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QUANDO SI MEDITA E’ MEGLIO RESPIRARE ATTRAVERSO IL NASO O LA BOCCA?

La prima caratteristica che si evidenzia  in tutte le tecniche di respirazione, sia occidentali sia orientali, è che preferiscono il coinvolgimento della via respiratoria nasale piuttosto che quella della bocca.

Nella letteratura  indiana è riportato che “solo quando i canali nasali sono liberi è possibile controllare il Prana (l’energia vitale)” indicando che i nadi (canali energetici) delle narici sono di grande importanza per il controllo del Prana.

Anche la  letteratura scientifica occidentale ha rilevato la presenza di un meccanismo neurofisiologico presente nelle narici capace di indurre il rilassamento.

E’ stato dimostrato che sull’epitelio delle narici ci sono dei recettori in grado di rispondere alla pressione esercitata dall’aria durante il suo passaggio e che questi recettori stimolano la corteccia piriforme e orbi frontale. Ciò significa che l’inspirazione nasale migliora le prestazioni cognitive, il riconoscimento emotivo e la memoria episodica (Zelano et all). Gli studi di Herrero et all hanno dimostrato che prestare attenzione al respiro incrementa la coerenza tra respiro e attività elettrica intracranica. Queste ultime scoperte sono interessanti, perché dimostrano che le tecniche di respirazione nasale sono in grado di influenzare aree cerebrali differenti dall’elaborazione olfattiva, e che sono legate allo stato di coscienza.

Due studi svolti presso l’università di Pisa hanno dimostrato che le informazioni provenienti dall’epitelio nasale arrivavano alla corteccia orbito frontale (principale proiezione del bulbo olfattivo) e da qui si spostavano verso la corteccia cingolata posteriore (coinvolta negli stati di coscienza legati al sonno) (Piarulli et all). Ciò prova che la respirazione lenta e ritmica è in grado di modificare lo stato di coscienza.

Un secondo studio ha indagato l’effetto della tecnica di Respirazione quadrata, caratterizzata da fasi respiratorie di eguale durata, sia svolta attraverso il naso, sia attraverso la bocca. Anche questo studio ha verificato che la respirazione nasale ha effetti sulla coscienza, riducendo l’arousal, implementando l’attività immaginativa. Al contrario la respirazione attraverso la bocca non aveva effetti sulle funzioni cerebrali.

Respirare con il naso ha degli immediati effetti sulla respirazione stessa, che si fa più lenta e sull’attivazione del Sistema Parasimpatico, quello legato agli stati di calma e quiete. Inoltre portare volontariamente l’attenzione sul respiro, lasciando andare i distrattori (pensieri, immagini, sensazioni emotive e fisiche) e riorientando continuamente la propria attenzione al respiro riduce l’attività del Default mode network: un insieme di aree coinvolte nell’elaborazione autoreferenziale (Sé narrativo) e che si ritiene che sia coinvolta nelle esperienze simil mistiche.

Fonte: Meditazione, mindfulness e neurosceinze,a cura di M. Ghilardi e A. Palmieri ed Mimesis

 

Dott.ssa Luigina Pugno

Psicologa – Psicoterapeuta

YOGA. Quando corpo, mente, respiro ed energia si uniscono

Per anni, il termine Yoga ha assunto differenti significati a seconda delle interpretazioni di coloro che lo praticavano. Nell’immaginario comune occidentale, alla parola Yoga riecheggiavano rappresentazioni di monaci seduti a gambe incrociate su di una montagna, uomini vestiti di arancione o strane posizioni da circensi. L’opinione comune, a riguardo è sempre stata un po’ confusa. 

La parola Yoga deriva dalla radice sanscrita “yuj” che significa mescolare, unire. Il suo significato è quindi, unione. Unione di mente e corpo. Lo Yoga è lo studio del funzionamento del corpo e della mente che permette di acquisire una maggiore conoscenza di Sé che non deriva solo dai sensi e dalla ragione. È un luogo in cui arte, filosofia e scienza si incontrano. 

Oggigiorno, è possibile individuare quattro tipi di Yoga: 

  1. fisico, basato su posture statiche, sequenze in movimento ed esercizi respiratori (Haṭhayoga, Vinyāsa Yoga, Ashtanga Yoga ecc.); 
  2. intellettuale, basato su approccio simile alla filosofia platonica, alla teologia cristiana e alla filosofia tedesca del XIX secolo (Jñāna Yoga); 
  3. religioso o devozionale che si propone di entrare in contatto con una divinità (Śiva, Viṣṇu, Kṛṣṇa…) e riprende, in parte, forme e contenuti della religione cristiana e delle moderne correnti spirituali nate con la New Age (Bhakti Yoga e Karma Yoga); 
  4. psicologico (Yoga Based Practice -YBP), una pratica terapeutica psicofisica caratterizzata dalle tre principali componenti dello yoga vale a dire, le posture statiche o sequenze di movimento, le pratiche di respirazione e l’attenzione consapevole (Schmalzl, Powers, & Henje Blom, 2015). 

Questi quattro tipi di Yoga spesso integrati tra loro, altre volte rigidamente separati e altre ancora, in conflitto sono sempre stati tollerati all’insegna del motto e principio di base: “lo Yoga è unione”. 

Nell’ottica di questo stesso principio, alla base di qualsiasi tipologia di yoga, sono state individuate tre principali funzioni, come:

  1. “lente d’ingrandimento” per far emergere il proprio dialogo interiore (Bertolo 2016);
  2. insieme di tecniche pratiche per migliorare la salute, la concentrazione e la presenza nel qui e ora (Mori, 2019);
  3. scienza e tecnologia olistica, in quanto metodo disciplinato che “funziona a tutto campo per l’individuo contemporaneo” (Squarcini 2015).

Lo yoga, quindi, va oltre le mere tecniche di esecuzione degli esercizi e gli insegnamenti dalla tradizione millenaria. È una disciplina che insegna a concentrarsi su sé stessi per trovare e ritrovare il proprio equilibrio interno ed esterno utile poi, per ottenere una più chiara immagine di sé.

Attraverso il lavoro disciplinato sul corpo, lo yoga stimola la mente alla propriocezione, vale a dire ad una maggiore percezione e consapevolezza di ogni singola parte del proprio corpo all’interno dello spazio (Bassetti 2009). Si acquisiscono così, informazioni importanti che consentono di imparare come ogni arto, muscolo e tendine del proprio corpo si muove e funziona; così come, stimola ad un ascolto attento e consapevole del proprio respiro per imparare poi, a controllarlo.

Il controllo del respiro o Pranayama, infatti è indispensabile per una buona pratica perché da esso ne derivano la calma della mente, la tranquillità del sistema nervoso e la tolleranza vissuta a livello del corpo della mente. Notiamo quindi, quanto siano strettamente connessi corpo e mente all’interno dello Yoga. Occupandosi del corpo, infatti sarà possibile calmare la mente. Il saggio Patanjali ha definito lo Yoga non a caso, come “controllo delle divagazioni della mente, dell’intelletto e dell’ego”. Solo se la nostra mente è calma e tranquilla anche il nostro corpo e la nostra anima lo saranno. “Così come la luna non si riflette interamente nelle acque di un fiume torbido, l’anima non si manifesta in una mente agitata” (Iyengar G.S, 1992). 

Lo studio e la pratica della disciplina yogica sono elementi fondamentali per controllare le oscillazioni della mente. L’utilizzo di metodi di rilassamento derivanti da tecniche di meditazione e concentrazione permetteranno l’affiorare graduale di stati di benessere, calma e lucidità mentale. 

Attraverso una pratica costante e regolare, sarà possibile far emergere tutte quelle grandi potenzialità insite in ognuno, di cui spesso non si è del tutto consapevoli, e che possono essere utili a direzionare il proprio cammino quotidiano per affrontare al meglio e sotto una nuova luce, le sfide di ogni giorno.

In sintesi, ecco alcuni dei benefici che possiamo ottenere da una pratica disciplinata dello Yoga.

Benefici fisici:

  • Migliora la forza, flessibilità, equilibrio e concentrazione
  • Migliora le funzionalità di organi, tessuti, apparati
  • Favorisce un’azione disintossicate dell’organismo
  • Rallenta l’invecchiamento
  • Previene e cura il mal di schiena
  • Riduce il dolore cronico
  • Mantiene il sistema cardio-circolatorio in buona salute
  • Aumenta la qualità del respiro e la capacità respiratoria
  • Migliora le performance sportive

Benefici mentali

  • Riduce l’ansia, depressione, attacchi di panico
  • Aiuta a gestire le emozioni
  • Aiuta a gestire lo stress
  • Aiuta a promuovere sane abitudini di vita
  • Favorisce una migliore qualità del sonno
  • Migliora la capacità di attenzione e concentrazione

 

Dott.ssa Antonia Di Pierro

Psicologa – Psicoterapeuta

 

Bibliografia

Bassetti C. (2009) Riflessività-in-azione. L’incorporamento dello sguardo spettatoriale come sapere pratico professionale nella danza, in “Etnografia e ricerca qualitativa, Rivista quadrimestrale” 3/2009, pp. 325-352.

Bertolo C, Giordano G. (2016) Spiritualità incorporate. Le pratiche dello Yoga. Milano – Udine: Mimesis Edizioni;

Iyengar G.S, Yoga per la donna (1992) Ed. Mediterranee;

Mori L., Squarcini F., (2019) Nel nome dello Yoga. Filosofia, disciplina, stile di vita; Milano: RCS MediaGroup S.p.A. Edizione Kindle;

Squarcini F., Guagni M.A. (2015) Yogasūtra di Patañjali Torino, Einaudi, vol. 14, pp. 1-176;

Schmalzl, L., Powers, C., Henje Blom, E. (2015). Neurophysiological and neurocognitive mechanisms underlying the effects of yoga-based practices: towards a comprehensive theoretical framework. Frontiers in Human Neuroscience, 9.

Sitografia

https://muysalud.com/it/salute/14-benefici-dello-yoga-per-la-salute/

https://www.yogaitalia.org/

Asma: una visione psicosomatica

La respirazione è una funzione essenziale per la vita. Pochi minuti senza ossigeno e il nostro corpo muore.

Da una ricerca su Google ho scoperto che attualmente il record mondiale di apnea statica è del croato Budimir Šobat, che con 24 minuti e 33 secondi è entrato nel Guinness World Records. Il mio pensiero si sposta dunque a noi non atleti allenati alle apnee, per cui questo tempo si riduce drasticamente!

Possiamo considerare che l’ossigeno sia la prima fonte di nutrimento essenziale per il nostro organismo, disponibile in larga abbondanza nel mondo in cui viviamo e a cui possiamo accedere con la facilità e l’immediatezza di un’inspirazione. Il nostro corpo a riposo e in condizioni di tranquillità emotiva, si stima compia circa 12 atti respiratori al minuto, perciò idealmente 17.280 in un giorno. Tutto questo accade senza nemmeno accorgerci: il nostro corpo respira autonomamente senza richiedere attenzione alcuna da parte nostra. Molto diverso è per chi soffre di disturbi a carico dell’apparato respiratorio.

Uno tra questi è l’asma, un’infiammazione in molti casi cronica delle vie polmonari. Si manifesta con   broncospasmi e ipersecrezione mucosa, che portano ad una respirazione faticosa, con conseguente tosse, respiro sibilante e senso di soffocamento. L’innesco delle crisi, nelle persone predisposte geneticamente, proviene da stimoli allergici o irritanti o forti stress psico-fisici. Nelle condizioni più gravi può portare anche alla morte.

Secondo l’OMS la diffusione di questo disturbo, nella popolazione di tutto il mondo, è in continuo aumento, e le ragioni si ipotizza possano essere ricercate nello stile di vita sempre più urbanizzato, che spinge a passare molto tempo in luoghi chiusi a contatto con aria spesso stagnante o condizionata, acari, smog e polveri sottili.

Durante la crisi asmatica, la persona sperimenta un’angosciante “fame d’aria”, con tentativi disperati di trattenerla dentro di sé, aggrappandosi alla sostanza esterna vitale, l’ossigeno, che in quel momento sembra non essere accessibile in misura sufficiente per la propria sopravvivenza. Il soffermarsi da parte della persona sulla polarità vitale della respirazione, l’inspirazione, sposta l’attenzione sul bisogno pressante di rimandare a tutti i costi il momento mortifero, abbandonico del lasciare andare l’aria-vita-nutrimento. Questo introduce al tema profondo che caratterizza il disturbo: un conflitto che si gioca sul continuum dipendenza-indipendenza in relazione al mondo nutritivo materno.

Edoardo Weiss, psicanalista, nel 1913 descrisse l’attacco asmatico come espressione di un pianto represso o inibito, che veicola  l’angoscia esistenziale di restare tagliati fuori dalla possibilità di accedere alle fonti di nutrimento e protezione. Da numerosi casi clinici è possibile osservare che chi presenta il disturbo, trovi difficile piangere, quasi come se i mezzi classici per ottenere attenzione, cura e risorse vitali, non fossero percorribili. Si può constatare che molte crisi asmatiche trovano fine con il pianto o il riso. Nell’osservazione della relazione tra madre e figlio asmatico, si rilevano spesso momenti o condizioni di indisponibilità della figura di accudimento per distanza e/o inaccessibilità fisica ed emotiva. Ciò genera nel bambino un “complesso di abbandono”.

Il tema esistenziale di chi soffre di asma è decisamente legato alla dualità vita-morte, che si gioca nella relazione con sé stessi e con l’altro fuori da sé.

I percorsi psicoterapeutici possono essere di grande aiuto in questi casi, per prendere maggiore consapevolezza di sé, familiarizzare con le proprie risorse interiori utili allo sviluppo di una maggiore indipendenza emotiva e per esplorare e fare proprie nuove modalità relazionali.

Bibliografia:

Agresta F., Il linguaggio del corpo in psicoterapia. Glossario di Psicosomatica, Roma, Alpes Italia, 2010

Caprioglio V., Fornari P., Marafante D., Morelli F., Parietti P., Dizionario di psicosomatica, Milano, Edizioni Riza, 2007.

Asma – EpiCentro – Istituto Superiore di Sanità (iss.it)

Asma situazione epidemiologica (iss.it)

Dott.ssa Erika Gerardi

Psicologa – Psicoterapeuta