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Mollare la presa. Lasciar andare.

Non ce la faccio, non posso, è tutta colpa mia, mi sento in dovere di…
Quante volte abbiamo pronunciato queste frasi? E quante volte questi pensieri ci hanno impedito di fare quello che avremmo voluto, di raggiungere un obiettivo, di vivere con maggior serenità un momento di difficoltà o di crisi?
Basiamo la nostra vita su delle convinzioni, che ci accompagnano e ci definiscono. Ma se le convinzioni che abbiamo su di noi fossero limitanti?
Forse siamo convinti di essere timidi, insicuri, inadeguati nel lavoro o nello studio, incapaci di gestire una relazione di coppia o piuttosto ci colpevolizziamo eccessivamente per ciò che accade.
Alcune delle nostre convinzioni, trasmesseci da genitori, insegnanti, compagni di classe o colleghi di lavoro, rappresentano una vera e propria prigione da cui sembra difficile poter uscire; abbiamo ereditato delle idee in cui abbiamo creduto, che sono cresciute in noi e che oggi sono divenute convinzioni che ci auto-limitano.
La “perseveranza della credenza” è il principio psicologico secondo il quale, una volta che crediamo in qualcosa (ad esempio: sono una persona noiosa e per questo non ho amici) tendiamo a cercare conferme a tale credenza e a rigettare le situazioni che rispetto a tale credenza si mostrano in contrasto.
Talvolta capita di aderire all’etichetta che il mondo ci attribuisce e di comportarci secondo quanto previsto da quell’etichetta, ma prendendo consapevolezza del fatto che le nostre convinzioni si sono basate su eventi che un tempo ci hanno scosso, ma che oggi hanno una rilevanza relativa, possiamo cambiarle.
Il workshop “mollare la presa dai pensieri auto sabotanti” insegna ad abbandonare le vecchie convinzioni che ci limitano, le abitudini mentali nocive, i sensi di colpa, gli obblighi inutili e ad accettare la realtà per vivere la nostra vita nel qui e ora.

IMPARARE AD ACCETTARE IL PROPRIO CORPO

Tutti abbiamo qualcosa del nostro corpo che non ci piace. L’elenco delle “imperfezioni” che una persona può trovarsi può andare dai capelli diradati e dal soprappeso fino alle ciglia corte.

L’immagine corporea si compone di 3 aspetti:

  • la componente percettiva (o distorsione corporea), ovvero come si percepisce il proprio fisico;
  • la componente attitudinale (o insoddisfazione corporea) costituita dall’insoddisfazione, preoccupazione e/o ansia che si prova per il proprio corpo;
  • la componente comportamentale, ovvero quei comportamenti volti ad “aggiustare” l’imperfezione o a non confrontarsi con essa.

L’immagine corporea si forma durante l’infanzia attraverso il contatto fisico con le figure di attaccamento, i rimandi che si ricevono e la percezione delle differenze tra noi e gli altri (ad esempio “A 9 anni avevo già il seno, nessuna delle altre bambine ce l’aveva. Questo mi rendeva diversa da tutte e mi faceva stare male”). Poi ci sono le influenze del presente: i pensieri, le emozioni e i comportamenti che si attuano in relazione al proprio corpo.

Quando l’immagine corporea è negativa, questa può avere effetti:

  • sull’autostima
  • nelle relazioni sociali
  • nei rapporti sessuali
  • sul tono dell’umore
  • sull’alimentazione
  • sul portafoglio

L’insoddisfazione corporea è ciò che si prova a livello emotivo per il corpo e si manifesta quando c’è una discrepanza tra la realtà del proprio fisico e il come lo si vorrebbe. Ha quindi un’origine psichica.

Innanzitutto è importante essere consapevoli dell’ampiezza della propria insoddisfazione e se è di grado marcato, farsi aiutare da uno psicologo.

Per esserne consapevoli si possono scrivere le emozioni, i pensieri e i comportamenti che si hanno verso il proprio aspetto, si possono scrivere anche le parole che si usano per descrivere le parti che non piacciono.

Successivamente bisogna lavorare sul non far coincidere i pensieri e le emozioni con sé stessi. I pensieri influenzano lo stato emotivo, come lo stato emotivo influenza i pensieri. Non si può avere un controllo sull’emergere di pensieri ed emozioni, ma si può lavorare per modificarli una volta che si sono presentati.

Pensieri ed emozioni influenzano poi il comportamento (ad esempio stare in spiaggia sempre con il pareo e toglierlo solo per entrare in acqua o quando si è sdraiati supini, oppure truccandosi tutti giorni, oppure indossando abiti un po’ più larghi per nascondere la magrezza o mancanza di muscoli). È importante individuare i comportamenti che sono conseguenza dell’insoddisfazione corporea e che, una volta attuati, contribuiscono a mantenere una visione negativa di sé, e sostituirli con altri più costruttivi.

Se fare tutto ciò da soli vi sembra difficile potete prendere parte al nostro workshop Imparare ad accettare il nostro corpo.

Per saperne di più clicca qui.

 

Dr.sse Pugno e Querin

Stalking: aspetti noti e meno noti

Il 3 novembre 2017 a Torino l’Associazione Eco (www.ecoassociazione.it) ed il Centro Clinico Crocetta (www.centroclinicocrocetta.it) hanno organizzato una tavola rotonda, aperta alla cittadinanza allo scopo di comprendere a fondo i fenomeni collegati della dipendenza affettiva e delle molestie assillanti e ripetute, comportamenti di cui lo stalking è il fenomeno che dilaga maggiormente. Dalla dipendenza affettiva, se rifiutati o se il partner interrompe la relazione, si può scivolare nello stalking.

Il Dott. Massimo Zedda (www.massimozeddapsicologo.it), che da anni si occupa e studia le molestie presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino, e le colleghe psicologhe e psicoterapeute, Dott.sa Lorena Ferrero (www.studiopsicologotorino.it) e Dott.ssa Luigina Pugno (www.psicoterapiasessuologiatorino.it), si sono confrontati sul tema partendo dalla loro esperienza clinica con pazienti con dipendenza affettiva o vittime di comportamenti assillanti e continuati.

Dall’incontro è emerso che il fenomeno è conosciuto soprattutto nelle casistiche più estreme, anche per i fatti di cronaca, e che la prevenzione primaria, nella forma di discussioni rivolte al pubblico potrebbe portare ad un aumento della consapevolezza del fenomeno, soprattutto dal punto di vista delle ricadute psicologiche negative sulla qualità della vita percepita.

Inoltre è emersa la scarsa conoscenza del fenomeno dal punto di vista maschile, come vittime, e delle molestie perpetrate tra partner con orientamento sessuale di tipo omosessuale. Ciò ha comportato una carenza di risposte di aiuto dedicate a queste persone.

I professionisti ritengono che servizi inclusivi rivolti anche a soggetti difficilmente raggiungibili, come gli uomini e le persone omosessuali, potrebbero migliorare la qualità della loro vita, con forti ricadute positive sulla collettività, in un’ottica di prevenzione terziaria.

Infine, si è evidenziato che servizi volti ad aiutare i soggetti con dipendenza affettiva, uomini e donne, possa ridurre il numero di futuri ipotetici molestatori (prevenzione secondaria), in quanto, come emerge dalla letteratura specifica, il rifiuto in una relazione romantica può indurre l’aumento del livello di aggressività del rifiutato innamorato. In questo frangente il beneficio è ulteriormente incrementabile qualora uno stalker inconsapevole venga a conoscenza delle dinamiche interpersonali disfunzionali che mette in atto. inserendole bonariamente in una cornice di significato caratterizzato dal sano corteggiamento.

Dott. Ferrero, Pugno e Zedda

tavola rotonda sul tema dello stalking

Una tavola rotonda sul tema dello stalking e dipendenza affettiva per riflettere su come i fenomeni siano trasversali nella quotidianità e colpiscano numerosi soggetti.

Oltre a presentare il fenomeno dal punto di vista psicologico, ampio spazio verrà concesso per capire la reale consistenza e gravità delle molestie allo scopo di realizzare interventi preventivi più precisi.

Saranno presenti:

  • Dott. Massimo Zedda, psicologo e psicoterapeuta del Centro Clinico Crocetta, Professore a contratto presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli studi di Torino, esperto e studioso del fenomeno delle molestie assillanti e comportamenti violenti

  • Prof. Fabio Veglia, psicologo e psicoterapeuta, direttore del Centro Clinico Crocetta, Professore ordinario di Psicologia clinica presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Torino

  • Dott.ssa Lorena Ferrero, psicologa e psicoterapeuta dell’Associazione Eco, esperta in dipendenze

  • Dott.ssa Luigina Pugno, psicologa e psicoterapeuta dell’Associazione Eco, presidente dell’Associazione Eco, esperta in Disturbo post traumatico da stress.

L’incontro si terrà venerdi 3 novembre 2017 dalle ore 10.00 alle ore 12.00 presso il Centro Clinico Crocetta, Via G. Ferraris 110, Torino.

Posti limitati, telefonare per prenotare:

Tel: 3397787162
Email:  ecoassociazione@gmail.com

L’EDUCAZIONE DEI NATIVI DIGITALI

L’Associazione Eco organizza 3 incontri dedicati all’educazione dei nativi digitali da parte di genitori ed insegnanti

M. Prensky, nel 2001, coniò l’espressione nativi digitali per indicare i bambini nati a partire dagli anni ’90, che conoscevano e interagivano con le nuove tecnologie digitali da sempre. Con il termine immigrati digitali indicò noi adulti, genitori e professionisti, che abbiamo dovuto apprendere successivamente l’utilizzo di queste nuove tecnologie, inesistenti quando eravamo bambini.

Come sostiene E. Chiapasco (2015), queste tecnologie non sono solo un insieme di nuovi strumenti, ma un fenomeno culturale che sta cambiando il modo di pensare e di stare in relazione con gli altri. L’educazione impartita da genitori e insegnanti deve considerare anche le nuove tecnologie, fin dalla più tenera età. I bambini, già dalla scuola dell’infanzia e primaria, osservano gli adulti che utilizzano continuamente smartphone e computer; li usano a loro volta, acquisendone una rapidissima padronanza, per guardare su Youtube i cartoni animati che amano, per ascoltare le canzoni preferite, per fare le ricerche per la scuola, per contattare i compagni di classe. I genitori devono supervisionare il più possibile queste attività, ma non possono essere ovunque; a un bambino basta un cellulare dismesso in cui attivare la connessione wi-fi per addentrarsi nel mondo virtuale e cercare risposte alle sue mille curiosità. L’educazione deve includere anche indicazioni su come ci si muove in questo mondo, abitato e vissuto dai bambini e dai ragazzi tanto quanto quello reale.

Rispetto ai cervelli degli immigrati digitali, quelli dei nativi ricevono da sempre una grande quantità di input veloci. Sono abituati a gestire i processi di apprendimento in modo parallelo, svolgendo contemporaneamente più compiti o funzioni. Preferiscono la grafica al testo, piuttosto che il contrario; prediligono una modalità di accesso non ordinata e sequenziale alle informazioni.

Gli immigrati preoccupati da questo cambiamento, devono considerarlo in termini evolutivi; non sono costretti a modificare il contenuto degli insegnamenti da trasmettere alle generazioni successive, ma le modalità: il linguaggio, le esperienze e i supporti per l’apprendimento. Allo stesso tempo, non possono fare alla leggera la scelta di acquistare un computer, un telefono cellulare, un tablet o un videogioco. Mettere in mano ai bambini uno strumento ipersofisticato apre loro un mondo di possibilità con un potente impatto pratico e psicologico, al quale devono essere preparati. Per di più, se anche hanno la capacità materiale di usare uno strumento tecnologico, non significa che lo sappiano utilizzare responsabilmente. Gli immigrati digitali devono restare aggiornati e informarsi sui rischi e sulle potenzialità delle nuove tecnologie, per poterne parlare con figli, studenti e pazienti.

I potenziali pericoli legati all’uso massiccio di internet e delle nuove tecnologie sono:

  • sviluppare una dipendenza (passare molto tempo su internet, tanto da non riuscire a portare a termine i propri compiti di studio o lavoro, usarlo come via di fuga dai problemi reali);

  • attuare o subire comportamenti di cyberbullismo;

  • il sexting (ricevere o inviare messaggi, fotografie o video a contenuto sessuale)

  • essere adescati da pedofili, da organizzazioni terroristiche o da siti che incoraggiano comportamenti pericolosi per la salute psicofisica.

Ci sono anche pericoli specificamente legati a un utilizzo eccessivo dei social-network:

  • essi forniscono un’alta visibilità con il rischio di una sovraesposizione indesiderata di sé;

  • offrono dei feedback e un controllo sociale costante che influenzano la costruzione dell’identità e la considerazione di se stessi. Se l’autostima si basa su di essi ha fragili fondamenta, poichè dipende dall’approvazione ricevuta dagli altri, con scarse ricadute strutturali o reali;

  • le relazioni virtuali non si collocano in un luogo fisico e sensoriale condiviso, nè hanno vincoli spazio-temporali; ciò rende i ragazzi meno avvezzi alle relazioni reali. Inoltre, l’assenza di un rapporto vis-a-vis elimina la comunicazione non verbale e la corporeità degli interlocutori.

  • paradossalmente, se le relazioni virtuali sostituiscono quelle reali, può aumentare il senso di solitudine e il ritiro sociale.

Quando scriveva il suo articolo, M. Prebsky aveva già notato una diminuzione della capacità di usare il pensiero riflessivo da parte dei nativi; sono passati meno di vent’anni da allora e, in questo lasso di tempo, l’uso di internet e dei social network si è diffuso in modo massivo. Gli adulti che si occupano di bambini e ragazzi hanno osservato altri segnali di disagio nei nuovi nativi digitali e in quelli ormai cresciuti:

  • diminuisce la capacità di stare soli, di tollerare i limiti e di mettere dei confini;

  • la comunicazione non verbale sembra cadere in disuso;

  • il rapporto con il proprio corpo, in termini di sensazioni ed emozioni, è più difficoltoso.

Queste funzioni psichiche fanno parte di un repertorio di abilità che devono essere coltivate nello sviluppo di ciascun individuo. Esse non sono state compromesse tout cour dall’avvento delle nuove tecnologie, ma, sicuramente, il loro uso pervasivo ne rende più complicata l’acquisizione.

Internet e le nuove tecnologie non sono un fenomeno da demonizzare; danno spazio alla creatività e alla libertà di espressione personale, offrono opportunità informative, relazionali e professionali. Sarebbe impossibile censurarli; basta riflettere sul fatto che anche la maggior parte degli immigrati digitali è ormai connessa alla rete ventiquatt’ore su ventiquattro.

M. Prebsky definì due tipi di sfide a cui noi immigrati digitali non possiamo sottrarci: “imparare cose nuove” e “imparare nuovi modi di fare cose già fatte”, senza riuscire a determinare quale delle due fosse la più difficile.

Per questo abbiamo bisogno di una formazione specifica tenuta da esperti sia delle nuove tecnologie, che dell’età dello sviluppo. Ci sono compiti evolutivi che tutti i ragazzi devono affrontare, così come li abbiamo superati noi nella nostra adolescenza: la separazione, la costruzione dell’identità, l’autonomia. Cambiano il contesto e i mediatori delle esperienze che servono a raggiungere questi scopi. Per farlo nel migliore dei modi, i ragazzi hanno bisogno di figure di riferimento ben equipaggiate, che conoscano le nuove tecnologie e siano in grado di parlarne con loro.

Autrice Dr.ssa Valentina Congedo

Supervisione Dott Stefano Lagona e Dr.ssa Luigina Pugno

Bibliografia

Berti M., Valorzi S., Facci M., 2017, Cyberbullismo: guida completa per genitori, ragazzi, insegnanti, Reverdito Editore.

Cario M., Franco G., Arbrun R., Ferraud M., Chiapasco E., 2014, Cyberfriends. Il valore dell’amicizia i tempi di internet, www.csptech.org/articoli-e-pubblicazioni

Chiapasco E., 2015, La rivoluzione culturale di Internet. Una nuova sfida educativa, www.csptech.org/articoli-e-pubblicazioni

Kettmaier M., 2017, Il rischio internet-correlato alle scuole medie: uno strumneto di indagine per l’intervento nelle classi, www.stateofmind.it/2017/04

Prensky M., 2001, Nativi digitali e immigrati digitali, www.laricerca.loescher.it/istruzione

Prensky M., 2001, La mente nuova dei nativi digitali, www.laricerca.loescher.it/istruzione

LE ECCESSIVE PREOCCUPAZIONI PER LA SALUTE

Entrare nel tunnel dell’ansia per la salute è questione di poche sensazioni fisiche e pochi pensieri.

Ma cosa sono la salute e l’ansia?

Secondo l’OMS la salute non è solo l’assenza di malattia, ma è una sensazione di benessere che l’individuo prova a livello fisico, emotivo e sociale.
Mentre possiamo definire l’ansia come una preoccupazione verso un pericolo non ben definito, che immaginiamo ci possa riguardare. Si distingue quindi dalla paura, che invece ha un oggetto chiaro verso cui indirizzare le preoccupazioni (es. paura dei cani).
Ora possiamo definire l’ansia per la salute come la percezione che sia presente in noi una malattia, che minaccia il nostro benessere.
Le sensazioni fisiche che si sentono sono reali e non immaginarie, ma il nocciolo è che non sono sempre sintomo di malattia fisica e talvolta sono sintomo di ansia.

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SPLIT E IL DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITÀ

Nel film Split, in uscita in 26 gennaio 2017, la scissione di personalità tipica di coloro che sono affetti da disturbo dissociativo dell’identità viene rappresentata non solo a livello personologico, ma anche a livello fisico, come scissione cognitiva e fisiologica potessero coesistere all’interno di un solo essere umano.

Ma è effettivamente possibile?
Secondo i criteri del DSM V (l’ultimo manuale per la diagnosi delle patologie psicologiche), il disturbo dissociativo dell’identità è caratterizzato da:

Come accorgersi se c’é un disturbo specifico dell’apprendimento

Come mai non vuoi fare i compiti?”

“Com’è possibile che ti alzi sempre dalla sedia e non riesci a stare concentrato?”

“Perché non leggi ad alta voce? Magari ti ricordi meglio?”

“Perché non vuoi andare a scuola?”

“È possibile che non riesci ad imparare le tabelline?”

“Sei pigro! Per questo non riesci.”

Spesso queste frasi riecheggiano nelle mente di genitori ed insegnanti davanti ad un giovane alunno che si sta approcciando alla scuola e che, per diverse ragioni, non riesce ad ottenere dei buoni risultati negli apprendimenti. Sovente si tratta di bambini socievoli, intelligenti, e che, fino all’ingresso a scuola, sembravano volenterosi e pieni di risorse. 

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