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Qui di seguito trovate gli articoli che i nostri soci hanno pubblicato su diverse testate. Buona lettura.

VIOLENZA DOMESTICA: COME RICONOSCERLA E COME SPEZZARE IL VORTICE CHE S’INNESCA

“Violenza domestica”. Quante volte abbiamo sentito questa espressione negli ultimi anni? Molti di
voi penseranno che ormai sia un argomento “cult”, ma è davvero così?
Volendo fare chiarezza possiamo dire che l’ambito d’intervento sia relativamente giovane, ma la
tematica non lo è affatto. La violenza infatti è sempre esistita ma, oggi più del passato, viene
percepita come un problema e quindi affrontata.
In particolare la violenza contro le donne ha radici antichissime negli atteggiamenti culturali. Il
rapporto uomo-donna ha da sempre esplicitato schemi in cui da un lato si coglievano
caratteristiche quali superiorità, attività e potere e dall’altro inferiorità, passività e obbedienza.
Già ai tempi di Platone e Aristotele si delineava la donna “per natura più debole dell’uomo” dato
che “il corpo femminile è incompleto, menomato” e come tale la sottomissione femminile all’uomo
veniva autorizzata.
In età romana la donna veniva vista esclusivamente con una funzione procreativa, a tal punto che,
se risultava sterile, poteva venir ripudiata dal marito e dal resto della famiglia.
Nelle epoche seguenti la considerazione della donna non variò di molto, ma si arricchì di divieti
(es. il cristianesimo ne vietò le funzioni sacerdotali, nel medioevo potere e patrimonio venivano
ereditati solo per discendenza maschile, ecc.).
Per fortuna esisteva qualche rara eccezione: nell’antica Babilonia e nell’antico Egitto le donne
godevano dei diritti di proprietà e a Sparta amministravano l’economia. Questo ci dovrebbe
portare ad una riflessione: la donna è davvero per natura più debole dell’uomo?
Forse la natura in questo caso non c’entra nulla. Ne consegue che possa essere un problema
strutturale della società. È la società stessa, infatti, che produce una differenza di genere,
determinando un problema di salute pubblica.
Furono i movimenti femministi degli anni 70 a portare alla luce tale dinamica e la violenza contro
le donne si trasformò, di fatto, da questione privata ad un problema sociale. Si ruppe, così, il muro
di silenzio che l’idea di famiglia, fino a quel momento, aveva nascosto dietro una potente barriera.
Ma ritorniamo al concetto di violenza domestica e dopo questa importante premessa proviamo a
comprenderla meglio. Per prima cosa essa è un Reato e come tale perseguibile dalla legge.
L’articolo 1 della Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne dell’ONU (1993)
definisce con tale espressione “qualsiasi atto di violenza fondata sul genere che comporti, o abbia
probabilità di comportare, sofferenze o danni fisici, sessuali o mentali per le donne, inclusi le
minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitrale della libertà, sia che si verifichi nella
sfera pubblica sia in quella privata”.
La violenza domestica non è da intendersi solo come fisica, ma anche psicologica, sessuale ed
economica. Al di sotto di tutte queste forme di violenza si delinea il riproporsi di quel vortice che
Lenore Walker, psicologa americana, definì nel 1979, con il nome di ciclo della violenza. Essa mise
in evidenza come la violenza domestica avvenga all’interno di una relazione che dovrebbe essere
di amore, di cura e di fiducia. Proprio per questo motivo diventa molto difficile comprenderne
l’inizio, ma è più comprensibile pensarla come “un progressivo e rovinoso vortice in cui la donna
viene inghiottita dalla violenza continuativa, sistematica e quindi ciclica da parte del partner”.
Le tre fasi, delineate dall’autrice, tendono a ripetersi con continuità.

Prima fase: la crescita della tensione. Una tensione che solitamente ha esordio come una violenza
verbale, quindi più subdola. L’uomo mostra un crescente nervosismo che lo porta ad essere
perennemente irritato, generando confusione nella compagna. La donna, che avverte questa
tensione, mette in atto una serie di strategie con la finalità principale di “tenere calmo l’uomo”.
Tutto è focalizzato su di lui, pur di evitare l’abbandono tanto temuto dalla partner.

Seconda fase: la violenza viene espressa. In questa fase l’uomo perde il controllo, che potrebbe in
un primo momento essere agita sugli oggetti e arrivando, in un secondo momento, alla violenza
fisica. In questa fase si delinea il dominio e la prevaricazione dell’uomo sulla donna.

Terza fase: “la luna di miele” o una finta riappacificazione. Dopo la violenza agita, l’uomo mette in
atto tutta una serie di comportamenti riparatori con l’intento di cancellare o minimizzare la
violenza che la donna ha subito. È la fase in cui la compagna ci crede e perdona; in seguito ad un
rinforzo positivo spesso si decide di tornare ad investire nuovamente nella relazione. Proprio in
questa fase, infatti, le donne che avevano trovato il coraggio di uscire da una relazione malata si
trovano a ritirare le denunce o ad abbandonare un percorso che avevano iniziato per uscire dalla
violenza.

Il fatto che esso sia stato definito ciclicamente intende proprio il ripetersi, spesso in tempi sempre
più brevi rispetto all’esordio, con conseguenze sempre più devastanti. Ad ogni episodio di
maltrattamento si genera maggiore fragilità nella donna. Ad una diminuzione della capacità di
reazione ne consegue l’aumento del livello di tolleranza della violenza. Questo ciclo è uno stress
emotivo continuo che porta al disorientamento e alla confusione e ad un abbassamento notevole
del benessere psicofisico della donna.
Per gli “addetti ai lavori” risulta fondamentale riuscire a conoscere le fasi che si innescano nella
violenza domestica perché permette di discriminare la relazione maltrattante da una relazione
conflittuale. I meccanismi che ritroviamo, infatti, sono differenti e riconoscibili in tre step.
L’inizio è segnato dall’intimidazione in cui la donna viene spaventata con comportamenti
imprevedibili, minacce e violenza verso oggetti. L’uomo si avvale di denigrazioni, umiliazioni che
intaccano l’autostima della compagna. In questo modo la donna inizia a distorcere la realtà, a
percepire di meritarsi tutto ciò, per qualche strano motivo.
Il meccanismo successivo che si attiva è l’isolamento con l’intento di allontanare le figure di
riferimento, comportando spesso una rinuncia, da parte della donna, al proprio lavoro e, di
conseguenza, alla propria indipendenza. Il pensiero inconscio che si genera nell’uomo violento è
semplice, ma molto efficace: se la compagna rimarrà sola, isolata dal contesto relazionale e l’unico
riferimento permarrà il suo uomo, essa sarà maggiormente controllabile.
La violenza psicologica progressivamente va ad attaccare l‘identità riducendo drasticamente la
stima di sé. La donna si sentirà inadeguata, debole, incapace, arriverà a pensare di aver causato lei
stessa i maltrattamenti e di meritarseli.
Come è possibile in seguito ad un’esperienza traumatica riuscire a ritornare ad avere fiducia
attraverso la psicoterapia?
“Di relazioni ci si ammala e di relazioni si guarisce” (Patrizia Adami Rock).
In queste parole credo ci sia l’essenza della psicoterapia: attraverso la relazione terapeutica la
donna maltrattata riuscirà a recuperare il senso di sicurezza, di controllo sulla propria vita, di
fiducia nell’altro e a riprendere possesso delle risorse che precedentemente aveva abbandonato.
Perché questo possa avvenire, il professionista dovrà riuscire a ricostruire insieme alla sua
paziente la storia di maltrattamento per comportare una decostruzione del sistema di
dominazione-sottomissione creatosi e delinearsi come un “testimone” che solidarizza con la
donna.
La violenza che la donna ha subito dovrà essere dominata da lei stessa: dovrà riuscire a
riconoscersi in un primo momento come vittima e, in un secondo momento, a percepirsi come
soggetto con capacità decisionale, superando il senso di vergogna che il maltrattamento ha
insinuato. In questo modo la spirale della violenza potrà essere interrotta.

Psicologa – Psicoterapeuta
Dott.ssa Sonia Allegro