostanze tossiche e l’overdose di droghe;
3. Autolesive come tagli, scarnificazioni, graffi, escoriazioni, lividi (cutting); bruciature e ustioni (burning) e ancora morsi, tricotillomania, eccessiva onicofagia etc.
Parlare di autolesionismo in adolescenza è faticoso poiché è difficile accettare l’intenzionalità autodistruttiva di un adolescente nel pieno della propria vita e farsi carico della drammaticità di tutto ciò.
Per poter comprendere meglio la tematica, occorre fare un cenno all’oggetto destinatario delle dinamiche autolesionistiche ovvero il corpo e come questo viene vissuto nel periodo adolescenziale.
Il corpo in adolescenza diviene il luogo dove avviene la ridefinizione di Sé rispetto al mondo esterno, esso si pone come il ricettacolo di pensieri, attenzioni e preoccupazioni dell’adolescente nonché portavoce della sua sofferenza.
Il corpo che vive gli inaspettati, inevitabili e dirompenti cambiamenti puberali e fisiologici può essere sentito come inautentico o non rappresentativo, fuori luogo, non corrispondente a come viene esperito e di conseguenza diventare causa di vergogna e imbarazzo sociale, nonché bersaglio del malessere e aggressività.
Le condotte autolesive esprimono una ricerca disperata di modi per lenire la propria sofferenza, più nello specifico possiamo osservare i seguenti significati:
Quando la mente è sopraffatta, la ferita reca sollievo rispetto ad un disregolato stato di arousal psicofisiologico, ingaggiando una lotta distruttiva tra sé e il proprio corpo e cercando di ripristinare uno stato mentale più tollerabile. Ciò avviene anche a livello di pensieri perché per un po’ ci si occupa solo del dolore fisico e ciò che ne consegue (es. vista del sangue, disinfettare, apporre cerotti etc.) distogliendosi dal dolore interiore.
La disregolazione emotiva è il fallimento della regolazione flessibile dell’esperienza e/o espressione emotiva, comune a molti quadri psicopatologici.
6. MODALITÀ PER CONCRETIZZARE la sofferenza in vissuti corporei, visibili, più controllabili anche perché autoprodotti. Il dolore somatico esterno simboleggia il vuoto interno.
L’autolesività rappresenta i modi di esternalizzare gli affetti negativi proiettati sul corpo, necessari “per sentirsi vivi” contro parti morte di sé o non attrezzate a rappresentare uno o più dolori indicibili.
Il dolore psichico è così intenso e insopportabile e il corpo è utilizzato come veicolo di sofferenza e lo stesso viene attaccato, a volte, con modalità autolesive e autodistruttive (dca, autolesionismo e tentato suicidio).
Il trattamento necessario per le condotte autolesive richiede trattamenti psicoterapeutici che si focalizzino sulla regolazione delle emozioni per affrontare la sofferenza, sulla capacità di coping funzionali e adattive nonché sull’incremento della capacità di mentalizzazione ovvero la capacità di comprendere il proprio e altrui comportamenti in termini di stati mentali.
Come professionisti della salute mentale, sconsigliamo un atteggiamento giudicante o di condanna del comportamento autolesivo ma è bene favorire una richiesta di aiuto per rivolgersi a specialisti per un’adeguata valutazione e psicoterapia.
BIBLIOGRAFIA
– R. Ostuzzi, M. Pozzato, Autolesionismo e disturbi di personalità (M.D. Medicinae Doctor – Anno XVI numero 5 – 18 febbraio 2009);
– M. Lancini, L. Cirillo, T. Scodeggio, T. Zanella, L’Adolescente Psicopatologia e psicoterapia evolutiva Raffaello Cortina Editore 2020;
– M. R. Monti, A. D’agostino, L’Autolesionismo, Carocci Editore 2009;
– C. D’agostino, M. Fabi, M. Sneider, Autolesionismo. Quando la pelle è colpevole, L’asino d’oro 2016.
Dr. Ssa Maria Grazia Esposito
Psicologa Clinica Psicoterapeuta