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INTRATTENIMENTO TECNOLOGICO: ACCUDIMENTO O DIPENDENZA?

La tecnologia è un problema? I cambiamenti e gli sviluppi del campo tecnologico rappresentano qualcosa che va modificato o resettato?
Nel primo quarto di secolo degli anni duemila siamo stati sottoposti a grandi cambiamenti tecnologici e digitali, tanto da poter parlare di digital trasformation: l’invenzione di Internet, del Bluetooth, dei Clouds, di Google Maps, delle piattaforme Social Network, dei Bitcoin, degli Assistenti Digitali (…) ha completamente rivoluzionato il mondo in cui viviamo, modificando a
fondo il nostro modo di viverlo e abitarlo. Sono cambiate infatti non soltanto le cose che utilizziamo ma anche il modo in cui le usiamo e si sono trasformate profondamente anche le relazioni, le modalità in cui si costruiscono, si mantengono, si evolvono nel tempo: se prima non era pensabile che i rapporti avvenissero se non in presenza, oggi alcune relazioni vengono costruite attraverso il mezzo tecnologico e, spesso, possono essere mantenute proprio grazie a questo strumento. Le grandi possibilità che ci concede la tecnologia (per esempio di accorciare le distanze e di modificare
lo spazio -tempo) ci permettono di abitare il mondo con delle procedure completamente differenti rispetto al passato e con degli strumenti che rappresentano il nostro periodo storico, quasi più di noi stessi.
Riprendendo il discorso del filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti: “con il termine “tecnica” intendiamo sia l’universo dei mezzi (le tecnologie) che nel loro insieme compongono l’apparato tecnico, sia la razionalità che presiede al loro impiego in termini di funzionalità ed efficienza. Con questi caratteri la tecnica è nata non come espressione dello “spirito” umano, ma come “rimedio”
alla sua insufficienza biologica 1”. Galimberti fa un confronto tra l’istinto che guida e indirizza il comportamento degli animali e l’azione che distingue e differenzia l’uomo: la tecnica rientrerebbe nel mondo delle azioni insieme all’anticipazione, all’ideazione, alla progettazione e alla libertà di
movimento ed azione. In questo senso, secondo Galimberti, “la tecnica è l’essenza dell’uomo” perché da lui costruita e da lui utilizzata per sostituirlo o porsi al suo posto: se nei tempi antichi la tecnica era uno strumento nelle mani dell’uomo utile a raggiungere uno scopo e ad organizzare la sua vita, ad oggi la tecnica rappresenta invece l’essenza, l’ambiente all’interno del quale l’uomo
vive e si è costituita con la finalità di controllare e dominare il mondo circostante, a livello locale e/o planetario. Ad oggi, infatti, abbiamo degli strumenti che ci aiutano a fare tutto: calcolare le spese, prevedere il tempo, organizzare le cose e noi stessi, migliorare il fisico, l’importo calorico, la
salute mentale, strumenti che ci aiutano a bere a sufficienza, a mangiare il giusto, a muoverci quanto necessario, a cucinare, a dormire, a svegliarci, a cambiare stile di vita o modificare il modo in cui facciamo le cose…possiamo dire che più niente è guidato essenzialmente dal nostro istinto e dalla
nostra parte animalesca, tutto ciò che è istintuale può essere potenzialmente sostituito da qualcosa di tecnico. “Infatti, finché la strumentazione tecnica disponibile era appena sufficiente per raggiungere quei fini in cui si esprimeva la soddisfazione degli umani bisogni, la tecnica era un semplice mezzo il cui significato era interamente assorbito dal fine, ma quando la tecnica aumenta
quantitativamente al punto da rendersi disponibile per la realizzazione di qualsiasi fine, allora muta qualitativamente lo scenario, perché non è più il fine a condizionare la rappresentazione, la ricerca, l’acquisizione dei mezzi tecnici, ma sarà l’accresciuta disponibilità dei mezzi tecnici a dispiegare il ventaglio di qualsivoglia fine che per loro tramite può essere raggiunto. Così la tecnica da mezzo diventa fine, non perché la tecnica si proponga qualcosa, ma perché tutti gli scopi e i fini che gli uomini si propongono non si lasciano raggiungere se non attraverso la mediazione tecnica 2”. In questo senso i nostri desideri e i nostri scopi diventano condizionati dalla tecnica e dalle infinite possibilità che questa ci propone. Sicuramente sarà difficile, andando avanti con i secoli, che i nostri bisogni non siano condizionati dalle infinite possibilità che la tecnologia ci concede e che propone.

Quale è dunque l’effetto che la tecnologia ha su di noi?
Se, prima dell’esistenza della tecnologia, costruivamo noi stessi a partire dalla risonanza individuale delle esperienze che facevamo, ad oggi, attraverso la tecnologia, l’esperienza collettiva diviene esperienza individuale: c’è infatti un veloce appiattimento della differenza tra interiorità ed esteriorità, della differenza tra superficialità e profondità e di quella tra passività ed attività. In un mondo moderno e tecnologizzato si perde il significato di queste differenze e, in qualche modo, la psicologia dell’uomo si appiattisce a causa di un sempre minore confronto con sé stesso, in cambio della funzionalità dell’apparato tecnico.
Per tornare sulle parole di Umberto Galimberti “Non dunque l’uomo che può usare la tecnica come qualcosa di neutrale rispetto alla sua natura, ma
l’uomo la cui natura si modifica in base alle modalità con cui si declina tecnicamente3”.
La strutturazione di un mondo sempre più tecnologico non fa altro ridurre la capacità umana di psicologizzare, non utilizzando doti psicologiche come quella della mentalizzazione e della immaginazione; il risultato di questa situazione è che ci si omologhi sempre più alla razionalità dell’apparato tecnico e che si perda, oltre che la dimensione dell’istinto, quella della produzione immaginifica. Secondo Galimberti la tecnica non risponde più ai bisogni degli uomini ma è finalizzata ad un proprio obiettivo (quello per esempio di creare e produrre contenuti) e contribuisce a creare un nuovo tipo di ambiente nel quale l’uomo è portato a vivere, un mondo tecnologico. In
questo senso, l’epoca della tecnica porta l’uomo a doversi adattare a questi nuovi equilibri, a modificare il proprio modo di stare in contatto con le persone e con il mondo e ad omologarsi alle novità proposte dalla tecnologia, in crescente e sempre continuo mutamento. “Un’azione è omologata quando è conforme a una norma che la prescrive, quindi quando non è un’azione, ma
una conform-azione. E “conformazioni” sono tutte le azioni che si compiono in un apparato e in funzione dell’apparato, al cui interno il “fare da sé” cessa dove incomincia il “deve essere fatto” in perfetto accordo con le altre componenti dell’apparato 4”. L’omologazione e la conformazione passano dal fatto che per vivere nel mondo è necessario utilizzare lo strumento tecnico che diventa
l’unico modo possibile di esistere e di adattarsi. Il mondo è talmente tanto governato dalla tecnica da renderci dipendenti dalle sue principali caratteristiche: senza l’interruzione dell’utilizzo continuativo della tecnica diventa per noi impossibile renderci conto di quanto la utilizziamo e di
quanto ne abbiamo bisogno. Arriviamo a mettere in atto una vera e propria dissociazione psichica, affidando gran parte del nostro appartato cognitivo e mentale a degli strumenti tecnici, senza adoperare le nostre capacità intellettive. Questo succede a prescindere dalla nostra volontà,
all’interno di un mondo tecnologico dal quale non ci è possibile sottrarci, pena l’assenza di adattamento o l’esclusione da una rappresentazione condivisa del mondo.
Se, da un lato, la tecnologia favorisce una dissociazione psichica, creando nuovi desideri al posto dell’uomo e impedendo lui di “decidere” a cosa affidarsi e cosa preferire, dall’altra ci consente però di sentirci anche al sicuro, rassicurati e compresi: il fatto che si sostituisca a noi ci consente di
delegare le nostre facoltà emotive e di sentirci, in qualche modo, capiti dalle proposte che provengono dal essa. Quando per esempio ci vengono proposti dei contenuti da parte dei social network, essi sono selezionati in base alle nostre preferenze e all’indicizzazione delle nostre precedenti visualizzazioni: il fatto che ci ritroviamo nei contenuti proposti, che sentiamo che in
qualche modo ci riguardano, favorisce una sensazione e un senso di accudimento, di gratificazione e di cura, vissuti che spostano la nostra attenzione cosciente sui contenuti proposti e non più sul
nostro mondo interno. La tecnica che anticipa e indirizza i nostri desideri, oltre a toglierci “l’impiccio” di pensare, favorisce delle sensazioni emotive gradevoli e positive, che hanno a che fare con l’accudimento.
In chiusura di questa lettura del mondo di oggi, a tratti pessimista, a tratti realistica, resta solo da rispondere alla domanda iniziale, la tecnologia è davvero un problema?

Se restiamo sulle premesse condivise più in alto, il punto potrebbe non essere questo: la tecnologia non è più un mero strumento da noi possibilmente utilizzabile ma sta diventando il mondo in cui viviamo. Diventa dunque per noi impossibile sottrarcene. Ciò che sicuramente sarà importante tenere a mente, sia nel mondo attuale che in quello futuro, sarà imparare a utilizzarla responsabilmente: ciò significa non delegare completamente ad essa tutte le funzioni mentali ed emotive, le decisioni legate alla nostra vita e alle relazioni, rendendola un po’ più strumento che
apparato psichico sostitutivo. La tecnologia ci fornisce tante possibilità ad oggi imprescindibili ma, forse, pensare di utilizzarla meno, per meno tempo al giorno, provando a riscoprire la conoscenza e la relazione attraverso altre modalità, potrebbe favorire non solo un migliore e più funzionale contatto con noi stessi e con il nostro mondo interno, ma anche un uso più consapevole ed efficiente dell’apparato tecnico che ci ritroviamo a utilizzare.

 

1Galimberti, in questo caso si riferisce a tutti gli strumenti e le innovazioni appartenenti al nostro periodo storico, noi invece all’interno di questo articolo ci riferiremo principalmente all’utilizzo di Internet e dell’intrattenimento.
2 Galimberti U., “Psiche e Techne”. Universale Economica Feltrinelli 1999, pp. 37.
3 Galimberti U., “Psiche e Techne”. Universale Economica Feltrinelli 1999, pp 47
4 Galimberti U., “Psiche e Techne”. Universale Economica Feltrinelli 1999, pp 615

Dott.ssa Federica Ariani

Psicologa-Psicoterapeuta

 

L’IMPATTO DEI SOCIAL MEDIA SULLA SALUTE MENTALE

I social media hanno rivoluzionato il nostro modo di comunicare, informarci e
relazionarci. Sebbene offrano numerosi vantaggi, come la connessione globale e l’accesso immediato alle informazioni, i loro effetti sulla salute mentale sono oggetto di crescente dibattito e preoccupazione.

Numerosi studi hanno esaminato sia gli effetti positivi sia quelli negativi dei social media sul benessere mentale. È fondamentale sottolineare che i social media, di per sé, non sono né intrinsecamente buoni né cattivi: il loro impatto dipende dall’uso che ne viene fatto.

Analizziamo in dettaglio come questi strumenti influenzano il nostro benessere psicologico.
Le piattaforme sociali hanno introdotto un’era di condivisione globale, inizialmente vista come una rivoluzione positiva capace di diffondere un’elevata quantità di informazioni rapidamente. Tuttavia, con il tempo, le aspettative di un cyber-villaggio globale prospero e sicuro si sono scontrate con una realtà più complessa, probabilmente di pari passo con una progressiva regressione involutiva della società. Il lato oscuro della Rete è emerso, portando a effetti collaterali significativi che hanno portato ad una profonda metamorfosi negativa dei social media. Secondo il Report Digital del 2022 di We Are Social, gli utenti dei social media hanno raggiunto 462 miliardi, rappresentando circa il 58,4% della popolazione mondiale, un aumento
considerevole rispetto ai 148 miliardi di utenti rilevati nel 2012. Questo incremento costante richiede una riflessione approfondita sul loro effettivo impatto nella vita delle persone e sulla loro salute psicologica.

I giovani, specialmente gli adolescenti e i giovani adulti, sono tra i principali utilizzatori dei social media. Diversi studi indicano che l’uso intensivo di queste piattaforme può avere sia effetti positivi che negativi sulla salute mentale. Infatti, queste nuove tecnologie creano connessione sociale: permettono di mantenere i contatti con amici e familiari, specialmente durante periodi di isolamento o distanza fisica. Danno loro la possibilità anche di creare una rete di persone, di mantenerla viva e solida nel tempo, attraverso lo scambio assiduo di immagini, video, giochi, audio e messaggi, alimentando il senso di appartenenza a qualcosa.
A livello psicologico l’avvento e l’aumento dei contatti online ha dato vita a quello che viene definito Digital Emotion Regulation , ovvero l’atto di regolare le proprie emozioni grazie alla tecnologia, attraverso gli ambienti digitali.        Le piattaforme come Instagram, Youtube, Facebook o Twitch offrono spazi liberi dove i giovani possono condividere le loro esperienze, ricevere supporto emotivo, aumentare il loro livello di autostima personale e professionale. E’ indubbio che il filtro del “non dal vivo” permette anche alle persone con più difficoltà sociali di intraprendere azioni più comunicative con altri utenti, innalzando così il livello di benessere psicologico. Infine, non possiamo non
renderci conto che l’uso corretto dei social permette di restare aggiornati, informarsi velocemente sulle notizie del mondo, stimolare la creatività, imparare cose nuove in modo gratuito e pratico, lavorare in modo più fluido, anche con altri Paesi.
Pur senza dimenticare del tutto i progressi e i benefici esistenti con l’avvento di
Internet e dei social media, stanno proliferando con sempre maggiore frequenza studi finalizzati a elaborare tecniche in grado di analizzare le variazioni che l’uso dei social media provoca sull’umore e sulle emozioni delle persone. L’effetto “tossico” delle piattaforme sociali si manifesta attraverso la stimolazione della dopamina, che come “una sostanza chimica” funge da neurotrasmettitore per creare una dipendenza continua (addirittura paragonabile a quella provocata da alcol e sigarette). Ne
consegue che, oltre all’incremento esponenziale dei comuni sintomi di ansia,
depressione e senso di inadeguatezza, talvolta si manifestano anche più violenti atteggiamenti di aggressività o offensività nei contenuti condivisi online, che portano spesso al cyber-bullismo, frutto di una percezione distopica di immagini modificate dai numerosi filtri in grado di alterare la realtà rispetto alla fittizia apparenza della rete. C’è un desiderio di attenzione continua, una sorta di “gratificazione sociale” misurata
mediante la visualizzazione del numero di “likes” e di commenti ricevuti; questa dimensione mantiene sempre in condizioni di elevata ipereccitazione e porta le persone ad aggiornare continuamente i propri profili.
Altro aspetto da sottolineare, sulla base di quanto affermato dall’MIT e rispetto all’utilizzo generalizzato e pervasivo dei social media, esiste un rilevante problema strutturale alimentato dal cosiddetto “contagio emotivo ” che tali piattaforme generano sull’umore degli utenti, mutevole “a seconda della versione del prodotto cui sono esposti”. Lo scopo dei gestori è quello di massimizzare il tempo trascorso online e catalizzare un costante coinvolgimento interattivo, spesso a costo di creare dipendenza
psicologica. Il dilagante fenomeno emulativo di atti di autolesionismo che ha persino portato a casi di suicidio, ne è un esempio.
Sono questi, dunque, i tratti preoccupanti del lato oscuro della rete che sembrano delineare una vera e propria sindrome patologica da paura di essere disconnessi e di perdersi online (cd. “Fear of Missing Out” – acronimo FOMO) strettamente connessa all’inedito paradigma “Digito ergo sum”, come nuova dipendenza configurabile nell’ambito dei disturbi comportamentali e cognitivi provocati dall’uso eccessivo di Internet (cd. “Internet Addiction Disorder”) declinabile anche come “Smartphone Addiction”. L’obiettivo degli studi e delle ricerche sul campo è quello di limitare, o almeno provare ad arginare gli effetti negativi dell’uso errato dei social, al fine di
valorizzarne le potenzialità e le opportunità. Per fare questo è necessario che vi sia un controllo, fa parte dei più grandi nei confronti dei più piccoli, che nascono già bombardati da mille informazioni e schermi. Stabilire limiti di tempo per l’uso dei social media può aiutare a ridurre la componente di dipendenza, nonché migliorare la qualità del sonno e della salute psicofisica; senza escludere a propri le connessioni online è importante sensibilizzare e investire anche su relazioni “dal vivo”, al fine di mitigare l’effetto di isolamento sociale. La mission di tutti noi dovrebbe essere quella di promuovere un uso consapevole e critico dei social media, delle connessioni e della Rete in generale, perché può contribuire a migliorare il benessere complessivo degli
individui, e di traverso della società che è sempre più digital ed pericolosa.

 

Dott.ssa Caterina Marini

Psicologa – Psicoterapeuta